Agricoltura, per gli italiani una grande sconosciuta. Lo dicono le statistiche. In Italia solo il 21% della popolazione ha visto un allevamento di vacche da latte o un pollaio, mentre per gli scandinavi, ad esempio, si sale al 78%. Inevitabile che regni grande incertezza sul come arrivi sulle nostre tavole una bistecca, un uovo o il latte della prima colazione. Ma cresce il desiderio da parte del consumatore di saperne di più, anche se poi mancano le informazioni e si fanno spazio convinzioni non sempre aderenti alla realtà. E' il caso del benessere animale, spesso confuso con il biologico o più in genere con la salute degli animali e la sicurezza degli alimenti.

E' stato questo il tema centrale di un affollato convegno organizzato dal Crpa (Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia) che si è tenuto in occasione del Sana, il salone bolognese dedicato al "naturale", e che ha avuto per titolo "benessere animale e tutela del consumatore".

 

Benessere animale, una realtà

Per affrontare l'argomento sono stati invitati in veste di relatori veterinari, ricercatori, accademici e consumatori e il quadro che ne è emerso ha offerto molti spunti di riflessione. A partire dalla constatazione che negli allevamenti italiani e di tutta la Ue il rispetto del benessere animale è una realtà consolidata. Già dieci anni fa Bruxelles aveva normato la materia con il regolamento 98/58, recepito poi in Italia con il d.lgs 146/2001. Per tutte le specie animali di interesse zootecnico sono stati stabiliti i requisiti minimi che devono possedere i locali di allevamento, le dimensioni dei box e delle gabbie, la regolazione di temperatura e ricambio d'aria, l'alimentazione e la disponibilità d'acqua e molto altro ancora. Per di più, con l'ultima riforma della Pac e l'introduzione del pagamento unico, si è posta grande attenzione anche alle condizioni di allevamento attraverso i criteri della “condizionalità”. In altre parole, se non c’è benessere animale non ci sono nemmeno i soldi della Ue.  A ciò si sono aggiunti i Psr (piani sviluppo rurale) che in alcune regioni (purtroppo solo 7 su 20) hanno attivato la misura 215, che prevede sostegni finanziari mirati proprio al benessere animale.

 

Benessere uguale produttività

Zaia al Sana

Con o senza gli aiuti della Ue, resta l'interesse da parte degli allevatori al rispetto del benessere animale, condizione indispensabile nella maggior parte dei casi per ottenere produzioni economicamente soddisfacenti. Anche questa è una conferma della presenza di benessere nelle stalle italiane. Ma il consumatore non lo sa. Come ha messo in evidenza il convegno del Crpa illustrando i dati emersi da alcune ricerche di mercato. C'è interesse all'argomento, ma non sempre se ne comprende il significato, confondendolo fra sicurezza e genuinità. E' il caso delle produzioni biologiche, interpretate spesso come quelle che offrono maggiori e migliori condizioni di benessere agli animali allevati, il che non sempre avviene. Una confusione che nasce dalla mancanza di informazione e dallo scarso valore economico attribuito al tema benessere. Mancano le informazioni sulle etichette di carne uova e latte, dove al massimo ci si limita ad offrire generiche indicazioni sulla provenienza e a volte sull'alimentazione.  Per non parlare dei prodotti trasformati, dove mancano anche queste poche informazioni. (nella foto a destra Il ministro Zaia, forte sostenitore del biologico, assediato dai giornalisti subito dopo l’inaugurazione del Sana)

 

Le responsabilità della grande distribuzione

Pochi anche i marchi commerciali (della distribuzione, come delle imprese di produzione) che associano fra i plus della loro produzione anche l'aspetto benessere. Colpa anche della Gdo (grande distribuzione organizzata) che sembra disinteressata al tema. E' diverso il caso del Regno Unito, dove al benessere animale Sainsbury ha dedicato un apposito marchio che a quanto pare ha riscosso il consenso dei consumatori. Ed è la politica di marchio che meglio di altre può dare valore aggiunto alle produzioni ottenute nel rispetto del benessere animale, sia quello previsto dalle normative, sia quello, su base volontaria, che aggiunge ulteriori condizioni di comfort agli animali in stalla.

 

Il progetto Welfare Quality

Condizione indispensabile è però una maggiore informazione sul tema benessere e una sua valorizzazione economica che sia di stimolo per la Gdo a prestare all'argomento l'attenzione che merita. Ed è su questa scia che si innesta il progetto europeo Welfare Quality, che grazie ai finanziamenti dell'Unione Europea ha consentito di mettere a punto gli strumenti per "misurare" il benessere animale, escludendo fattori di soggettività e di interpretazione che possono altrimenti svilirne il significato. Ne è nato un sistema, ancora in corso di affinamento, ma già a buon punto, che consente valutazioni oggettive e precise grazie alle quali le produzioni possono avvalersi di un marchio che certifica il livello di benessere per gli animali. E stando alle ricerche di mercato il consumatore è anche disposto a spendere qualcosa in più per acquistare i prodotti che vantano una buona qualità della vita degli animali. Ora resta la parte più difficile. Farlo sapere al consumatore. Se ci sarà una buona campagna di stampa e di informazione, si spera che anche la Gdo si decida a scendere in campo. E per gli allevatori che hanno puntato sul benessere animale ci sarà, finalmente, anche il riconoscimento del mercato.