Dopo oltre dieci anni dall’ultima pubblicazione, il ministero della Salute ha messo a disposizione sul proprio portale le “Indicazioni per la gestione delle scorte giacenti di prodotti fitosanitari” in cui aggiorna la precedente linea guida, stilata prima dell’entrata in vigore del regolamento 1107/2009, all’evoluzione normativa sia di settore (il già citato regolamento 1107/2009), che trasversale (il regolamento 1272/2008, il famosissimo CLP, che si applica a tutte le sostanze e miscele pericolose).
 

I paletti dell’Europa

Gli Stati membri si devono muovere nel perimetro della norma europea, il regolamento 1107/2009, che all’articolo 46 fissa come termine massimo per lo smaltimento delle scorte dei prodotti revocati o modificati 6 mesi per la commercializzazione e 18 mesi per l’utilizzo. Gli Stati sono solamente liberi di ridurre il periodo per lo smaltimento delle scorte, mai di aumentarlo, anche se questa volta l’autorità ha fatto molto per venire incontro alle imprese smussando alcune spigolature di una norma pensata sull’esperienza di realtà molto più semplici di quella dei paesi del Sud Europa in generale e dell’Italia in particolare. Ecco le particolarità italiane.
 

Come funziona la linea guida

La linea guida, come tutti i documenti di questo tipo, non ha valore di legge, ma fornisce indicazioni su come dovrà essere regolamentato lo smaltimento delle scorte nei provvedimenti emanati per ogni specifica casistica. In sostanza la linea guida riporta come in ogni decreto dovrà essere scritto il capitolo relativo allo smaltimento scorte, ma non è a sua volta legge, in quanto solo i decreti hanno valore legale.
 

Smaltire o non smaltire?

Una delle piacevoli novità è senz’altro il ritorno della prassi di buon senso di non fissare alcuna scadenza per lo smaltimento delle scorte dei prodotti le cui autorizzazioni hanno subito modifiche di carattere meramente formale, che non riguardano aspetti sanitari, ambientali e agronomici del prodotto.

Modifiche che non prevedono un termine per commercializzazione e utilizzo delle scorte
  • Modifica del nome o della ragione sociale o della sede del titolare dell’autorizzazione
  • Variazioni nelle taglie (peso o volume) ininfluenti sulla stabilità e sulla modalità d’uso del prodotto
  • Inserimento/rinuncia stabilimenti di produzione
  • Inserimento/rinuncia stabilimenti di confezionamento
  • Inserimento/rinuncia distributori
  • Rinuncia ad impieghi per motivi commerciali
  • Cambiamenti formali di etichetta
In questo caso i prodotti con etichetta “obsoleta” possono rimanere in commercio sino a quando le scorte non vengono terminate, qualora nel frattempo non siano intercorse modifiche di altro tipo (es. cambiamento di classificazione). Ad esempio: se un’impresa titolare di autorizzazione cambia nome, es. da "Fitofarmaci efficaci" diventa "Coadiuvanti prestanti" (nomi ovviamente di fantasia), i prodotti che riportano in etichetta il vecchio nome ("Fitofarmaci efficaci") possono essere venduti e utilizzati fino a quando non ce ne sono più.
Fanno eccezione:
  • Modifica del nome commerciale del prodotto
  • Trasferimento di titolarità
In questo caso la linea guida prevede 3 mesi per la commercializzazione delle scorte da parte del titolare della registrazione mentre i prodotti che sono nel magazzino dei distributori, dei rivenditori e degli utilizzatori finali possono essere venduti e utilizzati fino a quando non ce ne sono più. Questa casistica, pur non riguardando aspetti sanitari, ambientali e agronomici dei prodotti interessati, prevede comunque un termine per lo smaltimento delle scorte per il titolare dell’autorizzazione in quanto le modifiche coinvolgono aspetti “sensibili” come la corretta individuazione del prodotto (il nome) e la responsabilità del produttore (titolare dell’autorizzazione), dove le “code” di produzione devono essere mantenute il meno possibile. Da segnalare che la ricerca della fluidità nelle frasi in alcuni casi ne ha diminuito la chiarezza.

