L’Italia è, dopo la Cina, il primo produttore mondiale di actinidia: un primato che - grazie alla qualità della produziona - le assegna anche il primo posto nell’esportazione.

Questi traguardi sono stati però messi a dura prova dalla batteriosi, una malattia che, a partire dal 2008, ha provocato danni gravissimi a questa coltura in tutte le maggiori aree di produzioni italiane, anche per la mancanza di efficaci mezzi di cura.

Diventa fondamentale, quindi, il contributo della ricerca per individuare e sviluppare strategie di lotta in grado di garantire il futuro di un frutto così ricco di vitamine e buono.

I primi risultati del lavoro svolto in tal senso dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), sono stati presentati oggi al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali nel corso del convegno conclusivo dei progetti Intercat “Interventi di coordinamento ed implementazione delle azioni di ricerca, lotta e difesa al cancro batterico dell’actinidia (Psa)” ed Ardica “Azioni di ricerca e difesa al cancro batterico dell’actinidia (Psa)”, strettamente collegati tra loro e condotti dal Cra con il Centro Servizi Ortofrutticoli (Cso) di Ferrara.

I ricercatori hanno  - da una parte - aumentato le conoscenze di base sul batterio e sulla sua interazione con la pianta-ospite, mentre dall’altra hanno invece definito e sperimentato tecniche agronomiche per contrastare la diffusione del patogeno e ridurre la sua pericolosità.
Sono state inoltre migliorate e velocizzate le tecniche diagnostiche ed è stato impostato, per la prima volta in Italia, uno specifico piano di miglioramento genetico per l’individuazione di germoplasma di actinidia tollerante o resistente alla malattia.

Dagli studi è emerso che i principali fattori predisponenti la malattia sono gelate e forte piovosità, mentre i periodi più a rischio sono autunno-inverno e di inizio primavera. Inoltre, grazie alle conoscenze acquisite, si è riusciti ad individuare in quale momento i trattamenti di difesa della piante riducono al massimo la possibilità di diffusione nei e tra i frutteti.

E’ stata accertata una chiara correlazione tra composizione chimica del suolo e la predisposizione alla batteriosi; tale relazione risulta differente per il kiwi giallo e il kiwi verde. Sono state proposte forme di allevamento della pianta che, aumentando la circolazione dell’aria all’interno della chioma e riducendo il volume di legno colonizzabile dal batterio, riducono significativamente l’incidenza della malattia. Sono stati individuati alcuni nuovi composti chimici e di origine biologica in grado di ridurre efficacemente la severità e l’incidenza della malattia in pieno campo.

E’ possibile constatare che -  ha affermato Marco Scortichini, direttore dell'Unità di ricerca per la frutticoltura del Cra di Caserta - dove vengono scrupolosamente applicati gli accorgimenti tecnico-agronomici, emersi delle nostre ricerche, si riesce a convivere con la batteriosi, anche in aree dove l’incidenza della malattia negli anni passati era fortissima e dove permangono ancora tutti i fattori predisponenti l‘insorgenza della stessa”.