Sempre meno, contro una peronospora della vite che appare sempre più agguerrita e virulenta. Uno scenario che si osserva ormai da diversi anni, ma verso i quale pare non sia posta la debita attenzione da parte di tecnici e redattori di disciplinari. Su tali argomenti AgroNotizie ha intervistato Alessandro Capella, consulente di Sipcam Italia, per tratteggiare l’impoverimento di sostanze attive e di meccanismi d’azione che sta mettendo a rischio diversi programmi di difesa.
 
La peronospora sempre più cattiva, le normative e i disciplinari di produzione sempre più stringenti e selettivi. Non si sta rischiando un po’ troppo?
“Sulla peronospora della vite, come in tanti altri ambiti, dobbiamo arrivare a una profonda riflessione.
Oggi l’Europa, con normative che sono le più restrittive a livello mondiale, sta indirizzando la difesa fitoiatrica in modo rigoroso. Prima la Direttiva 91/414 ha ridotto da mille a circa 300 le molecole disponibili. Oggi la 1107, ancor più restrittiva della precedente, sta ulteriormente selezionando le sostanze attive rimaste. Alla fine sopravviveranno poche molecole, con pochissimi meccanismi d’azione, in quanto oggi fare ricerca è divenuto molto oneroso e trovare nuovi meccanismi è difficilissimo.
Se a questo uniamo anche determinate prese di posizione dei vari disciplinari, pubblici e privati, che riducono ulteriormente l’arsenale di meccanismi d’azione, il gioco si complica ulteriormente. È inevitabile”.

 
Ma bastano da soli gli agrofarmaci per affrontare il problema?
“La fitoiatria è strategica e si continua infatti a investire in certi ambiti. Dobbiamo però tornare forse un po’ di più all’agronomia in senso ampio, rivalutando le rotazioni, il rapporto fra nutrizione e stato sanitario delle colture. Anche perché la difesa dalla peronospora aveva all’arco tante frecce che però piano piano, utilizzandole anche in maniera impropria, si stanno riducendo in efficacia.
Per esempio la grande famiglia dei CAA inevitabilmente comincia a scricchiolare, anche perché questi prodotti non hanno mai avuto quella curatività troppe volte decantata impropriamente. C’era invece una buona attività anti sporulante che utilizzata però in modo inappropriato si è andata affievolendo. Gli ultimi studi dicono che i CAA diventano quindi soluzioni di prevenzione. Endoterapici, quindi, ma senza alcuna attività antisporulante.
La stessa BASF, coraggiosamente, ha ammesso che l’ametoctradin potrebbe avere in alcuni casi resistenze incrociate con le strobilurine, a carico delle quali sono numerosi i casi di resistenza su vite. Anche con i QOI si è evidenziato lo stesso problema. Il rischio di vedere impoverire ulteriormente l’arsenale è quindi elevatissimo”.

 
Chi sono i soggetti che dovrebbero intervenire in tal senso?
“In questo scenario occorre che tutti gli attori che operano in campo fitoiatrico, ovvero le industrie, i tecnici sul territorio, i redattori dei disciplinari, si rendano conto che è finito il tempo dell’esclusione di precise molecole e meccanismi d’azione, perché inevitabilmente stiamo aggravando scenari di cui parliamo ormai da una decina di anni senza però fare molto per migliorarli.
La stessa Direttiva 128 sull’Uso sostenibile degli agrofarmaci, oltre ad apportare alcune novità interessanti, in ben due punti dell’allegato III cita l’assoluta attenzione alla prevenzione dei fenomeni di resistenza. Noi invece stiamo facendo gestione delle resistenze, cioè aspettiamo che i buoi siano scappati dalla stalla e poi gli corriamo dietro”.

 
Su tali difficoltà, quanto incide il comportamento della coltura in sé?
“Nelle strategie dove sono inevitabili numerosi trattamenti occorre tener conto di tutti i meccanismi disponibili. Nel caso specifico della peronospora della vite, che ha fasi fenologiche molto diverse e differenziate fra loro, dal germogliamento alla fioritura alla chiusura grappolo, bisogna tener conto che abbiamo diverse modalità d’azione, concetto diverso dal meccanismo d’azione.
Non dobbiamo dimenticarci che nelle fasi di forte accrescimento della vegetazione dobbiamo tener conto dei prodotti sistemici, come per esempio il fosetil alluminio e altre famiglie. I prodotti di contatto, anche multisito, sono comunque fondamentali. Infine gli endoterapici giocano anche loro il proprio ruolo.
Ma quello che ha dimostrato la sperimentazione è che in annate difficili, come avvenuto in certe regioni, talvolta per gravi errori di strategie, altre volte per un andamento climatico effettivamente condizionante il patogeno, a risultare vincente è stata l’alternanza di più meccanismi d’azione, anche in miscele a due-tre vie, scegliendo le più opportune soluzioni in funzione delle fasi fenologiche della coltura”.

 
Qualche piccolo suggerimento ai viticoltori in tal senso?
Piante equilibrate, non troppa vegetazione e strategie ove tutti i meccanismi e le modalità d’azione giochino un ruolo fondamentale, per evitare che in futuro anche le nuove famiglie, sempre più delicate per via dei loro meccanismi d’azione altamente specifici, diventino sempre più sensibili al fenomeno delle resistenze.
Sipcam è da tanti anni che caratterizza molecole. Quando si mette a punto un prodotto bisogna infatti capirne intimamente i bisogni, perché anche gli agrofarmaci hanno i propri bisogni. Le formulazioni stanno quindi divenendo sempre più fondamentali, ma purtroppo in diverse formulazioni per così dire ‘commerciali’ vediamo abbinare molecole fra loro simili, come per esempio due prodotti che agiscono per contatto, o due prodotti sotto dosati illudendosi di ottenere sinergie. C’è invece bisogno che da parte di tutti gli attori coinvolti venga posta crescente attenzione alla messa a punto di strategie anti resistenza. Sipcam questo lavoro lo fa da sempre, progettando e sviluppando formulati intelligenti in tal senso, anche in termini di corretto dosaggio d’impiego”.