In questo caso specifico la linea guida recita: "E’ previsto un periodo di 3 mesi per la commercializzazione da parte del titolare delle autorizzazioni e lo smaltimento delle scorte da parte dei rivenditori e/o distributori e degli utilizzatori finali".
Dal quale si potrebbe erroneamente evincere che vengano concessi 3 mesi sia per la commercializzazione da parte del titolare delle autorizzazioni sia per lo smaltimento delle scorte da parte dei rivenditori e/o distributori e utilizzatori finali.
Invece i bene informati ci hanno confermato che la frase e altre simili va tradotta nel seguente modo.
E’ previsto un periodo di 3 mesi per la commercializzazione da parte del titolare delle autorizzazioni. E’ previsto lo smaltimento delle scorte da parte dei rivenditori e/o distributori e degli utilizzatori finali.
In aggiunta la frase smaltimento delle scorte da parte… etc. etc. in assenza di riferimenti temporali va tradotta in: I prodotti … possono essere venduti e utilizzati fino a quando non ce ne sono più.
 

Revoche

E veniamo agli aspetti spinosi. La norma europea concede, come abbiamo visto, un periodo per lo smaltimento scorte dei prodotti revocati fino a 6 mesi per la commercializzazione e fino a 18 mesi per l’utilizzo delle scorte. Fanno eccezione i casi in cui le motivazioni alla base della mancata approvazione della sostanza attiva e/o la revoca dei formulati sono dovute a preoccupazioni di natura sanitaria e ambientale di tale gravità da imporre il ritiro immediato delle scorte in commercio su tutto il territorio nazionale. Fortunatamente, grazie alla continua evoluzione della ricerca sono tanti anni che non vediamo verificarsi episodi come questo e speriamo che non ce ne sia mai bisogno. I casi di ritiro immediato delle scorte, speriamo solo teorici, sono i seguenti:
  • Revoca di prodotti fitosanitari a tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente (art. 44 del regolamento 1107/2009)
  • Revoca in seguito ad adeguamento alla normativa in materia di residui sulle derrate alimentari (regolamento 396/2005). In questo caso il prodotto viene revocato in quanto è autorizzato solo su colture alimentari (es. mais, patata, pomacee) per le quali sia stata stabilita l’impossibilità di rispettare i limiti massimi di residuo sulle relative derrate, causando quindi un problema sanitario e ricadendo di fatto nella casistica precedente. Se il prodotto che viene revocato per impossibilità di rispettare i limiti massimi di residuo sulle derrate alimentari avesse avuto in etichetta colture cui questi limiti non si applicano (es. colture floreali, ornamentali, usi non agricoli) la revoca si sarebbe tramutata in cancellazione degli usi incompatibili e il problema sanitario non ci sarebbe stato.


Lanciare l’allarme

In questa e in tutte le altre casistiche simili, l’autorità impone al titolare dell’autorizzazione di informare tutti i soggetti potenzialmente coinvolti in modo da prevenire problematiche di carattere sanitario e ambientale dei prodotti interessati.
Fortunatamente tutte le altre tipologie di revoca non sono causate da gravi problematiche sanitarie e ambientali e quindi i vari soggetti della filiera possono avvantaggiarsi del periodo di smaltimento delle scorte. Ecco le casistiche.
  • Revoca in seguito a mancato rinnovo dell’approvazione Ue. In questo caso l’autorità seguirà quanto previsto nel regolamento comunitario di mancata approvazione che, in funzione delle motivazioni del provvedimento, può prevedere periodi di smaltimento scorte anche inferiori ai canonici 6 mesi per commercializzazione e 18 mesi per l’utilizzo.
  • Revoca per inadempimento. Secondo il principio di precauzione è chi vuole commercializzare un prodotto a dover dimostrare che il suo uso secondo etichetta non causa effetti inaccettabili per l’uomo e l’ambiente. Poiché dimostrare la sicurezza del prodotto comporta investimenti che a volte non trovano giustificazione economica o perché semplicemente non è possibile, almeno secondo le attuali norme, succede sempre più spesso che il titolare della registrazione decida di non supportare il prodotto e accetti la conseguente revoca. La linea guida evidenzia le seguenti casistiche:
    • Mancata presentazione della domanda di rinnovo dell’autorizzazione (articolo 43 del regolamento 1107/2009) e/o del relativo dossier: vengono concesse le tempistiche standard di 6 mesi per la commercializzazione e 18 mesi per l’utilizzo
    • La domanda viene presentata ma il dossier viene bocciato: il prodotto viene revocato con le stesse tempistiche e soprattutto stessa decorrenza del punto precedente. Questo punto che equipara “cattivo” dossier a “nessun dossier” appare leggermente punitivo per chi ha cercato di difendere il prodotto pur non avendo potuto investire in studi costosi, ma si rivolge ai soggetti che, specialmente con la precedente normativa, hanno presentato dossier palesemente inadeguati con lo scopo di prolungare artificialmente la vita del prodotto, con l’aggravante di costringere le autorità a investire risorse in dossier bocciabili in partenza. In questo caso la soluzione esiste da tempo e si chiama “check di completezza” e quindi queste casistiche tenderanno a sparire.
    • Il titolare chiede e ottiene una proroga della valutazione del dossier per presentare studi addizionali, chiamati di Categoria 4, perché al rinnovo dell’approvazione si cambiano delle specifiche o degli end-points che richiedono degli studi impossibili da concludere nei tre mesi di tempo che separano l’entrata in vigore dell’approvazione europea dal termine per presentare il dossier. Se il titolare alla scadenza del periodo di proroga concessa per l’effettuazione degli studi non presenta comunque il dossier il prodotto viene revocato e “per punizione” lo smaltimento scorte viene ridotto a 3 mesi per la commercializzazione e 12 mesi per l’utilizzo.
  • Revoca su rinuncia da parte dell’impresa. In questo caso non ci sono problemi sanitari e ambientali e la casistica di solito riguarda prodotti non più in commercio e di cui rimane solo la registrazione. Per questo motivo il termine standard di 6 + 18 mesi può anche essere ridotto su richiesta dell’impresa titolare della registrazione.


