Un ecosistema può essere più o meno complesso a seconda di quanto sia naturale (una foresta) o di quanto invece sia disturbato e modificato dall'uomo (un ciliegeto). Gli ecosistemi agricoli o agroecosistemi possono essere molto semplici e questo vuol dire che c'è poca biodiversità cioè scarsa presenza di specie animali e vegetali distinte in uno stesso luogo.

 

Una foresta, ricca di biodiversità, è caratterizzata da una serie di meccanismi che a livello biologico sono in equilibrio e che tengono a bada eventuali esplosioni di malattie o di fitofagi dannosi, tipiche invece degli agroecosistemi. In un ciliegeto gli equilibri biologici sono alterati e l'arrivo di un insetto dannoso, per esempio il moscerino dei piccoli frutti Drosophila suzukii, diventa uno tsunami se mancano gli elementi in grado di regolarne e contenerne la popolazione.

 

È qui che nasce il concetto di lotta biologica, per lo più legato al controllo dei fitofagi. Un'idea semplice, perché già presente in natura, ma riadattata all'agroecosistema con l'obiettivo di gestire in maniera sostenibile gli attacchi degli artropodi dannosi. La lotta biologica consiste nell'uso di organismi viventi, predatori, parassitoidipatogeni per contenere una popolazione di organismi dannosi sfruttando i fenomeni di antagonismo tra le specie.

 

Un tema centrale, questo, per il corso di alta formazione "Biosolution Academy" che si occupa proprio di formare esperti sullo sviluppo di alternative ai prodotti chimici di sintesi per la difesa delle piante. A spiegare principi e modalità di applicazione Luciana Tavella e Chiara Ferracini dell'Università degli Studi di Torino e Lucia Zappalà dell'Università degli Studi di Catania.

 

La lotta biologica è un mezzo di controllo dei nemici delle piante che , se ben applicato, è sicuro per l'ambiente, altamente selettivo e specifico nella sua azione. I suoi maggiori vantaggi sono quelli di dare risultati duraturi nel tempo e permettere il ripristino degli equilibri ecologici naturali. La professoressa Tavella, infatti, spiega che: "Quando l'equilibrio naturale è perturbato e la biodiversità è stata ridotta, è normale aspettarsi le pullulazioni di alcuni fitofagi. Un esempio pratico è quello degli acari tetranichidi (comunemente noti come ragnetti rossi o gialli). In un ambiente non perturbato non ci si rende conto della loro presenza, quando si incominciano ad usare fitofarmaci deleteri per i loro predatori, gli acari fitoseidi, allora prendono il sopravvento".

 

Storia della lotta biologica classica: vantaggi e criticità

Siamo negli Stati Uniti alla fine del 1800 e gli agrumeti della California sono invasi dal fitofago dannoso Icerya purchasi, una cocciniglia proveniente dall'Australia dove è sempre stata considerata innocua. È in questo momento che nasce la lotta biologica, con la proposta di raccogliere in Australia gli antagonisti naturali della cocciniglia. Viene quindi introdotto il predatore Rodolia cardinalis, un efficientissimo coccinellide che è riuscito a debellare completamente I. purchasi in California.

 

Nello specifico, questa è la così detta lotta biologica classica e prevede l'introduzione di uno o più nemici naturali contro specifici fitofagi esotici (arrivati accidentalmente in un nuovo paese e qui privi di antagonisti coevoluti), dallo stesso luogo di origine. L'organismo vivente viene quindi introdotto come nemico naturale in un'area in cui non esisteva precedentemente, per il controllo a lungo termine del fitofagiesotico .

 

Un grande successo e una tecnica che si diffuse immediatamente in tutto il mondo. In Italia la R. cardinalis arrivò nel 1901 diventando di fatto il primo insetto utile introdotto nel nostro Paese. Ad oggi si è acclimatata negli agrumeti di tutto il mondo insieme al suo ospite che non è più considerato pericoloso.

 

Dopo l'introduzione di R. cardinalis, in Italia sono stati introdotti altri insetti:

  • 1906 Encarsia berlesei contro Pseudaulacaspis pentagona su pesco;
  • 1923 Aphelinus mali contro l'afide Eriosoma lanigerum su melo;
  • 1968 Polynema striaticorne contro Stictocephala bisonia su fruttiferi.

E complessivamente dal 1970 sono state introdotte circa una cinquantina di specie entomofaghe delle quali soltanto una decina sembrano essersi ben acclimatate e svolgere una efficace azione di contenimento; in concomitanza sono nate anche le biofabbriche per l'allevamento massale di questi insetti.

 

Per conoscere i numeri a livello mondiale si può fare riferimento al database Biocat che include tutti i dati delle introduzioni di insetti antagonisti per il controllo di insetti nocivi nel mondo. Dal 1890 ad oggi sono state introdotte 2384 specie di entomofagi che hanno portato alla riduzione permanente di 172 fitofagi.

