È stato firmato ad Expo 2015 il protocollo d'intesa tra i distretti produttivi del pomodoro da industria del Nord e Sud Italia.
A sottoscrivere il documento, alla presenza del ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina e del sottosegretario De Micheli, Pier Luigi Ferrari, presidente dell’Organizzazione Interprofessionale del Pomodoro da industria del Nord, e Annibale Pancrazio, presidente del Polo distrettuale del Centro-Sud.

Perché questo matrimonio "in rosso'"? Le motivazioni sono due: primo, offrire al consumatore estero, destinatario del 70% della produzione nazionale, un messaggio promozionale unico e forte, capace di combattere l'italian sounding e di offrire qualità e genuinità, all'insegna della tradizione. Secondo, avviare uno scambio di informazioni per pianificare al meglio coltivazione e produzione.

Ma andiamo con ordine: l'export. L'Italia oscilla tra essere il secondo e terzo produttore al mondo. Se la gioca con la Cina, subito dietro gli Stati Uniti. “Ma l'Italia ha il plus di avere una tradizione nella coltivazione e produzione di pomodoro che gli altri non hanno e su queste basi deve costruire la sua strategia per conquistare i mercati esteri”, spiega Pier Luigi Ferrari. 

D'altronde il pomodoro lavorato è una commodity e per l'Italia non avrebbe senso puntare su grandi volumi in una guerra con giganti come Cina e Stati Uniti. Meglio allora garantire la qualità, sfruttando il marchio Made In Italy, e pianificare la produzione.

Già, perché uno dei mali del settore è l'oscillazione dei prezzi. Quando nelle campagne si producono troppi pomodori il prezzo crolla e gli agricoltori ne risentono. Quando invece la produzione si contrae allora sono le industrie a soffrire. La soluzione? Scambiare informazioni tra nord e sud, tra agricoltori e industria per raggiungere accordi sulla pianificazione.

Come riporta il protocollo le parti si impegnano dunque a “definire le modalità di scambio dei dati sulle superfici destinate alla coltivazione del pomodoro da industria, sulle quantità contrattate, sulle quantità consegnate alle imprese di trasformazione e sulle quantità di prodotti ottenuti nella relativa area di competenza”. 

Sul versante della comunicazione saranno invece “predisposte azioni condivise verso gli Organismi internazionali di rappresentanza (Oeit, Amitom, Wptc). Per raggiungere questi due obiettivi Oi Nord e polo distrettuale del Sud costituiranno un gruppo di lavoro per arrivare a redigere una bozza di regolamento attuativo del protocollo che sarà sottoposto alla successiva approvazione da parte degli organi statutari di ciascuna delle parti”.

Di questo matrimonio il settore ne sentiva l'esigenza ormai da anni e se ne era parlato anche durante l'Assemblea nazionale di Anicav (Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali), a novembre 2014. In quell'occasione il presidente Antonio Ferraioli aveva ricordato come  “è necessario lavorare tutti insieme. Solo uno spirito unitario e obiettivi condivisi possono rappresentare la strategia migliore per aumentare la competitività del settore”. 

Ma quali sono i numeri del comparto? Le aziende italiane – secondo le rilevazioni dell'Anicav – hanno trasformato nel 2014 4,9 milioni di tonnellate di pomodoro, divisi in parti praticamente uguali nei distretti del Nord e del Sud. L'Italia, terzo trasformatore dopo Usa e Cina, detiene una quota pari al 12% della produzione mondiale che ammonta a circa 40 milioni di tonnellate. 

La percentuale sale sensibilmente se si considera il solo mercato europeo, dove il nostro Paese ha il 54% del mercato del trasformato, con un fatturato totale di circa 3 miliardi (le esportazioni raggiungono il 72% nel solo distretto delle Conserve di Nocera che rappresenta il principale polo produttivo). I lavoratori del settore sono circa 30 mila tra fissi (10 mila) e stagionali (20 mila).
 

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