Un tema che sta agitando molto le acque del Vecchio Continente, quello legato alla querelle fra Pioneer e chi cerca di ostacolare l’autorizzazione di un suo ibrido di mais transgenico, il “1507”.
Agronotizie ha già trattato per quattro volte di ciò, a dimostrazione che l’argomento è uno di quelli che scotta. Ai piedi dell’articolo sono riportati per comodità i link ai precedenti articoli.
 
Mancava però un approfondimento con la società direttamente interessata, ovvero DuPont Pioneer.
Agronotizie ha quindi intervistato Paolo Marchesini, Govt. Regulatory &Public Affairs Manager della multinazionale americana, il quale reputa alquanto anomalo l’attacco mosso alla Commissione. Questa, infatti, sarebbe ora sotto accusa da parte degli anti-Ogm per aver dato il via libera all’ibrido “1507”, resistente alla Piralide e alle nottue del mais. Di fatto però, la Commissione avrebbe solo dato seguito a una decisione della Corte di Giustizia europea, nata al termine di un iter procedurale che per certi versi pare sconfinare nel grottesco.

Riassumendo brevemente, nel 2001 Pioneer presentò il dossier relativo al “1507” e da lì iniziarono diversi rimpalli fra l’Efsa e varie commissioni. Nel 2009, a fronte dell’immobilismo generale, venne intentata da Pioneer la prima causa per sollecitare il voto, invocando il cosiddetto “failure to act”, ovvero se hai gli elementi per votare ma non voti, alla fine ti si chiede di farlo tramite vie legali. La Commissione perse davanti alla Corte di giustizia europea, quindi dovette votare, ma senza arrivare al dunque. Da lì si ripartì coi rimpalli e i temporeggiamenti.
Nel frattempo l’Efsa ha emesso altri quattro pareri scientifici favorevoli, i quali si sono sommati ad altri tre precedenti. Con la sentenza della Corte di Giustizia europea la Commissione fu quindi obbligata a dare un parere entro 90 giorni. La linea di difesa, cioè quella contraria all’autorizzazione, sarebbe stata infatti basata su alcune supposte lacune nei dossier e la Corte avrebbe trovato queste argomentazioni non valide per bloccare l’iter di autorizzazione.
Ora il “1507” va quindi avanti, fra infinite polemiche generali, mentre nel resto del Mondo trova applicazione da molto tempo. Viene infatti coltivato in Usa da circa una dozzina di anni e altri 11 Paesi lo hanno autorizzato per la coltivazione. Ben 42 i Paesi che invece lo hanno autorizzato per il consumo alimentare. L’ultimo di essi è rappresentato dalle Filippine, ove si è data luce verde all’ibrido nel 2013.
Giusto per chiarire un equivoco, Marchesini ci tiene a ricordare che la resistenza al glufosinate sarebbe stata scelta unicamente per essere utilizzata come marker nelle fasi di selezione della nuova genetica. Il glufosinate non ha infatti usi nei diserbi del mais, quindi non è corretto considerarlo come ibrido a doppia resistenza. Un aspetto curioso della vicenda è quello che vede 19 Paesi tuonare oggi contro le decisioni europee, quando in realtà sono proprio quelli che hanno votato questo tipo di iter normativo. Pure hanno voluto l’Efsa, riferimento scientifico alle cui valutazioni ora dicono no.
Insomma, pare che in Europa le idee sugli Ogm siano magari tante, ma molte di esse appaiono alquanto confuse. Per lo meno incoerenti. Il rischio di questi atteggiamenti ostruzionistici è quello di pagare le conseguenze in termini di innovazione. Lo stesso Owen Paterson, segretario del Dipartimento britannico per l’ambiente, il cibo e gli affari rurali, ritiene che l’ostilità europea alle biotecnologie potrà solo agevolare i concorrenti stranieri, i quali stanno facendo nel frattempo veri e propri balzi in avanti dal punto di vista della ricerca e dei prodotti.
 

