Per la prima volta è sceso in piazza il popolo del Parmigiano, con una colorata compagine di allevatori, casari, stagionatori, assaggiatori, cuochi, gourmet e tanti consumatori in allarme per difendere il formaggio italiano più conosciuto nel mondo.

Si è tenuta oggi a Bologna la manifestazione organizzata da Coldiretti, tra modernità e tradizione, lanciata su twitter con l’hashtag #ParmigiAmo ma che  in piazza meno virtualmente ha visto realizzare da parte dei casari le forme secondo gli antichi rituali, con caldaio di rame su fuoco di legna ed una vera e propria stalla con vacche rosse, la storica razza da cui è nato il Parmigiano Reggiano. Con una antica zangola è stato invece realizzato il burro, prodotto derivato dal latte del Parmigiano Reggiano, come si faceva un tempo.


Lotta senza quartiere alla contraffazione
La produzione di falsi Parmigiano Reggiano e Grana Padano nel mondo ha sorpassato per la prima volta quella degli originali nel 2014, provocando addirittura il calo del valore delle esportazioni, in controtendenza al record fatto segnare all’estero dall’agroalimentare made in Italy ma anche ai positivi risultati registrati da altri formaggi, dal pecorino al Gorgonzola.

E’ l’allarme lanciato dalla Coldiretti in vista dell’Expo nel primo “Dossier sul mercato del Parmigiano Reggiano, tra crisi ed opportunità” presentato durante la mobilitazione in piazza. Sul banco degli imputati, in una sorta di galleria degli orrori sono sfilate le molteplici imitazioni del Parmigiano Reggiano scovate dalla Coldiretti nei diversi continenti: dal Parmesao brasiliano al Grana Pampeana dell’argentina, dal Reggianito al Parmesan venduto praticamente ovunque. E' stato addirittura realizzato un Parmigiano attraverso un kit acquistabile su internet e messo a confronto con il prodotto originale offerto in grandi quantità a tutti i cittadini a sostegno della protesta.
“Il Parmigiano non si fa in Wisconsin”, “Fermiamo i furbetti del Parmigiano”, “No Parmigiano no Expo”, “Senza stop al parmesan niente accordi con gli Usa nel Ttip” o “Senza stalle non si fa il Parmigiano” sono solo alcuni degli slogan dei sostenitori dell’iniziativa. 


Il giro del mondo delle imitazioni
Nel 2014 la produzione delle imitazioni del Parmigiano e del Grana ha superato i 300 milioni di chili, realizzati per poco meno della metà negli Stati Uniti. Dal falso parmigiano vegano a quello prodotto dalla Comunità Amish, dal parmesan vincitore addirittura del titolo di miglior formaggio negli Usa al kit che promette di ottenerlo in casa in appena  2 mesi, ma anche quello in cirillico che si è iniziato a produrre in Russia dopo l’embargo, il parmesao brasiliano, il reggianito argentino e il parmesan perfect italiano ma prodotto in Australia. Tutti esempi di falsificazioni che tolgono spazio di mercato al prodotto originale.

Se gli Stati Uniti sono i leader della falsificazione, con le produzioni in Wisconsin, California e New York, le imitazioni sono molte diffuse dall’Australia al Sud America ma anche nei Paesi emergenti, mentre sul mercato europeo ed in Italia sono arrivati i cosiddetti similgrana di bassa qualità spesso venduti con nomi di fantasia che ingannano i consumatori sulla reale origine che è prevalentemente di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia.
"Una concorrenza sleale nei confronti degli autentici Parmigiano reggiano e Grana Padano che devono essere ottenuti nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione" nota Coldiretti.

"A queste realtà - aggiunge la Coldiretti - se ne aggiunge però una ancora più insidiosa: quella dell’italian sounding di matrice italiana, che importa dai paesi più svariati materia prima, la sforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, perché non esiste ancora per tutti gli alimenti l‘obbligo di indicare la provenienza in etichetta".
 
