Coltivare ortaggi è forse l’attività più complessa cui un agricoltore possa dedicarsi. Per quanto si limitino le colture da porre in rotazione, si parla comunque di cucurbitacee come di solanacee, ma anche di carciofi e altre orticole di pregio, ognuna con specifiche esigenze nutrizionali, idriche e di difesa fitosanitaria.

Ad accomunare però tutte queste colture differenti sono tre variabili ambientali: clima, acqua e terreno. Se per il primo ben poco vi è da fare, su acqua e terreno si può invece agire al fine di predisporre al meglio la coltura, scoprendo magari che così facendo anche la difesa fitosanitaria risulta agevolata.

Esperto in tal senso è Francesco Maugeri, agronomo libero professionista che si occupa di colture orticole sia in pieno campo, sia in serra. I suoi territori d’azione sono essenzialmente la provincia di Ragusa, arrivando fino alla zona di Caltanissetta e di Siracusa.

La prima osservazione espressa da Maugeri è legata ai problemi climatici: questi complicano non poco il lavoro degli agricoltori, danneggiando campi e soprattutto serre anche in modo grave. Specialmente negli ultimi anni tali eventi estremi si sono ripetuti spesso e ciò ha inciso anche sui bilanci delle aziende agricole danneggiate.

Altro problema, questa volta di tipo culturale, è che troppe volte si prende sottogamba il mestiere di assistenza alle aziende sul fronte fitosanitario e della nutrizione. Oggi sono sempre più i prodotti ad alto contenuto tecnico, quindi serve qualcuno che per primo li conosca bene e poi ne trasferisca le corrette indicazioni di impiego. Spesso infatti gli agricoltori operano in base alle proprie esperienze passate, ma queste non sempre colgono le differenze fra i prodotti “vecchi” e quelli “nuovi”.

Per esempio i prodotti a base di Trichoderma vengono spesso percepiti come tutti uguali. Mai gridare al miracolo, è vero, ma è bene saper cogliere le differenze. Dopo un iniziale scetticismo, normale di fronte a delle novità, poi si implementano dei saggi e dei protocolli sperimentali al fine di consolidare le competenze e di superare i preconcetti. Per tali ragioni Francesco Maugeri sperimenta in prima persona i prodotti a fronte di situazioni specifiche, adottando metodi scientifici analoghi a quelli seguiti dai centri di saggio.

Dosi e tempistiche di impiego vanno infatti messe a punto con criterio e non in modo semplicistico. Importante è infatti l’approccio più ampio possibile, integrando al massimo ogni singola opportunità senza mai cadere però nella pseudoscienza che talvolta fa capolino fra le aziende agricole.

In tema di Trichoderma, per esempio, è bene conoscere i nutrienti che lo favoriscono una volta distribuiti nel terreno, anche perché cambiano le varie condizioni di campo, anche di serra in serra. In pochi metri quadrati possono peraltro trovare spazio diverse colture con esigenze diverse, per varietà diverse: una che magari tende a “filare”, soprattutto nelle serre molto calde che creano condizioni da jungla, mentre un’altra tende più alla produzione. Nel primo caso non vanno spinte le crescite vegetative, magari lavorando per rafforzare i tessuti e la salute delle cellule. L’altra coltura può invece ricevere biostimolanti che ne esaltino la radicazione e il rigoglio.

Qualche problema si può avere con le colture intercalari, perché spesso l’agricoltore vorrebbe uniformare le pratiche agronomiche, magari senza disporre di un adeguato impianto di fertirrigazione. Le miscele vengono infatti realizzate talvolta in una volta sola distribuendole poi a colture diverse.

Fra gli agricoltori più professionali si sente però l’esigenza di crescere e si assiste a uno svecchiamento delle tecniche. Per esempio, si stanno ampliando i sistemi a tre vasche con elettrovalvole, adeguando i protocolli alle situazioni locali. Il cliente è in fondo lo specchio del tecnico, ma è anche vero il contrario, cioè che il produttore diventi controproducente per il consulente. I produttori meno virtuosi possono infatti penalizzare poi anche il tecnico e i prodotti. Spesso non sono infatti i protocolli a non funzionare, bensì sono state le modalità con cui sono stati applicati. Serve quindi una profonda conoscenza non solo dei prodotti, bensì anche dei produttori e delle persone che lavorano per lui.