 

Perché la lotta biologica di tipo classico funzioni al meglio la professoressa Tavella raccomanda di scegliere bene l'antagonista naturale: "L'importante è avere un fitofago che nel paese di origine è tenuto sotto controllo da qualche limitatore. Una volta individuato quello più adatto alle mie condizioni della nuova area, lo importo e lo rilascio in modo che, una volta insediato, segua il fitofago ricreando un equilibrio naturale duraturo. È qualcosa di estremamente utile e vantaggioso".

 

Inizialmente però, l'errata classificazione delle specie esotiche e le scarse conoscenze sul loro ciclo biologico, hanno fatto sì che la lotta biologica classica non sempre funzionasse come doveva e potesse addirittura comportare rischi, di conseguenza ad un certo punto è stata interrotta. "Se non scelgo un limitatore naturale specifico per l'insetto bersaglio si rischia che, una volta importato, questo riduca altri organismi non bersaglio o entri in competizione con gli antagonisti già presenti nel paese in cui è stato introdotto. La lotta biologica classica è stata fermata per tanti anni, dal 2003 al 2020, a causa dei rischi delle introduzioni poco ragionate".

 

Il caso che ha creato maggiori criticità in questo senso è quello della coccinella arlecchino, Harmonia axyridis, originaria dell'Asia e oggi presente in tutto il mondo. Introdotta nel 1916 negli Usa come agente di controllo biologico di afidi, si è dimostrata poi essa stessa dannosa. A partire dalla fine degli anni '80, infatti, ha cominciato a diffondersi in tutti gli Stati Uniti in maniera incontrollata, per poi colonizzare il Sud America, l'Egitto, il Sudafrica e l'Europa. Ci è riuscita perché, oltre a predare gli afidi, è particolarmente aggressiva anche nei confronti dei nemici naturali autoctoni, riuscendo così a sostituirsi a loro. È fastidiosa in ambito urbano perché forma degli aggregati nelle case; nell'agroecosistema vigneto è dannosa perché poco prima della vendemmia gli adulti tendono ad aggregarsi sui grappoli e ad imbrattarli di sostanze aromatiche dall'odore sgradevole che possono alterare definitivamente il sapore del vino.

 

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Aggregazioni di Harmonia axyridis

(Fonte foto: Biosolution Academy)

 

Ad ogni modo, la ricerca ha fatto tanta strada negli anni ed è per questo che oggi prima di introdurre un agente di controllo biologico sono richiesti studi di risk assessment o analisi del rischio, che hanno come obiettivo quello di valutare tutti gli effetti che il nuovo antagonista esotico può avere nell'ambiente in cui viene introdotto. Le componenti da considerare sono veramente tante e gli studi vanno effettuati in condizioni sia di laboratorio che di semi campo finché non si ha la certezza che l'antagonista attacchi l'insetto bersaglio piuttosto che su un altro non bersaglio.

 

I diversi metodi di lotta biologica

Le strategie di lotta biologica variano a seconda della biologia della specie utilizzata e delle caratteristiche climatiche e ambientali in cui si opera, e in relazione all'obiettivo prefissato possono essere distinti differenti metodi.

 

Il metodo propagativo è sinonimo della lotta biologica classica, e quindi prevede l'introduzione dalle aree di origine della specie dannosa di uno o più nemici naturali nel tentativo di ottenerne il controllo permanente mediante il raggiungimento dell'equilibrio naturale presente nell'areale di origine.

 

Il metodo aumentativo è volto a contenere la popolazione dell'organismo dannoso subito e immediatamente distribuendo gli agenti biotici per aumentarne temporaneamente le popolazioni. Comprende il metodo inondativo, in cui viene introdotto in campo un numero elevato di un nemico naturale per ottenere un rapido decremento del fitofagi, come se fosse un fitofarmaco e il metodo inoculativo, che consiste nel rilascio periodico di organismi agenti di controllo biologico, necessario se la stessa specie scarseggia in campo, o se proviene da un altro areale di origine e fatica ad acclimatarsi stabilmente al nuovo ambiente.

 

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Infine, il metodo conservativo, detto anche protettivo, non è altro che l'applicazione di una serie di pratiche agronomiche che hanno lo scopo di preservare e/o potenziare l'azione svolta dai nemici naturali già presenti in campo. Le pratiche riguardano la manipolazione dell'ambiente attraverso, per esempio, la manutenzione di siepi o strisce tampone come siti rifugio, l'incremento di ospiti alternativi e la riduzione di pratiche agronomiche sfavorevoli come l'uso di fitofarmaci ad ampio spettro d'azione.