Commercializzato da chi, usato da chi

Nella parte “generale” della nota le autorità precisano i soggetti che si possono avvantaggiare del periodo di smaltimento scorte, criterio che si applica a tutte le casistiche sinora descritte, come nell’esempio riportato in cui si descrive la frase che dovrà comparire in un ipotetico decreto di revoca in cui si consente il periodo standard per lo smaltimento delle scorte: "La commercializzazione delle scorte prodotte prima della data del decreto/provvedimento e l'impiego delle scorte giacenti, sono consentiti secondo le seguenti modalità:
6 mesi per la commercializzazione da parte del titolare delle autorizzazioni e la vendita da parte dei rivenditori e/o distributori autorizzati;
18 mesi per l’impiego da parte degli utilizzatori finali
".
Quindi in caso di revoca tutta la filiera commerciale (titolare della registrazione, distributore, rivenditore) si può avvantaggiare del periodo di smaltimento scorte per la commercializzazione. Vedremo che in altri casi non è così. Invece, come è giusto che sia, l’utilizzatore finale (l’agricoltore, chi fa il trattamento in campagna) si può avvalere senza alcuna distinzione del periodo concesso per l’utilizzo (solitamente 18 mesi).
 

Ma… da quando?

Tutti i termini concessi per lo smaltimento delle scorte si intendono a partire dalla data della revoca del prodotto, che si trova sempre sul decreto o comunicato, a seconda della tipologia di provvedimento che l’ha causata.
 

Modifiche non amministrative

E veniamo alla parte più ostica dell’argomento, quella riguardante le modifiche di autorizzazione “non amministrative” (di quelle abbiamo già parlato), casistiche sempre più frequenti e con maggiore impatto sulla filiera. Possiamo suddividerle in due grandi gruppi: modifiche imposte da provvedimenti europei (tipicamente variazioni dei limiti massimi di residuo, adeguamento al progresso tecnico della classificazione dei principi attivi e/o degli altri ingredienti contenuti nei prodotti fitosanitari e coadiuvanti) e modifiche non immediatamente riconducibili a provvedimenti europei, che riguardano nella maggior parte dei casi quelle richieste dai titolari di autorizzazione (ad esempio modifiche di composizione per sostituzione di componenti obsoleti, nuove colture) o subite dagli stessi (ad esempio restrizioni di impiego in seguito alla valutazione del dossier di rinnovo dell’autorizzazione del formulato come conseguenza del rinnovo dell’approvazione delle sostanze attive in esso contenute).

Cancellazione di colture in seguito ad adeguamenti dei limiti massimi di residuo
In questo caso non viene previsto nessun periodo di smaltimento scorte, ma il titolare dell’autorizzazione deve rietichettare il prodotto non ancora immesso in commercio e fornire ai rivenditori e distributori autorizzati un fac-simile di etichetta da consegnare all’utilizzatore finale. Come anticipato prima, in questo caso il titolare della registrazione è trattato diversamente dagli altri attori della filiera commerciale: se ha in magazzino del prodotto che non ha ancora venduto, non può adeguarlo col volantino ma lo deve rietichettare. Come criterio generale l’adeguamento mediante volantino (o fac-simile di etichetta) è consentito per prodotti già in commercio, tipicamente detenuti da distributori e/o rivenditori che ad esempio lo hanno acquistato dal titolare della registrazione.