L’oscillazione dei mercati, peraltro, non aiuta. Ad esempio, quest’anno in certe aziende vi era un pomodoro di qualità eccezionale, ma vessato dal brown virus (ToBRFV) e da situazioni locali stressanti. Alcuni produttori sono anche riusciti a ottenere buone produzioni, ma verso la fine del ciclo sono nati problemi di nematodi, talvolta trascurati perché magari la coltura era ormai vicina alla cimatura. Poi però il prezzo è stato così basso che ha destabilizzato il produttore che si è messo a cercare soluzioni dove non ci sono.

Il consulente può cioè essere anche valido, ma se il cliente non lo segue è finita. Serve cioè una concomitanza fra i due. A giocare contro le ispezioni in campo, che devono essere almeno ogni 1-2 settimane, quest’anno ci si è messo anche il Covid-19. Ciò ha obbligato ad aggiornamenti fotografici in sostituzione delle visite. Perché guardare una foto mandata con uno smartphone non è come essere lì di persona.
 

T34 Biocontrol: il Trichoderma di Biolchim

Ormai si sa: amplificare la biodiversità della flora batterica e fungina nel terreno aiuta a fare la differenza. Ma vi è di più: leggendo le pubblicazioni scientifiche a volte queste rivelano come anche la genetica delle stesse varietà può reagire in modo diverso e inaspettato al medesimo trattamento.

Quella con T34 Biocontrol di Biolchim, a base di Trichoderma asperellum, ceppo T34, è stata un’esperienza vissuta in primis su pomodoro in serra, coltivato fuori suolo in vaso. In quella azienda vi erano seri problemi di ordine igienico derivanti dall’acqua impiegata, ricavata da acque superficiali pubbliche che scorrono in canali in cui l’igiene non è esattamente “eccelsa”. Nonostante l'azienda abbia abbandonato da un biennio tale sistema, le vasche di raccolta e stoccaggio delle acque irrigue risulta essere ancora contaminato e probabilmente erediterà a lungo tale problematica.

Il problema principale dell’agricoltore era produrre un pomodoro a residuo zero, con minimo apporto di agrofarmaci di sintesi. Peccato che fosse pieno di malattie telluriche come tracheofusariosi, rhizoctonia e batteriosi. Non mancavano nemmeno la radice suberosa né i nematodi galligeni. Quindi il produttore cercava formulati che potessero far produrre bene nonostante queste problematiche, senza al contempo giocarsi l’obiettivo di produrre a residuo zero (non si può trattare fra uno stacco e l’altro).

Non sempre però le aziende recepiscono i messaggi tecnici, come per esempio cambiare il substrato di coltivazione (es. fibra di cocco). Si è quindi deciso di sviluppare uno specifico protocollo: due giorni prima del trapianto (metà luglio) un passaggio con T34 Biocontrol a mezza dose (25 g/1.000 m2); dopo 7 giorni si è distribuita l’altra mezza dose insieme a specifici prodotti che stimolassero la radicazione. A tale trattamento si è aggiunto anche quello con un rame complessato (Protamin Cu, sempre di Biolchim) a 500 ml/1000 m2, somministrandolo a intervalli regolari di 7gg.

Il T34 Biocontrol è stato poi ripetuto 25 giorni dopo il trapianto, sempre insieme a un radicante. Il tutto a fronte di temperature estreme, fino a 54°C nelle ore più calde. Alto rischio quindi di aborti fiorali. I risultati? Al 22 agosto c’era uno sviluppo vegeto-produttivo soddisfacente, nonché assenza totale di patologie telluriche a confronto con gli anni precedenti. Stesse osservazioni dopo altri 20 giorni, ravvisando una vigoria e un’allegagione inaspettate. Ciò perché le cure alla pianta, opportunamente biostimolata, hanno influenzato anche il modo di assorbire i nutrienti, ottimizzandolo.

Il comportamento fenologico, specchio dell’equilibrio fitormonale delle piante, ha confermato quindi quanto già dichiarato in letteratura scientifica su Trichoderma: nonostante gli scompensi ormonali operati dalle alte temperature, gli scambi tra microrganismi e colture hanno favorito la presenza costante di un quantitativo sufficiente di fitormoni, testimoniato dalla regolarità di allegagione, palchi e vigoria degli stessi.

Forte è apparso anche il contrasto allo stress termico e salino, spesso conseguenza di quello termico. Un altro fenomeno di solito presente, ovvero l’accartocciamento delle foglie, non c’è stato. Quindi risultati visibili anche a occhio nudo. Come conclusione, si è compreso che è bene somministrare a rotazione il Trichoderma ogni 15-20 giorni a prescindere, perché ciò tiene a bada i patogeni e favorisce la pianta sotto molteplici punti di vista.