Coldiretti plaude al piano per l'export annunciato dal ministero dello Sviluppo economico, che prevede per la prima volta azioni di contrasto all'italian sounding, e invita a cogliere l'occasione della trattativa del Ttip, l'accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, per tutelare le produzioni agro-alimentari italiane dalla contraffazione alimentare e del cosiddetto fenomeno dell’Italian sounding


Crisi, per il Parmigiano Reggiano è peggio del terremoto
La crisi fa più danni del terremoto: dal 2007 è scomparsa quasi una stalla su quattro impegnata nella produzione del latte per il Parmigiano Reggiano e sono andati persi migliaia di posti di lavoro negli allevamenti e nei caseifici.

"A rischio – sottolinea la Coldiretti - c’è un sistema produttivo che vale complessivamente quasi 4 miliardi di fatturato, con il Grana Padano che si colloca al vertice delle produzioni italiane tutelate dall’Unione Europea con un volume di affari che  vale 1,5 miliardi al consumo nazionale e 530 milioni mentre il Parmigiano Reggiano si colloca al secondo posto con 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export".
"I compensi riconosciuti ai caseifici e agli allevatori per il Parmigiano Reggiano sono precipitati al di sotto dei costi di produzione - sottolinea la Coldiretti -  ed ora il mondo produttivo si trova a fronteggiare una situazione di crisi più grave del terremoto che tre anni fa aveva fatto crollare a terra migliaia di forme e distrutto stalle e magazzini".

La Coldiretti denuncia che nell’ultimo anno, infatti, il prezzo pagato ai produttori di Parmigiano Reggiano è diminuito del 20 per cento nel giro di dodici mesi, passando dai 9,12 euro del gennaio 2014 ai 7,31 euro di fine dicembre 2014. A differenza, il prezzo di vendita ai consumatori italiani è calato appena del 4 per cento con effetti negativi sugli acquisti degli italiani.
All’estero la situazione non è migliore con il valore delle esportazioni che è sceso nel 2014, con il calo più pesante che si è verificato negli Stati Uniti dove c’è stato un crollo del 10 per cento per un fatturato attorno ai 100 milioni di euro, nonostante l’andamento favorevole del tasso di cambio, secondo le proiezioni Coldiretti su dati Istat.

"A rischio - continua la Coldiretti - c’è un sistema produttivo dal quale si ottengono circa 3,2 milioni di forme all’anno, con 363 piccoli caseifici artigianali della zona tipica alimentati dal latte prodotto nelle appena 3348 stalle rimaste nel 2014, dove si allevano 245mila vacche. Una stagionatura che varia da 12 a 24 mesi, il divieto nell’uso di insilati, additivi e conservanti nell’alimentazione del bestiame, un peso medio delle forme di 40 chili, l’impiego di 14 litri di latte per produrre un chilo di formaggio e 550 per produrre una forma sono le caratteristiche distintive del prodotto alimentare italiano più conosciuto e più imitato nel mondo".


Un po' di storia
Il Parmigiano Reggiano può contare su ben nove secoli di storia: le  origini risalgono al Medioevo e vengono generalmente collocate attorno al XII secolo quando presso i monasteri benedettini e cistercensi di Parma di Reggio Emilia si diffuse la produzione di un formaggio a pasta dura, ottenuto attraverso la lavorazione del latte in ampie caldaie. Tra le prime citazioni quella di Giovanni Boccaccio che nel Decamerone nel 1351, nel descrivere il Paese del Bengodi  diceva “Et eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n'aveva".


La solidarietà del Pecorino Toscano Dop ai produttori di Parmigiano Reggiano e Grana Padano
"Il Consorzio del pecorino toscano Dop esprime solidarietà ai produttori e agli operatori del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano che oggi sono scesi in piazza a Bologna contro  la contraffazione alimentare e in difesa dei prodotti del made in Italy”. Con queste parole Andrea Righini, direttore del Consorzio, è intervenuto nel giorno della mobilitazione.

Primo passo contro la contraffazione: inserire nelle etichette l’esatta origine dei prodotti.
Il tema della contraffazione alimentare – spiega Righini – è una questione che riguarda tutte le produzioni enogastronomiche del made in Italy e che lede sia i produttori che i consumatori. Per questo, come è accaduto nel settore delle carni bovine, c’è bisogno che nelle etichette di tutti i prodotti agroalimentari sia specificata e inserita l’indicazione di origine del prodotto".