 

È il metodo su cui si dovrebbe puntare di più anche se è il più difficile da mettere in pratica perché le azioni da adottare vanno contestualizzate a seconda dell'areale in cui si sta lavorando e il tutto va valutato a 360 gradi. La professoressa Tavella suggerisce: "Per esempio, quando si progettano fasce tampone è fondamentale lavorare insieme tra patologi, entomologi e malerbologi. Queste vanno bene mitigare il rischio di inquinamento dei corsi d'acqua da prodotti fitosanitari ma se, opportunamente scelte, sono in grado di trattenere i fitofagi e promuovere gli antagonisti, vanno bene anche per la lotta biologica conservativa".

 

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(Fonte foto: Biosolution Academy)

 

Specie esotiche: come arrivano e perché riescono ad acclimatarsi così facilmente? Quali le prospettive future?

La lotta biologica, come si evince, è stata ed è ancora particolarmente importante per contrastare i danni dovuti all'arrivo di specie esotiche invasive, dette anche specie aliene, che provengono da un altro paese e non fanno parte della fauna autoctona. Una tendenza, questa, in costante aumento grazie alla globalizzazione e al cambiamento climatico, che permettono gli spostamenti e il facile adattamento delle specie. Queste, infatti, se trovano condizioni climatiche favorevoli e disponibilità di piante ospiti possono acclimatarsi facilmente nella nuova area perché hanno una maggiore competitività rispetto alle specie autoctone data dal fatto che il più delle volte non vi sono nemici naturali in grado di contenerle. Questo fa sì che soprattutto all'inizio si osservi una crescita esponenziale e danni non solo ambientali, ma anche economici e sociali.

 

Quali prospettive future? "È logico che gli insetti esotici si muoveranno sempre di più. Probabilmente andremo incontro ad una globalizzazione anche degli insetti e diventerà sempre più difficile mantenere degli endemismi. Ma c'è la speranza che questi insetti si muovano con il loro antagonista naturale", spiega Luciana Tavella che continua "Un insetto giunto un po' di anni fa dal Nord America è arrivato già accompagnato dal suo limitatore per cui alla fine non ce ne siamo nemmeno resi conto". In questo caso si parla infatti di lotta biologica fortuita e un esempio è quello della cimice asiatica, il cui arrivo ha preceduto di qualche anno quello del suo an antagonista Trissolcus japonicus.

 

Il caso studio della cimice asiatica

È dannosa quanto famosa. Halyomorpha halys compie nella nostra area 2 generazioni all'anno e una femmina può deporre dalle 7 alle 15 ovature (circa 28 uova per ovatura): è altamente polifaga e questo vuol dire che ha un'ampia gamma di piante ospiti coltivate e spontanee, ed è molto mobile (in media si sposta di 2,7 chilometri al giorno).

 

La lotta chimica applicata in questi ultimi anni non è risultata abbastanza efficace e gli studi si sono concentrati sulla lotta biologica classica. In Asia la cimice asiatica non è dannosa perché la popolazione è tenuta sotto controllo da parassitoidi oofagi del genere Trissolcus (parassitizzano le uova). Anche in Italia ci sono, ma specie diverse, e non potendo introdurre alcun organismo esotico qui da noi, inizialmente sono stati condotti studi volti a valutare se qualche specie autoctona fosse in grado di adattarsi all'ospite esotico. Pertanto uova di H. halys e di cimici indigene sono state raccolte in campo e allevate in laboratorio per verificare l'emergenza di eventuali parassitoidi.

 

Trissolcus kozlovi è risultata l'unica specie congenere in grado di emergere dalle uova di H. halys, dimostrando un possibile adattamento all'ospite esotico. La sua presenza in campo è piuttosto rara ed è stato necessario valutare anche altri nemici naturali indigeni. Tra questi il più comune è stato Anastatus bifasciatus che è in grado di contribuire al controllo di H. halys ed è ora allevato dalle biofabbriche. È da considerare però un parassitoide generalista ampiamente diffuso perché si riproduce a spese di numerose specie ospiti (più di 30) tra emitteri e lepidotteri.

 

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La sorpresa c'è stata pochi anni fa con il ritrovamento in Italia di T. japonicus e Trissolcus mitsukurii, due parassitoidi esotici provenienti dallo stesso areale di origine della cimice. Inizialmente T. japonicus prevaleva al Nord Ovest dell'Italia mentre il T. mitsukurii al Nord Est, ma si stanno diffondendo rapidamente. In particolare, oltre alla diffusione naturale, nel 2020 è stato autorizzato il rilascio di T. japonicus nell'ambito di un programma nazionale di contrasto alla cimice asiatica, che prevede azioni di monitoraggio volte a valutare l'attacco a carico di fitofagi non bersaglio e gli effetti sulla fauna locale.

