La produzione di piante in vaso è un settore economicamente molto importante in molti paesi. Ma è un'attività che può avere un forte impatto ambientale soprattutto per quanto riguarda l'acqua.

L'elevato consumo d'acqua, e spesso di acqua utilizzabile anche per il consumo umano, è uno dei principali problemi ambientali, così come il ruscellamento e la percolazione di acque colturali contaminate da residui di fertilizzanti e fitofarmaci.

Per ridurre queste problematiche, il gruppo di ricerca di orticoltura e floricoltura del dipartimento di scienze agrarie dell'Università di Pisa, guidato dal professor Alberto Pardossi, ha realizzato uno studio per valutare nuove modalità di irrigazione che siano in grado di aumentare l'efficienza irrigua e accrescere la redditività dei vivai di piante in contenitore.

Lo studio, poi pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Agricultural water management, è stato portato avanti durante quattro anni a Pistoia, uno dei maggiori centri europei per la produzione di piante ornamentali da esterno in vaso.

Pistoia ha circa 4500 ettari dedicati alle colture di piante ornamentali, di cui più di 1000 ettari di superficie è dedicata al vivaismo di piante in vaso, con un consumo annuo di acqua che si aggira intorno a 12 milioni di metri cubi, quasi quanto l'intero consumo idrico civile di tutta la città.

E di questi 12 milioni di metri cubi, si stima che una percentuale compresa tra il 30% e il 50% venga data in eccesso, anche se buona parte di questa viene raccolta nei bacini presenti nelle aziende, e poi in parte riutilizzata nell’irrigazione. Tuttavia, l’acqua di drenaggio dilava dalla zona radicale residui di concimi e di agrofarmaci, che quindi debbono essere risomministrati frequentemente alle piante con aggravi dei costi di produzione, anche per il pompaggio e la filtrazione di cospicui volumi d’acqua drenata.

Un sistema che sta diventando non più sostenibile, soprattutto per la limitatezza delle risorse idriche, tanto che alcune aziende vivaistiche stanno spostando la produzione in altre aree della Toscana e dell’Italia. In futuro poi si potrebbe creare una competizione per l'acqua tra l'utilizzo agricolo e il consumo umano, come già avvenuto in Florida, dove esistono limitazioni nell'uso irriguo in vivai situati nelle vicinanze di centri urbani.

Tra le cause di questo eccesso di consumi c'è soprattutto l'adozione di piani irrigui troppo semplificati, basati quasi esclusivamente sulle impressioni degli agricoltori e sul fatto che i substrati utilizzati sono molto drenanti, favorendo un rapido allontanamento degli eventuali eccessi idrici. A questo si aggiunge un non elevato utilizzo di sistemi chiusi, sistemi che sono in grado di riutilizzare le acque date in eccesso, soprattutto a causa delle complessità degli impianti a sistema chiuso e dei rischi di diffusione di malattie radicali.

Lo studio coordinato da  Pardossi ha messo a confronto i piani di irrigazione ordinari, basati su irrigazione effettuata con impianti automatizzati a tempo, programmati secondo le impressioni del vivaista e due piani sperimentali, uno in cui l'acqua era fornita valutando la quantità d'acqua realmente presente nel substrato dei vasi tramite sensori dielettrici – metodo del contenuto idrico volumetrico del substrato –, l'altro valutando l'acqua evaporata dal vaso e traspirata dalle foglie – metodo dell'evapotraspirazione.

Particolare dell'impianto automatizzato di irrigazione usato nella prova
(Fonte foto: Giorgio Incrocci - Università di Pisa)

Nel metodo basato su sensori che misurano il contenuto idrico del substrato, in un solo vaso era installato un tensiometro o un sensore dielettrico per misurare l'umidità del terreno. Un sistema automatizzato attivava l'impianto di irrigazione quando il sensore scendeva sotto una determinata quantità, riportando il contenuto di acqua nel vaso al livello iniziale.

Nel metodo basato sull'evapotraspirazione, cioè sul volume di acqua evaporato dal substrato e traspirato dalle foglie, questa quantità di acqua consumata dalla cultura era stimata in base a dati ambientali e a tabelle specifiche della coltura. Quindi, il valore cumulato veniva ridato alle piante tramite il sistema di irrigazione.

Nei quattro anni di studio, con i due modelli sperimentali la riduzione di acqua somministrata alle piante è stata ridotta dal 21% al 40%, con una quantità di acqua percolata dai vasi, cioè di acqua sprecata, compresa tra il 38% e il 62% in meno, rispetto ai piani irrigui tradizionali. Tutto senza effetti negativi sulle colture.

Il risparmio idrico era dovuto ad un minor numero di interventi irrigui, e non tanto a una minor quantità di acqua data alle piante durante ogni irrigazione. Venivano eliminate cioè le irrigazioni superflue.

I due sistemi sperimentali ad oggi non risultano complessi da utilizzare nella realtà produttiva. I tensiometri o i sensori dielettrici per valutare lo stato idrico del terreno o del substrato sono commercialmente disponibili e l'utilizzo di un solo apparecchio in un singolo vaso della coltura rende l'investimento tecnologico più che sostenibile.

Il metodo dell'evapotraspirazione è un classico metodo agronomico per valutare l'acqua persa da una coltura, e per applicarlo esistono già numerose tabelle specifiche di varie colture, tabelle che devono essere specifiche per il tipo di pianta coltivata e che ovviamente possono essere perfezionate per aumentarne l'efficienza.

Lo sviluppo tecnologico nel settore dell'informatica e dell'automazione inoltre può già consentire di automatizzare gli impianti di irrigazione esistenti, in modo da somministrare solo il volume d'acqua necessaria stimata con i metodi descritti.

Lo studio è stato realizzato su piante arbustive ornamentali, ma i risultati possono ovviamente essere sfruttati anche su altri tipi di coltivazioni in contenitore, come piante da frutto o aromatiche e officinali.

Insomma risparmiare acqua si può e si deve. E inoltre conviene.