Lo scorso 14 giugno, all’interno del progetto “Alt.rame in bio”, si è tenuto a Roma il convegno: E’ possibile un’agricoltura biologica senza l’impiego di rame?
 
Il progetto del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) è nato alcuni anni fa dopo che la Commissione europea (nel 2015) ha incluso i fitosanitari a base di rame (ossido, idrossido, ossicloruro, solfato tribasico e poltiglia bordolese) tra le sostanze candidate alla sostituzione, avendo fissato al prossimo 31 gennaio la scadenza della vecchia approvazione.
 
In linea generale, l’agricoltura integrata ed i vari disciplinari regionali prevedono dosi massime fino ad 6 kg/ha anno di rame metallo e anche le norme per l’agricoltura biologica (Reg. CE 889/08 s.m.i.) hanno stabilito un limite massimo di 6 kg/ha anno. In deroga a tale limite e solo per le colture perenni, in Italia (come in altri Stati membri) è stato autorizzato il superamento, in un dato anno, a condizione che la quantità media effettivamente applicata nell'arco dei cinque anni (l'anno considerato ed i quattro precedenti) non superi i 6 kg/ha.

Nel malaugurato caso in cui ad inizio 2018 il mondo del bio si trovasse senza rame, purtroppo le sperimentazioni condotte non hanno trovato soluzioni immediate. Tra i prodotti alternativi utilizzati (si vedano i link ai manuali del Crea*) l’unico fitosanitario autorizzato e già presente in allegato II del Reg. CE 889/08 è il bicarbonato di potassio la cui approvazione scadrà un paio d’anni dopo quella del rame.

Tutti gli altri prodotti dovrebbero essere innanzitutto approvati per l’agricoltura generale e poi inclusi tra quelli consentiti in agricoltura biologica. I tempi ed i costi per tale processo andrebbero anche al di là della scadenza del bicarbonato.

La sperimentazione ha invece dimostrato che ci sono buone possibilità per ridurre le dosi complessive ad ettaro. Tale possibilità merita di essere ulteriormente approfondita. Infatti c’è da superare un problema di etichettatura in quanto l’autorizzazione ministeriale si riferisce all’etichetta “come tale” e con le dosi per applicazione e per coltura in essa indicate.

Durante il convegno c’è stata una vivace discussione relativamente alla possibilità che, in autonomia, gli utilizzatori finali del prodotto decidano di ridurre le dosi indicate in etichetta senza indicazioni al riguardo.

Per farlo occorrerebbe comunque il conforto di tecnici specializzati che, in qualche modo, assolvano le aziende titolari di autorizzazione nella malaugurata ipotesi che il prodotto non funzioni se usato a dose diversa da quella indicata in etichetta. Inoltre, prima che le aziende possano modificare le etichette includendo nuove e ridotte dosi d’impiego e, di conseguenza, prendendosi delle responsabilità dirette, non solo vorrebbero il conforto di una sperimentazione accurata e a tutto campo ma, successivamente, sarebbero da intraprendere i percorsi autorizzativi delle nuove etichette. Com’è facile intuire non si tratta di cose di poco conto.

Quando ci si avvicina al mondo dei fitosanitari i costi lievitano a dismisura ed i tempi di realizzazione si allungano di anni. Ben venga la sperimentazione che traccia nuove strade ed indica alternative ma la scadenza del rame e, poi, del bicarbonato di potassio, è troppo vicina e resta solo l’azione dell’European task force Copper come speranza concreta per gli agricoltori “bio” che desiderano continuare ad usare il rame come mezzo di difesa.

A conclusione del convegno c’è stato, appunto, l’intervento di un rappresentante della Task Force che ha illustrato l’attività svolta sin dal 2015 per scongiurare la “messa al bando” del rame come fitosanitario e che ha portato a sottoporre ad Efsa e Commissione Ue la documentazione richiesta per una nuova approvazione.

Quando si parla di sostanze chimiche, il regolamento CE 1907/2006 (Reach) prevede la categoria delle sostanze ritenute altamente pericolose (SVHC) che vanno in una lista di sostanze candidate alla sostituzione il cui destino è quello di essere inserite in un allegato (XIV) di sostanze soggette ad un processo autorizzativo molto particolare. Ad esempio, restando in ambito agricolo, quasi tutti i concimi a base di boro sono ritenuti SVHC.

Il Reach non ha incluso il rame in tali liste anche perché esistono pochi dei presupposti di pericolosità che sono l’anticamera alla “candidatura”. Confidando su tali premesse e grazie all’esperienza accumulata sin dal 2010 dagli esperti Reach in campi come la tossicologia, l’ecotossicologia e la comparazione tra sostanze grazie a sofisticati strumenti informatici, riteniamo che, alla fine, il rame riuscirà ad ottenere una nuova autorizzazione come fitosanitario, casomai con limiti annui inferiori agli attuali. In tale ipotesi, sarà poi inevitabile assistere ad una modifica dell’allegato II del Reg. CE 889/08 sul biologico (sempre che non sia sostituito dal nuovo regolamento) che potrebbe portare a 4 kg/ha anno il limite massimo di rame ammesso per le coltivazioni biologiche.
 

Nutrizione o difesa?

Il convegno del 14 giugno era dedicato alla difesa in agricoltura biologica. Nonostante ciò alcuni operatori hanno colto l’occasione per polemizzare sul proliferare di concimi a base di rame che servono alla “difesa occulta” delle colture. E’ infatti risaputo che i terreni italiani non mostrano carenze di rame e, se proprio ci fossero, i quantitativi di rame necessari alla reintegrazione di terreni carenti sarebbero di qualche decina di grammo all’ettaro.
 
Approfittando del fatto che tra i relatori c’erano anche rappresentanti dei ministeri di Agricoltura e Salute, avrebbe avuto senso evidenziare il fatto che numerose normative europee così come la norma nazionale sui concimi e gli stessi allegati del regolamento Ue sull’agricoltura biologica, consentono l’etichettatura di numerosi fertilizzanti a base rame che si prestano ad essere utilizzati dagli agricoltori come “inappropriatimezzi di difesa.
 
Come ovvio, non è mai stata messa in relazione la presenza di patogeni fungini con un maggiore “consumo” di rame da parte della vegetazione, per cui si tratta di evidente “uso improprio consentito dalla normativa vigente”.
 
Un altro evidente buco normativo riguarda la parte documentale a supporto delle concimazioni in agricoltura biologica, di fronte alla quale i certificatori nulla possono in sede di visita ispettiva.
 
Nonostante siano evidenti le responsabilità dei legislatori al riguardo, è facile attaccare coloro chi applicando leggi contorte e contraddittorie, redigono etichette “a norma” e commercializzano prodotti inattaccabili dal punto di vista legale.

A nessuno giova continuare ad urlare allo scandalo senza proporre soluzioni praticabili. Anche riuscire a sanzionare qualche fabbricante di fertilizzanti, per un’etichetta non a norma, non serve certo a dipanare le questioni irrisolte.

Paradossale, infine, il fatto che la ricerca, illustrata dal Crea, di prodotti alternativi al rame si sia indirizzata verso categorie sempre più vicine alla nutrizione che alla difesa.

Anziché scagliarsi un contro l’altro, sarebbe forse il caso di lavorare assieme per cercare soluzioni valide ed economiche che favoriscono gli agricoltori dediti alla coltivazione biologica.

* Manuali del Crea: