È cancerogeno o no? Sì, probabilmente lo è, per lo meno secondo lo Iarc, acronimo di International agency for research on cancer, costola dell’Oms.
Questo colloca infatti glifosate in quel medesimo Gruppo 2A, probabili cancerogeni, ove poco tempo dopo avrebbe piazzato pure le bistecche. In pratica, perfino un gradino più giù di quel Gruppo 1 ove avrebbe poi parcheggiato salami e insaccati vari.

Al che, sconcerto e disorientamento colgono i navigatori compulsivi del web. Non si erano infatti ancora spente le esultanze ecologiste (e un po' slowfooddiste) alla notizia su glifosate, che a ghiacciare i tossicologi della domenica arriva la notizia secondo la quale pure la ciccia sarebbe cancerogena.
Una notizia che - fatto probabilmente bizzarro agli occhi di un Vulcaniano - invece di far chiedere bandi o limitazioni come avvenuto per glifosate, induce una levata di scudi a favore di carni e salumi e a sfavore degli enti che avevano operato entrambe le classificazioni. In pratica, per i detrattori del glifosate, ma cultori del Culatello, Iarc e Oms sono riferimenti cristallini e inoppugnabili quando condannano l’erbicida, mentre pare siano una manica di babbei quando parlano dei prodotti a loro tanto cari, anche nel senso del prezzo. Per questi prodotti, ovviamente, alcun bando viene quindi richiesto, con buona pace di vegani e fruttariani.
 
Incoerenze intellettuali a parte, a mettere ulteriore pepe alla vicenda arriva poi l’Efsa e dice che, no, glifosate è improbabile sia cancerogeno. E l’Autorità europea per la sicurezza alimentare non si limita a fornire le spiegazioni delle sue conclusioni, bensì attacca pure lo Iarc. Secondo Josè Tarazona, direttore dell’Unità dell’Efsa che si occupa di agrofarmaci, lo Iarc avrebbe infatti commesso ben tre differenti errori, il primo dei quali riguarda le dosi: nei test su animali sarebbero state considerate dosi troppo alte, tali da provocare comunque livelli di tossicità “interessanti”. Per giunta, sempre secondo Tarazona, sarebbe stato adottato un approccio statistico meno consono rispetto a quello seguito dall’Efsa. Infine, lo Iarc non avrebbe tenuto in debita considerazione il fatto che l’incidenza di tumori negli animali non trattati sarebbe in linea con quella contabilizzata negli animali cui sarebbe stato somministrato l’erbicida.
 
Per tali ragioni, e forte di una mole di studi definita dall’Efsa più corposa di quella considerata dallo Iarc, l’ente europeo avrebbe concluso che è improbabile che l’erbicida ponga un rischio di cancerogenicità per l’Uomo. Una decisione quasi unanime, visto che solo uno dei membri del gruppo giudicante avrebbe votato in modo sfavorevole.
 
Ora la palla torna al centro, con il glifosate che a questo punto pare avere delle ottime chances di superare a mani basse il vaglio delle Autorità europee e proseguire quindi nella propria vita di erbicida.
E magari, perché no, di spuntarla pure nella class action intentatagli negli Usa non appena lo Iarc si era pronunciato.
 
Resta però qualche dubbio sulla vicenda in sé e su come è stata condotta e comunicata.
Grazie al battibecco continuo sulla classificazione o meno come cancerogeno di glifosate, nei cittadini si è infatti acuita l’erronea percezione che vi siano entità sovranazionali, entrambe basate sulla scienza, che dicono cose opposte. E non ne capiscono il perché, alimentando sospetti e disorientamento. Facili infatti le accuse di corruzione da un lato e di sudditanza alle pressioni ambientaliste dall’altro. Di fatto, però, sia lo Iarc, sia l’Efsa hanno entrambe ragione. Basta sapere come operano.

Tanto per fare un esempio, se lo Iarc si occupasse della sicurezza dei grattacieli porrebbe il “Pirellone” di Milano nel Gruppo 1, cioè fra i sicuramente mortali, se qualche test dimostrasse che se ci si tuffa dal suo tetto vi è certezza di morire spiattellati al suolo. Un fatto inconfutabile: sconsigliato provare per dimostrare il contrario.
Poi arriva l’Efsa, la quale non prende in considerazione suicidi e omicidi tal quali, bensì valuta l’esposizione al rischio degli impiegati che lavorano all’ultimo piano del suddetto “Pirellone”, concludendo che a meno di eventi catastrofici tipo “Torri Gemelle” non vi è alcuna differenza a livello di rischio fra i dipendenti del primo e dell’ultimo piano. Del resto, in caso di attacco terroristico con bombe e kalashnikov i più esposti sarebbero proprio i primi e non i secondi. Quindi pari e patta: il “Pirellone” è decisamente improbabile che possa mai causare la morte per caduta dal tetto di un suo dipendente.
 
Ma, allora, il grattacielo tanto caro ai Milanesi è mortale, mortalissimo, oppure è sicuro, sicurissimo? Tranquilli, concittadini meneghini, il vostro amato “Pirellone” è entrambe le cose, come i treni della metropolitana, i semafori, i tram, gli alberi dei viali, gli aerei che decollano da Linate e un’infinità di altre possibili cause di morte che possano venire in mente al lettore. Incluso il proprio letto, visto che non sono poche le persone che vanno a coricarsi la sera per non svegliarsi più la mattina successiva. Ogni gesto apotropaico è ovviamente permesso.
 
Analogamente lo è glifosate, al pari di bistecche e salsicce.
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, per gli amici Paracelso, sosteneva infatti che è la dose che fa il veleno.
Oggi, quella dose può essere chiamata “esposizione”. Se questa è inferiore, magari di molto, alle dosi somministrate in laboratorio, il rischio tenderà proporzionalmente a zero tanto più queste variabili si discostino fra loro. Viceversa, il rischio sarà tanto più serio se le due variabili si avvicinano.
 
La domanda quindi è, ma glifosate a quante miglia sta in realtà dalle concentrazioni trovate dallo Iarc come cancerogene? Più o meno, a naso, sta alla stessa distanza che divide una succulenta bistecca dai tumori al colon. Se non si è dei veri Neanderthal, carnivori stretti, il rischio scema infatti progressivamente così in basso da poter essere considerato trascurabile quando i consumi si siano posizionati a livelli ragionevoli. E "trascurabile" non vuol dire zero: vuol dire "trascurabile". Cioè si può correre perché i benefici superano ampiamente i rischi di possibili effetti negativi.
 
Unico consiglio che pare sensato dare a questo punto è perciò quello di lasciare Iarc ed Efsa lavorare in funzione delle rispettive finalità, senza voler dare a tutti i costi delle interpretazioni partigiane a seconda si parli di un erbicida o di una mortadella.
 
Nessuno dei due fa male, anzi. Usate correttamente fanno di un gran bene: il primo perché aumenta il benessere delle colture di cui ci nutriamo, la seconda perché innalza il benessere del palato e dello spirito.
Ah, un’ultima cosa: non provate a chiamarla “mortazza” in presenza di un bolognese, o correrete rischi per la vostra salute sulla cui gravità concorderebbero perfino Iarc ed Efsa, senza tante discussioni…