Modifiche delle condizioni di autorizzazione dell’etichetta di prodotti fitosanitari a seguito di adeguamento a normative comunitarie concernenti la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura delle miscele pericolose
Questo è il punto più critico dell’intera linea guida, in quanto deve conciliare quanto previsto dalla normativa di settore (il regolamento 1107/2009 sui prodotti fitosanitari e coadiuvanti) e da quella trasversale (nel caso specifico il regolamento 1272/2008, detto anche CLP, che si applica a tutte le sostanze e miscele pericolose, tra cui anche i prodotti fitosanitari e i coadiuvanti). La coesistenza di queste normative è sempre stata difficile, in quanto nate separate (i prodotti fitosanitari sono stati inclusi nella grande famiglia dei prodotti pericolosi negli anni ’90). Tra la normativa di settore e quella trasversale ci sono alcune differenze significative, in particolare il concetto di fornitore (per il CLP è chiunque detenga la merce) e il fatto che il CLP non preveda smaltimento scorte ma informi con largo anticipo l’intera filiera (di solito 18 mesi) della necessità di adeguare le etichette alla nuova classificazione (una sorta di “smaltimento scorte anticipato”). Da qui la parte più drastica della linea guida che prevede che i prodotti dotati di etichetta non in linea con norma, una volta decorso il periodo di 18 mesi previsto dal regolamento comunitario, denominato comunemente “ATP” (adeguamento al progresso tecnico, siamo arrivati al 17°), debbano essere ritirati dal fornitore, così come definito all’art. 2 del Reg. 1272/2008 che recita: "fornitore: ogni fabbricante, importatore, utilizzatore a valle o distributore che immette sul mercato una sostanza, in quanto tale o in quanto componente di una miscela, o una miscela;
in pratica chiunque detenga la merce".

La linea guida prevede anche che: "In caso di modifica della classificazione e dell’etichettatura concernente un  nuovo pericolo o un pericolo più grave  o nuovi elementi di etichettatura supplementari,  ai fini della tutela della salute e dell’ambiente nonché al fine di consentire il rispetto delle nuove disposizioni da parte degli utilizzatori finali, il titolare dell’autorizzazione rietichetta il prodotto non ancora posto in commercio e fornisce ai rivenditori e/o distributori autorizzati un facsimile della nuova etichetta al fine della sua consegna all’acquirente / utilizzatore finale per il periodo massimo consentito dal termine stabilito a livello comunitario, fatte salve disposizioni specifiche adottate a livello comunitario o nazionale".

Variazioni tecniche anche a seguito di ri-registrazioni o rinnovi
Ed eccoci alle modifiche di autorizzazione proposte (estensioni di impiego, ad esempio) o subite (ri-registrazioni o rinnovi) dal titolare della registrazione. Le casistiche sono le seguenti.
Modifiche di composizione
Vengono concessi 6 mesi per la commercializzazione da parte del titolare della registrazione. Tutti gli altri soggetti della filiera possono vendere e usare il prodotto “finchè ce n’è”, a meno che non intervengano altri adeguamenti (es. riclassificazione, nuovi limiti di residuo). Vale la stessa considerazione linguistica già affrontata per le variazioni amministrativa. Se la modifica di composizione causa anche una variazione della classificazione, l’autorità deciderà caso per caso.
Modifiche agronomiche (estensioni d’impiego)
Non è previsto smaltimento scorte, ma il prodotto può essere adeguato mediante rietichettatura (che deve fare il titolare della registrazione col prodotto non ancora posto in commercio) o consegna del fac-simile al resto della filiera commerciale (distributori, rivenditori) per la successiva trasmissione all’utilizzatore finale.
Modifica della classificazione su richiesta del titolare
Sono i casi in cui il titolare nella preparazione del dossier (tipicamente quello di rinnovo) genera degli studi il cui risultato comporta la variazione (peggioramento) della classificazione del prodotto. In questo caso ci si comporta come al punto precedente, ma per un periodo massimo di 18 mesi, oltre il quale si stima che non ci siano in commercio più prodotti con la vecchia classificazione, cosa perfettamente possibile in quanto il titolare lo sa in anticipo e può gestire la cosa al meglio.
 

Conclusioni

Ancora una volta: occhi aperti! Ricordiamo che il presente articolo non sostituisce la consultazione della linea guida il cui riferimento è riportato in calce. Nel caso di dubbi consigliamo comunque di rivolgervi in prima battuta a chi vi ha venduto il prodotto, fermo restando che le autorità sono sempre a disposizione per richieste di chiarimento e, modestamente, anche noi.
 

Approfondimenti per studiosi, addetti ai lavori o semplicemente curiosi