Gli industriali delle carni riuniti in Assica lo avevano detto da tempo. Loro alle sedute della Cun suini, la Commissione unica nazionale incaricata di fissare i prezzi dei suini vivi, non ci sarebbero più andati. L'ultima volta che allevatori e macellatori si sono seduti allo stesso tavolo per discutere di mercato e di prezzi risale a fine aprile. I prezzi erano “da fame”, poco più di un euro al chilo per i suini pesanti. Fra le motivazioni che hanno portato i macellatori a disertare la Cun, Assica cita la rigidità del regolamento, che prevede la fissazione di un prezzo anche in assenza di un accordo fra le parti. In questa condizione, sostengono i macellatori, vengono imposti prezzi al di fuori della reale situazione fra domanda e offerta. A sostegno di questa tesi Assica ricorda che l'analoga Commissione incaricata di fissare i prezzi per i tagli di carne suina funziona da tre anni, con rare eccezioni di “non quotato”. Merito di un regolamento che non prevede “forzature” come nel caso della Cun suini. Sin qui le ragioni degli industriali. Ma gli allevatori ricordano la rigidità dei macellatori nel venire incontro alle attese degli allevatori, spesso costretti dalla “forza” della controparte ad accettare prezzi inferiori ai costi di produzione. Colpa di un mercato dove le importazioni hanno un peso eccessivo nel condizionare le quotazioni.

Cun bloccata
Con allevatori e industriali arroccati ognuno nelle proprie ragioni, la Cun suini è andata avanti in questi mesi con la sola partecipazione dei suinicoltori. Così si è arrivati alla riunione della Cun del 17 settembre che ha fissato per i suini pesanti (160-176 kg di peso vivo) un prezzo di 1,533 euro al chilo. Poi è iniziata la serie dei “non rilevato” proseguita sino all'ultimo incontro, quello del primo ottobre, disertato da allevatori e da macellatori. Per la Cun suini, dunque, si fa sempre più pressante la necessità di un ripensamento delle regole di funzionamento. Che si spera non penalizzi gli allevatori, da sempre in una posizione di debolezza quando si parla di prezzi. Un problema che ha radici lontane, in gran parte legate all'atavica incapacità del mondo agricolo di “fare squadra”.

Si torna alle borse merci
Impensabile immaginare a breve che il mondo della produzione sia in grado di darsi una struttura rappresentativa capace di colmare il gap che lo separa dal mondo della trasformazione delle carni, certo meglio organizzato. Di conseguenza è difficile trovare un nuovo, equilibrato ed efficace modello di funzionamento della Cun suini. E in assenza dei “numeri” di quest'ultima non resta che affidarsi come in passato alle quotazioni delle borse merci. Anche il Crefis, il centro di ricerche economiche dell'Università Cattolica di Piacenza, ha ritenuto opportuno seguire questa strada. Nelle sue ultime elaborazioni ha infatti preso in considerazione le quotazioni della piazza di Modena, dove i suini pesanti hanno quotato in settembre 1,516 euro al chilo. Rispetto al mese precedente il Crefis evidenzia una crescita del 2,3%, che sale al 3,7% se si prende in considerazione il dato di un anno fa.

Le analisi del Crefis
Grazie a questo aumento dei prezzi la redditività della fase d’allevamento calcolata dall'indice Crefis ha fatto registrare una variazione del +3% rispetto al mese precedente, che sale di ben il 21,8% su base tendenziale. Ovvia conseguenza di questa crescita della redditività degli allevamenti è la flessione della redditività per le fasi di macellazione, scese del 4,9% rispetto al mese precedente, ma stabile rispetto allo scorso anno. Nel frattempo va migliorando la redditività dei prosciutti Dop (+2,8%) mentre cala quella dei prosciutti generici (-1,4%). Migliora così il differenziale di redditività fra le due tipologie, che rimane tuttavia ancora a vantaggio dei prosciutti generici (+4,8%) rispetto ai Dop.