Un’altra esperienza molto positiva si è riscontrata su zucchino, coltivato nella: zona del Nisseno (Caltanissetta). In quei campi le zucchine venivano coltivate in alternanza con il carciofo. A inizio settembre vi era una pesante presenza di Rhizoctonia al colletto. Come se non bastasse, si è aggiunto anche il tipico stress salino del post-estivo. In tal caso il protocollo ha previsto tre somministrazioni di T34 Biocontrol a metà dose (25g/1.000 m2) prima della semina. Un secondo inoculo, sempre a metà dose, all’emergenza (5-6 giorni dalla semina) insieme a un radicante, ovvero Nov@ (sempre di Biolchim). Il tutto, ripetuto dopo 20 giorni, il 30 settembre, sempre a mezza dose. Poi sono stati sospesi i trattamenti. Per fortuna non si è ravvisata presenza di patogeni terricoli.

I primi risultati si sono già visti allo stadio di 4 foglie. Nel trattato vi erano già le 4 foglie adulte ben sviluppate, più gli abbozzi anch’essi in via di sviluppo avanzato, mentre nel non trattato di fogli ve n’erano solo 3 con abbozzi più piccoli. A un mese dalle applicazioni (14 ottobre) la parcella trattata era molto più sviluppata, compatta, con le foglie turgide e un sano equilibrio riproduttivo, con presenza scalare di 4 getti riproduttivi, più altri in fase di attivo accrescimento.
 

Zucchino trattato con T34 Biocontrol di Biolchim. Ottimo lo sviluppo vegetativo e lo statos anitario della coltura (Foto: Francesco Maugeri)
Zucchino trattato con T34 Biocontrol di Biolchim. Ottimo lo sviluppo vegetativo e lo stato sanitario della coltura
(Fonte foto: Francesco Maugeri)

Nel controllo c’era sì una situazione abbastanza buona, ma comunque un po’ più in ritardo. La coltura si mostrava infatti meno sviluppata, ancora concentrata sullo sviluppo anziché sulla riproduzione. Il beneficio finale si è misurato con una raccolta molto più scalare: il cliente ha cioè raccolto 2-3 tagli in più rispetto al controllo. Si è infatti ampliata la finestra di raccolta anticipando il ciclo.

Zucchine: parcellone non trattato. (Foto: Francesco Maugeri)
Zucchine: parcellone non trattato
(Fonte foto: Francesco Maugeri)

Importante è quindi risultato l’approccio integrato fra i diversi prodotti, ma sicuramente il Trichoderma ha esaltato anche gli effetti delle altre soluzioni. I risultati sono stati infatti sia immediati, sia duraturi. In base ad altre esperienze fatte, con altre soluzioni analoghe la persistenza d’azione è risultata inferiore. Inoltre, in poche ore è stato già possibile vedere la germinazione del Trichoderma, il quale resiste peraltro bene anche alla presenza di rame.

Un accorgimento che può risultare utile: trattare il terreno con acqua ossigenata quando si dovesse presentare asfittico, con bassa presenza di ossigeno. Ciò rende il terreno stesso più accogliente per il Trichoderma, organismo di tipo aerobico che patisce di condizioni di anaerobiosi anche parziale.
 

Possibili sviluppi?

Fra le colture che Francesco Maugeri vede come possibili espansioni di etichetta vi è il carciofo, coltura che ha delle problematiche sulle quali il tecnico siciliano vede ampie potenzialità di impiego. Per esempio, nella zona di Caltanissetta appare difficile introdurre i più moderni concetti del microbioma del terreno. Abusano talvolta gli agrofarmaci, sia per la difesa da patogeni e parassiti, sia dalle malerbe. Il tutto a fronte del problema serio di mancanza di piogge e di scarsa sostanza organica. Poi quando piove fa danni, causando forte erosione.

In quella zona si sta quindi impoverendo il terreno e il vigore del carciofo risulta spesso mortificato, essendo la produttività influenzata anche dalla salinità dei terreni e dell’acqua. L'uso di T34 Biocontrol potrebbe quindi creare delle condizioni ottimali nel suolo, contrastando i patogeni terricoli e le avversità chimico-fisiche che obbligano spesso i produttori a moltiplicare l’inserimento di nuovi ovoli per compensare le fallanze di quelli marciti che via via si contano nel tempo. Venendo trapiantata in un terreno più equilibrato e sano anche la coltura crescerebbe più omogenea e più sana, con un maggior numero di ovoli preservati grazie alla minor presenza di spore di rhizoctonia e fusarium.

Il messaggio è chiaro: i fronti di espansione ci sono. Forse è il momento di coglierli.