Ci sono risicolture che cavalcano razzi, come quelle orientali, e altre che pedalano sui tricicli, come quella italiana. O meglio, sui tricicli… azoli. A dispetto delle argomentazioni della minoranza contraria, rappresentata dai Paesi produttori di riso e dall'Inghilterra, il Gabinetto dei commissari europei ha infatti bocciato il triciclazolo, sostanza attiva alla base di Beam, fungicida di Dow AgroSciences efficace contro il brusone del riso.

Uno strumento ritenuto da molti indispensabile soprattutto per la difesa delle varietà sulle quali si regge il mercato interno. Anni di autorizzazioni in deroga, concesse proprio per la necessità di utilizzarlo per salvare i raccolti, non sono quindi serviti ad aprire la strada alla registrazione definitiva. Anzi, ora arriverebbe di fatto la richiesta di resa senza neanche l'onore delle armi.

Grande sconcerto e preoccupazione in Italia, Stato relatore sul triciclazolo, il quale aveva dato luce verde al prodotto anche appoggiandosi ai pareri favorevoli già espressi negli Stati Uniti dalla Environmental Protection Agency. Cartellino rosso, invece, da Efsa in Europa. A suo parere, vi sarebbe una parte del dossier prodotto da Dow AgroSciences che non poteva essere considerata valida. Ciò potrebbe aprire la strada a un nuovo limite dei residui di legge che renderebbero di fatto inutilizzabile triciclazolo su riso. Passare da un milligrammo per chilo a soli 0,01 stroncherebbe infatti non solo ogni residua velleità registrativa per la molecola, ma stopperebbe perfino le autorizzazioni in deroga. Pure fermerebbe le importazioni che presentassero tracce della sostanza attiva.

Dow AgroSciences, ovviamente, non ci sta e commissiona uno studio a Nomisma dal quale emergerebbe un danno pari a 30 milioni di euro per la risicoltura nostrana in caso di storno del triciclazolo dallo scibile fitoiatrico utilizzabile su riso. Sempre secondo la Società americana la Commissione avrebbe per giunta ignorato il ruolo fondamentale della sostanza attiva nel contenimento della malattia. Inoltre, gli ultimi studi condotti confermerebbero l’assenza di cancerogenicità e genotossicità.
 

Nani contro giganti

All'Europa pare che importi sempre meno difendere le produzioni agricole interne. Una politica, questa, già più volte misurata nel corso degli ultimi vent'anni. Forse perché a trasformare e vendere materie prime altrui costa meno fatica e produce un business ben più allettante per le industrie e le grandi distribuzioni organizzate.
Per rendersi però conto della disparità di condizioni fra l'Italia, primo Paese produttore di riso in Europa, e altre realtà nazionali, prendiamo ad esempio il Vietnam.

Anche nel Paese orientale ci sono infatti malumori, ma per motivi molto diversi dai nostri. Secondo l’Associazione agricola vietnamita le esportazioni di riso sarebbero molto insoddisfacenti, per lo meno nei primi otto mesi dell'anno. Il Vietnam avrebbe infatti perso il 13,5% quanto a tonnellate, corrispondente a una perdita in valore pari a circa un decimo rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Di che numeri stiamo quindi parlando? A settembre 2016 sarebbero “solo” tre milioni e trecentomila tonnellate i volumi di riso esportati dal Vietnam, il quale avrebbe ricavato da ciò ben un miliardo e 430 milioni di dollari. L’Italia non arriva a un milione e mezzo di tonnellate, cioè meno della metà del solo export vietnamita dei primi otto mesi 2016. Un confronto impietoso.

Mentre cioè si reclama da un lato la sovranità alimentare e si strilla affinché si mangi solo made in Italy, dall'altro la normativa continentale sta facendo di tutto perché del suddetto made in Italy ve ne sia sempre meno a disposizione. Per non parlare delle politiche nazionali in tema di agrofarmaci e dei criteri di inclusione ed esclusione delle molecole da parte dei Psr regionali. Un legaccio, questo, tutto italiano.

Altro non si può onestamente concludere, osservando il progressivo disarmo unilaterale che penalizza ogni giorno di più gli agricoltori europei in generale e nazionali in particolare. Un disarmo che avviene proprio mentre le agricolture del resto del mondo stanno schiacciando sul pedale dell'acceleratore e stanno moltiplicando le proprie produzioni. Fatto che le rende sempre più competitive anche sul fronte dei prezzi.

Bello sarebbe scambiarci di problemi col Vietnam, avere cioè noi un export da oltre tre milioni di tonnellate e lasciare a loro le mannaie normative in fatto di difesa fitosanitaria. Ma così non è. Ognuno ha infatti i suoi problemi e se li tiene. Ma mentre Paesi come il Vietnam i problemi li vedono e cercano di rimediarvi, pare che il Vecchio Continente, ormai decadente e bolso, quando i problemi non ci sono faccia tutto il possibile per crearne.

I consumatori si ricordino magari di questo la prossima volta che impugneranno una confezione di riso facendo spesa in qualche supermercato.