Ministri, sindaci, assessori, presidenti di regione, notabili e vip, tutti lì, a munger vacche in una delle tredici piazze italiane che Coldiretti ha trasformato per un giorno in stalle. Le cronache di questi giorni ne hanno parlato a lungo, sulla carta stampata, nei notiziari di radio e televisioni, sul Web, compresa Agronotizie. Inutile tornare sui dettagli di una manifestazione di indubbio successo, perché se l'obiettivo era quello di far discutere del prezzo del latte e dei problemi delle nostre stalle, quel risultato è stato raggiunto. Tanto di cappello a Coldiretti che di questa protesta è stata artefice e il cui risultato è davanti a tutti. E complimenti a Conad, il consorzio dettaglianti che per sostenere le istanze degli allevatori ha deciso di pagare il latte 38 centesimi al litro. Lo ha fatto sapere acquistando una pagina sui principali quotidiani dove ha scritto fra l'altro “Il gioco al ribasso sul prezzo del latte che alcuni stanno cercando di attuare è inaccettabile...c'è una tradizione di qualità che va difesa e implementata, non offuscata”. Parole importanti, specie se provengono da un gruppo, come Conad, protagonista nella grande distribuzione organizzata, spesso additata come “nemica” di chi produce. Non sempre è così.

Se il prezzo è una chimera
Se la cronaca di questa giornata è ormai archiviata, con tutti i suoi “numeri” sul latte (tre litri per comprare una tazzina di caffè, tre brick di latte su quattro sono di provenienza estera, quattro le stalle che ogni giorno chiudono i battenti, 400% di aumento del prezzo dalla stalla allo scaffale), altri argomenti meritano di essere approfonditi. A iniziare dal mancato accordo sul prezzo fra industrie e allevatori della Lombardia che si trascina da oltre sei mesi. Di mezzo c'è Italatte, società del gruppo francese Lactalis, i cui interessi sono sparsi un po' in tutto il mondo. E il latte è diventato da tempo una commodity ad alta volatilità sui mercati mondiali. Trovare chi sia disposto a ingabbiarsi dentro ai vincoli di un prezzo fermo per almeno sei mesi, mentre il resto del mondo si muove, sarà cosa sempre più difficile. Più volte in passato è stata sostenuta l' opportunità di passare ad un sistema di indicizzazione del prezzo che tenesse conto delle variabili in campo, da una parte e dall'altra. Ma non se ne è fatto nulla. Peccato.

Meno stalle, più latte
Si è poi molto parlato della paurosa flessione del numero di stalle in attività, erano 150mila venti anni fa, ne sono sopravvissute più o meno 40mila. Vero, con tutte le intuibili conseguenze sul piano sociale oltre che economico. Non è stata colta però l'apparente contraddizione fra questo calo e l'aumento nella produzione di latte. Che aumento ci sia stato lo dimostrano le multe del passato, evitate in questi ultimi anni solo grazie all'innalzarsi della quota nazionale di riferimento. Multe che rischiano di ripresentarsi a fine campagna produttiva. Perché anche in Italia, come nel resto dell'Unione Europea, la produzione di latte è in aumento dallo scorso anno, a dispetto del minor numero di stalle. Che si riducono di numero, ma aumentano le loro dimensioni e la loro efficienza. Il che si traduce in riduzione dei costi di produzione, unica strategia a disposizione degli allevatori per rispondere alle strettoie del mercato.

L'inevitabile import
Altro argomento che ha fatto “presa” è quello delle importazioni di latte. Produciamo 11milioni di tonnellate e altri nove milioni (dunque quasi la metà) li importiamo, da Francia e Germania in particolare ma non solo e non solo latte, ma anche cagliate, polveri e altri “ingredienti”. Il bilancio fra import ed export non cambierà con la fine delle quote latte. Perché la maggior parte del latte prodotto in Italia non finisce (per fortuna, vien da dire) in bottiglie e brick per il consumo diretto, ma va alla trasformazione in uno dei nostri formaggi, come i “grandi” Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Ed è questa la “forza” della nostra zootecnia, perché il latte che va in queste produzioni può godere di un mercato meno avaro in termini di prezzi. Sempre che ciò sia consentito dalle crisi di mercato che anche su questi “big” del caseario si fanno sentire. Motivo in più per evitare che anche sulle attività dei Consorzi di tutela si sfoghino tensioni fra le rappresentanze agricole, come raccontano taluni recenti episodi.

Obiettivo Expo
Poi l'altro grande “capitolo”, quello del made in Italy e della sua tutela, proprio ora che sta per aprirsi la vetrina di Expo 2015. E non è un caso se la “mungitura in piazza” è avvenuta in prossimità di “Expo delle Idee”, manifestazione organizzata nell'Hangar Bicocca a Milano per dare il “La”, il 28 aprile, alla prima versione della Carta di Milano, che ha l'ambizione di tracciare le linee per un accordo mondiale capace di garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti. A questo appuntamento e ad Expo ha forse pensato Coldiretti con le sue vacche in piazza e non solo al prezzo del latte o al peso dell'import. Il primo destinato a rimanere basso, per il momento, il secondo elevato e ancora per molto tempo.