 

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Trissolcus japonicus che fuoriesce dalle uova di Halyomorpha halys parassitizzate

(Fonte foto: Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell'Università degli Studi di Torino)

 

Lotta biologica contro la Metcalfa 

Metcalfa pruinosa è una cicalina di origine neartica segnalata per la prima volta nel 1979 in Veneto. È polifaga e gli incolti erbacei e arbustivi rappresentano potenziali serbatoi di infestazione. Si nutre di linfa elaborata e sulla pianta provoca rallentamento nello sviluppo dei germogli e produzione di abbondante cera e melata che imbrattano la vegetazione e stimolano lo sviluppo di fumaggini.

 

La lotta chimica non è agevole a causa della polifagia dell'insetto, della mobilità degli adulti e della protezione che dà la cera prodotta dagli stadi giovanili. I limitatori naturali autoctoni non sono risultati efficaci ed è stata messa in atto la lotta biologica classica con l'imenottero Neodryinus typhlocybae, originario del continente americano. Le femmine depongono un uovo sul corpo dei giovani di M. pruinosa e la larva che ne deriva si sviluppa nel suo ospite, sporgendo lateralmente come una sorta di cisti giallastra, e lo porta a morte svuotandolo dall'interno. Le femmine inoltre svolgono attività di predazione nei confronti degli stadi giovanili di M. pruinosa.

 

Introdotto in Europa intorno alla fine degli anni '80, si è subito rivelato molto efficace ed efficiente soprattutto perché i due cicli biologici sono perfettamente sincronizzati: quando è adulto N. typhlocybae ci sono i giovani di M. pruinosa. Viene commercializzato sottoforma di larve mature o pupe e i rilasci sono sempre stati eseguiti lungo i corridoi ecologici o le fasce boscate che tipicamente presentano grandi infestazioni. N. typhlocybae è altamente specifico e nel giro di 2 o 3 anni si ottiene dal 70 al 90% di parassitizzazione.

 

Il cinipide galligeno del castagno e il Torymus sinensis

Il cinipide è una specie asiatica proveniente dalla Cina ed è considerato il fitofago chiave della castagnicoltura, avvistato per la prima volta in Piemonte nel 2002. Le femmine usano il castagno come pianta ospite per deporre le loro uova e così facendo portano alla formazione di galle che non uccidono il castagno ma lo indeboliscono e lo rendono più suscettibile alle altre malattie, con una riduzione della produzione che può arrivare fino al 90%.

 

La lotta chimica è risultata da subito non proponibile perché costosa e non risolutiva perciò si è pensato alla lotta biologica classica. I limitatori autoctoni non sono risultati efficaci, nonostante siano state trovate circa 40 specie di parassitoidi.

 

È stato quindi importato il parassitoide specifico cinese, il Torymus sinensis. Prima dei rilasci in campo sono state eseguite una serie di prove di risk assessment, per esempio prove no choice in cui si obbligava la femmina di T. sinensis a deporre in galle non target (di cinipi de non bersaglio). Non è stata osservata alcuna ovideposizione nei 2 anni di studi e quindi sono stati eseguiti primi rilasci in campo dapprima grazie a parassitoidi inviati dal Giappone e poi creando un allevamento massale sul territorio.

 

I ricercatori lavoravano in questo modo: nelle zone dove il parassitoide veniva rilasciato si prelevavano le galle e si mettevamo in scatole di allevamento. Gli insetti venivano divisi in maschi e femmine e nutriti con del miele, venivano lasciati accoppiare e a distanza di un paio di settimane venivano liberati in campo su castagni infestati. Sono stati effettuati più di 600 lanci in 10 anni in Piemonte, mentre nel triennio 2012-2014 sono stati rilasciati circa 295.220 T. sinensis sul territorio nazionale nell'ambito di progetti ministeriali. I livelli di parassitizzazione sono risultati ottimi e dopo 7-8 anni dai primi rilasci è stato ottenuto il controllo completo. Ad oggi questi continuano soprattutto nel Sud Italia dove il cinipide è arrivato con 6 anni di ritardo.

 

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Torymus sinensis

(Fonte foto: Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell'Università degli Studi di Torino)

 

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Rilasci di Torymus sinensis

(Fonte foto: Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell'Università degli Studi di Torino)

 

Fluttuazioni e oscillazioni nel tempo sono normali, l'importante è prestare alcuni accorgimenti: è necessario che le galle non vengano asportate, in quanto rappresentano un elemento essenziale per il mantenimento del parassitoide nel castagneto; la potatura invernale è permessa, l'importante è non rimuovere bensì mantenere il materiale di risulta della potatura per almeno 2 anni a ridosso delle piante; la potatura verde, invece, non è raccomandata, in quanto le larve del parassitoide sono all'interno delle galle fresche che, come detto,  rappresentano un elemento essenziale per il mantenimento del parassitoide; vanno evitate le irrorazioni con prodotti chimici in particolar modo durante la presenza del parassitoide allo stadio adulto.

 


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