Per gli amanti delle vacanze a settembre concludiamo la serie di letture estive commentando alla nostra maniera due recenti notizie sul talco, una sostanza cui siamo esposti sin dalla nostra prima infanzia.
 

In Europa

A cinque anni dalla prima domanda l’Efsa promuove (o meglio: non boccia) il talco come insetticida e fungicida per fruttiferi e vite
Piccolo ripasso: una delle principali novità del regolamento 1107/2009 sono le cosiddette sostanze di base, pensate per legalizzare l’uso in fitoiatria di alcuni prodotti banali come lo zucchero e il sale senza costringere il notificante a ingenti investimenti “per scoprire l’acqua calda”.
Inizialmente snobbate dai più, lentamente hanno cominciato ad essere prese in considerazione come parziale rimedio, specialmente in agricoltura biologica e nel settore non professionale, alla moria di mezzi tecnici efficaci avvenuta in seguito alle spesso proibitive condizioni di approvazione.

Queste sostanze, normalmente utilizzate nel settore alimentare o farmaceutico, per questo loro status vengono normalmente approvate con pochissima documentazione e gli standard di efficacia richiesti sono molto bassi, per non dire inesistenti. Dato che per l’approvazione delle sostanze di base non è richiesta nessuna tariffa (o meglio: i costi della valutazione sono a carico del bilancio Ue), molti notificanti hanno forzato la mano e hanno tentato di proporre sostanze con standard non proprio alimentari o farmaceutici (è una delle poche cose tassative per l’approvazione delle sostanze di base) o con documentazione troppo ridotta, ricevendo diversi dinieghi.
È quello che sembra essere inizialmente successo ai notificanti del Talco, che stanno provando ad autorizzarlo come sostanza di base sin dal 2012. L’utilizzo proposto in fitoiatria (gli altri impieghi nella vita di tutti i giorni li conosciamo) è quello come insetticida repellente per la difesa di fruttiferi, vite e piante aromatiche contro molte specie di fitofagi quali psille, mosche e cicaline e come fungicida, col medesimo meccanismo fisico di azione, contro ticchiolatura delle pomacee e mal bianco della vite (nella prima versione si proponeva l’uso anche contro la peronospora e la muffa grigia).

Riprendendo quanto più volte descritto nei nostri pezzi, le impurezze fanno la differenza e anche il Talco (Talc de Luzenac nella domanda iniziale, diventato Talc E 553b nella versione finale per i motivi che descriveremo) non fa eccezione. L’istanza iniziale del 2012 non conteneva gli elementi per poter dimostrare che la sostanza proposta rientrava negli standard alimentari o farmaceutici: in particolare non vi era alcun riferimento alla silice cristallina, agente sicuramente cancerogeno per lo Iarc1 mentre si attende ancora la classificazione ufficiale dell’Echa.
Come è noto la concentrazione massima di questo tipo di sostanza non deve oltrepassare lo 0,1%. L’altra impurezza rilevante del talco, l’asbesto (meglio conosciuto come amianto), è stata invece confermata sin dall’inizio (e ci mancherebbe: il talco con l’asbesto è proibito sin dagli anni ‘70).

La situazione si è sbloccata solo quest’anno, dopo che il notificante ha modificato le specifiche del prodotto abbracciando in toto quelle previste dalla normativa Ue sugli additivi alimentari, da qui la modifica del nome in Talc E 553b (il codice del talco utilizzato come additivo alimentare), e aver anche dimostrato che l’utilizzo di questo prodotto in fitoiatria non comporta effetti inaccettabili per l’uomo e l’ambiente.

La pubblicazione di un parere non negativo da parte dell’Efsa (lo stile delle pubblicazioni dell’Agenzia è questo) è il penultimo passo verso l’approvazione della sostanza che dovrà essere votata dai rappresentanti delle autorità dei paesi membri e successivamente ufficializzata in un regolamento.
 

Negli Stati Uniti

La multinazionale Johnson & Johnson condannata a pagare 417 milioni di dollari per danni causati dal talco
Se pensate che solo in Europa le sostanze chimiche vengano messe sotto processo sulla base di evidenze scientifiche poco solide, rimarrete delusi! Anche nei pragmatici Stati Uniti, dove non dovrebbero esistere soglie prive di evidenze scientifiche e dove alcuni credono che l’ultima caccia alle streghe risalga ai tempi di McCarthy, possono accadere cose con conseguenze molto pesanti per i produttori. Ma andiamo con ordine.
Nel 1993 lo Iarc pubblica la sua valutazione della cancerogenicità del Talco, che tutto sommato è piuttosto rassicurante, specie per i prodotti depurati della pericolosissima impurezza asbesto (altro nome dell’amianto, dalle ben note proprietà), operazione obbligatoria sin dagli anni ‘70 per vendere il prodotto nel largo consumo. La monografia Iarc classifica infatti il Talco nel Gruppo 3 (“non classificato per cancerogenicità sull’uomo”) con la sola eccezione degli utilizzi nell’igiene e nella contraccezione femminile, dove invece è stato assegnato al Gruppo 2B (prodotti “sospetti cancerogeni per l’uomo, sulla base di evidenza limitata nell’uomo e evidenza non del tutto sufficiente negli animali da esperimento oppure di evidenza sufficiente negli animali ed evidenza inadeguata nell’uomo”) per via di una serie di studi dai risultati contraddittori.
Questa evidenza è stata ignorata nell’etichettatura del prodotto, trascuratezza che è risultata decisiva per l’esito di alcune delle 5500 richieste di risarcimento presentate alla multinazionale Usa da studi legali specializzati in rappresentanza di famiglie di donne colpite da carcinoma ovarico in seguito all’uso regolare e prolungato della “Baby Powder” (il talco prodotto dalla multinazionale) per la propria igiene intima.
L’ultima sentenza che ha fatto il giro del mondo più volte proviene dal tribunale di Los Angeles, che ha condannato la celebre multinazionale a risarcire 417 milioni di dollari alla famiglia di una donna ammalata di carcinoma ovarico. La vittima sin dall’età di 11 anni utilizzava quotidianamente il prodotto per la propria igiene intima e nel 2007 ha contratto la terribile patologia. Come nelle altre cause, la Johnson & Johnson, che presenterà appello, è stata condannata per non aver riportato sull’etichetta del prodotto il riferimento al possibile effetto collaterale.
Nonostante le poco solide evidenze scientifiche, confermate anche dalle principali autorità mondiali, negli ultimi due anni in quattro processi su cinque la multinazionale è stata condannata e dovrà risarcire 110 milioni di dollari, oltre ai 417 relativi all’ultima causa, se anche l’appello ne confermerà la sentenza. Maggiori informazioni sulla querelle saranno sicuramente disponibili quando si concluderà il processo di classificazione in corso da parte dell’Echa che sta esaminando i dossier presentati dai 2965 produttori in 17 notifiche congiunte.


Approfondimenti per studiosi, addetti ai lavori o semplicemente curiosi
1Iarc Working Group on the Evaluation of Carcinogenic Risk to humans. Silica Dust, Crystalline, in the Form of Quartz or Cristobalite. International Agency for Research on Cancer, 2012.