Cosa pensano i commercianti europei di cereali


Secondo i dati di “Coceral”, comitato europeo per il commercio dei cereali, l’Europa già importa il 70% delle sue proteine vegetali con cui rifornire l'industria dei mangimi, ovvero quei prodotti che servono a sostenere gli allevatori. Ciò comporta dei rischi concreti. Per esempio, gli Stati Uniti coltivano oggi 69,5 milioni di ettari a soia e mais gm. Inoltre, l'autorizzazione e la commercializzazione di queste colture prosegue a ritmo costante, un ritmo al quale le procedure di autorizzazione europee non riescono a tenere il passo. Una volta che un ibrido viene commercializzato in qualche Paese produttore è solo questione di tempo prima che tracce di esso  appaiano nelle partite spedite a livello internazionale.
Ciò crea in Europa un problema di conformità legale per cui il commercio si ferma, rompendo le forniture. Negli ultimi 15 anni i commercianti europei e americani di grano e di semi oleosi hanno infatti dovuto affrontare numerosi incidenti correlati a presenza di Ogm non autorizzati. L’asincronia di approvazione degli ibridi gm fra Usa ed Europa crea di fatto gravi costi. Basti pensare che un singolo episodio, ad esempio un carico di 50 mila tonnellate di mais respinto alla dogana, significa una perdita di 25 milioni di euro per gli importatori, che quella partita comunque la pagano.
In altre parole, anche gli Italiani devono pagare per questa situazione di asincronia registrativa. E chi si illude che l’agroalimentare italiano verrà rilanciato dall’Expò 2015, sarà bene che riveda i propri sogni: all’Expò verranno per lo più Paesi che cercano di vendere qualcosa a noi, più che comprare salumi e formaggi tipici...
 

Un parallelo Italia-Spagna

 
Nei primi Anni 2000 l’Italia era più o meno autosufficiente quanto a mais. Il disaccoppiamento ha però penalizzato molte aree marginali, ove la coltura è stata abbandonata. In più, la resa media del decennio sarebbe scesa rispetto al periodo precedente, nonostante siano arrivate diverse innovazioni. La resa media avrebbe dovuto quindi salire, invece è “stranamente” diminuita. Oggi l’Italia deve importare mais per soddisfare i propri fabbisogni, soprattutto zootecnici. Quindi per produrre il latte e i maiali che diventeranno blasonati formaggi e prosciutti, dobbiamo importare molti più prodotti di prima. E tanti di questi sono per giunta Ogm, checché ne pensino i puristi dell'anti-biotech.
Intanto in Spagna il mais Bt, resistente alla piralide, ha preso sempre più piede e la sua diffusione ha contribuito a ridurre le  importazioni di mais di oltre 850 mila tonnellate tra il 1998 e il 2013. Grazie a ciò, le filiere maidicole spagnole si sarebbero risparmiate oltre 150 milioni di euro, rimasti nelle tasche degli agricoltori anziché prendere la via di Usa, Brasile e Argentina. Questi Paesi, per di più, preferiscono mandare il proprio mais in Cina o altri paesi del genere, dove vi sono meno burocrazie e ostacoli stressanti da superare. Quindi l’Europa rischia di essere sempre meno ben vista come interlocutore commerciale. Italia in testa, ove pare che il principio di innovazione sia stato soffocato dal principio di precauzione, confuso troppo spesso con il principio di proibizione a prescindere.
Nel frattempo, materie prime di pregio come le carni continuano ad arrivare in Italia da Paesi ove gli animali sono allevati con diete a forte tasso di Ogm. Carni che poi vengono semplicemente stagionate e marchiate in alcune precise aree geografiche e quindi, per Legge, possono essere poi vendute come Igp. Tipiche, insomma, anche se quello che addentano i consumatori muggiva in brasiliano o argentino. E muggiva per reclamare il proprio pasto. Ovviamente Ogm.
 
 
 
Per ripercorrere la vicenda "1507" si può inoltre leggere:
 
Ogm, veto del Parlamento Ue al mais "Pioneer 1507"
 
Nulla di fatto per il mais Ogm Pioneer 1507
 
Mais Ogm Pioneer, la Commissione "obbligata" a dire sì
 
Mais Pioneer, "niet" di Bruxelles alle richieste di 12 Stati anti-Ogm