Una maiscoltura che non accetta di restare indietro. Quella italiana? No, quella spagnola. Intendiamoci, la colpa dell'arretratezza maidicola nostrana non è certo dei maiscoltori, i quali da anni caldeggiano l'adozione nel Bel Paese degli ibridi biotech, uno su tutti il Mon810 resistente ai lepidotteri, ibrido intorno al quale nel Friuli di Giorgio Fidenato e di Silvano Dalla Libera si è scatenata la guerra fra coltivatori pro-ogm e il "resto del Mondo", ove con tale espressione ci si rivolge fondamentalmente ai soliti anti-ogm a prescindere, Coldiretti in testa.
Non che l'ostruzionismo verso gli ogm sia una peculiarità tutta Italiana, onestamente. Navigando su web  si possono infatti trovare notizie e resoconti che rasentano lo spassoso, come quello che a Londra vide protagonista Lord Peter Melchett, allora Direttore esecutivo di Greenpeace per l'Inghilterra. Lord Melchett, interrogato sui perché della sua opposizione agli ogm, rispose che "[...] vi sono rischi inaffidabili e imprevedibili. Si tratta di una opposizione permanente, definitiva e completa basata sulla visione che ci saranno sempre grandi incertezze. È la natura della tecnologia, in verità è la natura della scienza, che non vi sarà alcuna prova assoluta. Nessuno scienziato si sederà mai davanti a voi sostenendo ciò, se è un vero scienziato".

Era il 1998, ma a giudicare dal vuoto biotecnologico che ancora oggi insiste nei campi inglesi, si può solo constatare quanto personaggi come Lord Melchett abbiano avuto sino a ora un peso di gran lunga superiore perfino ai reiterati pareri favorevoli dell'Efsa. Forse, seguendo il suo stesso approccio della "certezza 100%", l'integralista Lord inglese non è mai nemmeno salito su un aereo, oppure non ha mai guidato una macchina. Perché se così invece fosse, vi sarebbe da chiedergli in base a quale rassicurazione totale e scientifica abbia mai preso la decisione di salire a bordo, dato che ogni anno muoiono migliaia di persone in incidenti automobilistici e aeronautici.  
Humour inglese a parte, e tornando ai tempi nostri, appare quanto mai interessante analizzare ciò che avviene in Spagna, Paese che invece di Lord Melchett e di associazioni tipo Coldiretti non pare averne in circolazione sul territorio nazionale. Leggendo infatti il report dell'Efsa prodotto in base ai dati del Ministero spagnolo per l'Agricoltura, l'Ambiente e la Pesca, pare di essere piovuti su un altro pianeta.

Di ettari di mais ne verrebbero coltivati in Spagna quasi 360 mila (2008), di cui circa 80 mila sarebbero ogm, resistenti alla Piralide. Numeri che ultimamente sono per giunta saliti, facendo arrivare il mais Bt a sfiorare il 25% delle superfici nazionali a mais. Problemi? A quanto pare manco per niente.
La crescita in Spagna dei mais Bt, i medesimi tanto reclamati in Friuli, è stata dovuta al fatto che i trattamenti insetticidi constavano molto e per di più mostravano talvolta risultati insoddisfacenti.
Il valore dei danni da lepidotteri si fissa infatti su una media del 5-7%, con valori che salgono anche al 10% quando la piralide picchi duro, anche in presenza di trattamenti con insetticidi. In assenza di questi le perdite possono poi salire al 15%, con tutte le conseguenze anche per la proliferazione di micotossine. Utilizzando i mais Bt, invece, si ottengono incrementi medi della produzione intorno al 6,3%, passando da un minimo dell'1% con scarsa infestazione a valori compresi fra 10 e 20% quando invece la piralide sia presente in modo significativo. Per giunta, i mais Bt non hanno mai causato allerte micotossine, mentre queste sono state contate in ragione di 62 fra mais convenzionali e mais biologici. La ripartizione degli allarmi fra i due tipi di agricoltura è 69-31. In altre parole, nonostante il mais Bio in Spagna si aggiri solo sull'1% delle superfici da esso si genera ben il 31% delle allerte micotossine. Numeri che dovrebbero fare riflettere, perché mentre la pericolosità del mais Bt è ancora tutta da dimostrare, la tossicità delle micotossine è stata ormai ampiamente accertata.

In ogni caso, la Spagna si è comunque preoccupata di fissare delle regole per normare la coesistenza fra ogm e non, andando incontro alle richieste dei produttori che gli ogm proprio non li vogliono. Pure sono stati condotti studi per valutare gli impatti su altre specie, in altre parole sulla tanto citata "biodivesità". Dagli studi condotti non sono emersi problemi, nemmeno a carico di artropodi utili come per esempio i predatori che contribuiscono a controllare i parassiti del mais. Come pure sono bastate aree di rispetto di poche decine di metri fra un campo e l'altro per eliminare i problemi di contaminazione.

Non resta ora che aspettare. Aspettare che l'Italia si decida ad andare in vacanza in Spagna, ma non a Ibiza o a Maiorca, bensì fra i campi di granturco gm, in modo da capire che non vi è alcun rischio di essere fagocitati da strane piante carnivore, né di cambiare colore della pelle. Abbronzatura a parte, ovviamente.
Se ciò dovesse prima o poi accadere, chissà, magari la Guardia Forestale potrebbe finalmente evitarsi controlli in campo e distruzioni programmate, come quella appena compiuta ai danni di alcuni appezzamenti seminati per protesta proprio da Giorgio Fidenato. E anche la politica nazionale potrebbe finalmente prendere posizioni scientifiche anziché demagogiche, atte alla soddisfazione di un'opinione pubblica che di ogm sa solo quello che i soliti noti hanno voluto farle sapere.