Anno avaro di soddisfazioni questo 2014 per il mondo degli allevamenti. Partiamo dal latte, ancora alle prese con il mancato accordo sul prezzo. Le trattative fra industrie e allevatori della Lombardia (regione guida in questo settore) si trascinano inutilmente da quasi sei mesi, tanti ne sono passati dal 30 giugno, quando la precedente intesa è scaduta. E nemmeno l'intervento del ministero delle Politiche agricole, che ha tentato la carta della mediazione, è valso a sbloccare la situazione. Ma ciò che più preoccupa è la caduta del prezzo del latte sui mercati internazionali, che spinge verso il basso le quotazioni del latte spot (quello venduto fuori dai contratti) ed è al contempo motivo della mancata intesa fra allevatori e industrie. Perché mentre il latte spot precipita a fine novembre a soli 35,2 euro al quintale (quotazioni rilevate dalla Cciaa di Lodi per la provenienza francese), gli allevatori premono per non scendere sotto i 40 euro, soglia sotto la quale la produzione di latte cessa di produrre un margine.

La caduta dei formaggi
E se a inizio 2014 potevano guardare al futuro con maggiore serenità i produttori di latte destinato a Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ora la situazione si è ribaltata. Il mercato di questi grandi Dop è crollato, con quotazioni che si fermano per le stagionature più brevi a poco meno di 7,5 euro/kg per il Parmigiano Reggiano e 6,5 euro/kg per il Grana Padano. Un anno fa, in questo stesso periodo, i prezzi veleggiavano rispettivamente a circa 9,2 e 7,5 euro/kg, come si evince dai dati raccolti da Clal. In parte è colpa dell'embargo russo, che ha frenato il canale dell'export, in parte di una produzione che si dice eccedente rispetto alla domanda di mercato, a dispetto degli interventi dei Consorzi di tutela per ridurre le forme in stagionatura, utilizzando i nuovi strumenti di governo della produzione messi a disposizione del “pacchetto latte”, quello messo a punto da Bruxelles per dare una risposta al grande cambiamento che si verificherà con l'addio alle quote latte nel 2015.

Carni suine in rosso
E' un quadro a tinte fosche anche quello che si profila per il settore delle carni. Per quelle suine (le più consumate in Italia) il prezzo è salito nella ultima fase dell'anno sino a 1,421 euro al chilo per i suini pesanti, ma il confronto con il 2013 è desolante. La media dei prezzi a ottobre 2013 per questa tipologia di animali, materia prima per i nostri salumi Dop, era più alta del 6,5% rispetto ad oggi. E a dicembre i lavori della Cun (Commissione unica nazionale) hanno visto una imprevedibile battuta di arresto con il mancato accordo sul prezzo fra industrie e allevatori. Non è la prima volta che accade, ma è preoccupante che sia avvenuto nelle ultime settimane di dicembre, stagione clou per il settore suinicolo. Unica nota positiva il calo del prezzo delle materie prime per l'alimentazione degli animali, ciambella di salvataggio per il settore.

Salvi solo i polli
Non va meglio per le carni bovine. I dati di Ismea sul terzo trimestre dell'anno dicono che i prezzi sono calati in media del 3% su base annua, con punte di meno 10% per le vacche e di meno 7 % per i vitelli. Anche in questo caso gli allevamenti hanno potuto reggere solo grazie al calo del costo della voce alimentazione degli animali. Ad avvantaggiarsi delle difficoltà delle altri carni (ma solo all'apparenza) è il settore avicolo che mantiene le preferenze conquistate sul fronte del consumo, tanto che la Commissione Agricoltura della Ue prevede che il settore continui a crescere per i prossimi dieci anni. Ma fanno eccezione i conigli, comparto che ha un peso economico solo in pochi Paesi europei, come Italia, Francia e Spagna. Le quotazioni restano ferme al palo e nel 2014 non hanno mai superato (ad eccezione delle prime settimane dell'anno) quota 2 euro al chilo, prezzo sopra al quale è possibile un margine di redditività. Continua così l'emorragia di allevamenti cunicoli, costretti alla chiusura o a rifugiarsi nei contratti di allevamento siglati con le industrie del settore. Conclusione del 2014 con i bilanci in rosso anche per il settore ovino. I consumi di carne sono in calo come pure il numero di allevamenti in attività, crollati del 30% secondo le ultime stime riportate da Ismea. Va meglio solo per il latte ovino, grazie al buon andamento del pecorino Dop.

Cosa ci aspetta nel 2015
Un 2014 da dimenticare, dunque, ma cosa ci aspetta per il prossimo anno? Difficile fare previsioni, ma tentiamolo ugualmente, sapendo quanto sia facile essere poi contraddetti dagli avvenimenti futuri. E partiamo anche in questo caso dal latte. Con certezza si può dire che il primo aprile ci sarà l'abbandono delle quote latte, ma a quella data rischiamo di arrivarci con una nuova multa. Perché la produzione italiana (come avviene nella maggior parte dei Paesi Ue) è in aumento. Gli ultimi dati del Sian (il sistema informativo agricolo nazionale) indicano una produzione di latte di 5,501 milioni di tonnellate da aprile, inizio campagna, sino a settembre. Rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente l'aumento è di quasi 200mila tonnellate, con un incremento del 3,74%. Se si continua così finiremo con il superare la quota di riferimento nazionale, pari a 11,28 milioni di tonnellate (consegne più vendite dirette). Propio quando le quote non ci saranno più ci troveremmo a pagare nuove multe, dopo che negli ultimi anni ce ne eravamo salvati contenendo la produzione entro i limiti imposti. Vada come vada, resta però da saldare il conto con le multe pregresse, si tratta di 422 milioni di euro, tanti ne restano dopo aver tolto crediti inesigibili e contenziosi ancora da dirimere. I bene informati dicono che a gennaio gli esattori busseranno alle porte degli allevamenti inadempienti. E sarà davvero, nel caso, un brutto inizio d'anno. Ma già in passato sembrava di essere alla stretta finale, che poi non c'è stata. E' invece cosa certa l'avvio con il 2015 della riforma Pac, con i suoi tagli e le sue ulteriori complicazioni.

Non tutto è perduto
Ma qualcosa di buono il 2015 potrebbe anche riservarlo con l'introduzione delle “etichette trasparenti”, che potrebbero dare un impulso ai consumi. E poi c'è l'Expo 2015, una vetrina sulle produzioni agroalimentari italiane che potrebbe favorire anche il nostro export. A proposito di export, è di questi giorni l'apertura della Cina alle importazioni di prosciutti da parte di alcuni stagionatori italiani che hanno superato l'esame dell'Aqsiq, l'istituzione cinese preposta ai controlli di qualità. Poi c'è il Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che dovrebbe favorire gli scambi fra Unione Europea e Stati Uniti. Anche questa un'occasione di grande importanza per il nostro agroalimentare. A “vigilare” sulla trattativa c'è Paolo De Castro, che ha già dato prova di ottime capacità politiche e negoziali quando era presidente della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo. Ora è incaricato come relatore permanente per i negoziati Usa Ue della commissione Agricoltura dell'Europarlamento e la sua presenza è di per sé motivo di ottimismo sul risultato finale. Nonostante la difficile eredità che l'anno in corso ci lascia, questo 2015 in arrivo potrebbe dunque sorprenderci in positivo. Staremo a vedere.