Una storia secolare, quella della viticoltura irpina, assurta però a realtà nazionale ed europea solo negli Anni 30 quando la locale ferrovia risultò strategica per inviare al Nord, Francia inclusa, tonnellate di vino e di uve per compensare alle carenze produttive di quegli anni.
Da allora, i freddi rilievi della Provincia di Avellino hanno affinato le proprie produzioni vitivinicole, facendo scoprire le peculiarità dei propri vini, in primis Greco di Tufo, Falanghina, Fiano e Aglianico. Quattro campioni posizionatisi ormai nelle prime posizioni delle preferenze dei consumatori che cercano vini di alto livello. La qualità in bottiglia, però, in certe annate dipende soprattutto dalla sanità dei grappoli e dalle sostanze che le piante sono state in grado di trasferire loro. Basta però proteggere foglie e grappoli per avere i medesimi risultati in cantina? A volte no. Per lo meno, non del tutto.
 
Questo è ciò che avrebbe dimostrato un progetto indirizzato alla qualità dei vini che Belchim Crop Protection ha voluto realizzare di concerto con l’Unione Italiana Vini, gli enologi locali e le aziende agricole più rappresentative della zona, in Irpinia. Un progetto che alla sua conclusione fa dire che no, non tutte le strategie fitosanitarie permettono di raggiungere i medesimi livelli di eccellenza dei vini nel rispetto delle tipicità vocazionali della zona di produzione. Perché la qualità, quando si parli di vini, indossa sempre un vestito differente a seconda della bottiglia che ci si attinge a stappare.

Eccellenza chiama eccellenza

Progetti di alto profilo non possono che essere sviluppati e poi condivisi in partnership con interlocutori di analogo livello. Per la prima volta, infatti, i vantaggi derivanti dall'uso di un prodotto per la difesa, in questo specifico caso l'antiperonosporico Mildicut, sono stati misurati non solo in termini di efficacia sul patogeno, ormai da considerarsi un pre-requisito, bensì sotto molteplici aspetti che travalicano i pur importanti risultati di campo, giungendo alla valutazione di quei dettagli qualitativi e organolettici che possono aggiungere valore ai vini ormai in bottiglia.

Per dare il meritato respiro a tale iniziativa, Belchim Crop Protection ha quindi organizzato un convegno dedicato a enologi, tecnici e distributori, al fine di trasferire loro i contenuti e i risultati del lavoro svolto. L'incontro si è tenuto il 14 aprile a Mirabella Eclano, in Provincia di Avellino, presso il "Radici Resort" delle Tenute Mastroberardino, alla presenza di quasi cento invitati.
Moderato da Donatello Sandroni, giornalista e divulgatore tecnico-scientifico, il convegno ha visto nell'ordine gli interventi di Michaela Sacchetti, di Belchim Crop Protection, la quale ha esposto le finalità e l'impostazione del progetto, seguita da Antonio Pesce, enologo e consulente per la Regione Campania, il quale ha condiviso i risultati ottenuti in campo in termini di quantità e qualità del raccolto.
Pietro Papagni e Francesca Vigo, di Unione italiana vini, della ricerca hanno invece curato e quindi condiviso le parti analitiche di laboratorio e quelle sensoriali, svolte per misurare la qualità dei vini sia in termini oggettivi strumentali, sia organolettici e sensoriali.
A Paolo Ruggiero, di Belchim Crop Protection, è spettata infine la chiusura del convegno, incentrata non solo sulle peculiarità tecniche di Mildicut, ma anche sull'offerta per la vite della società belga.

Scarica le presentazioni e approfondisci i temi:
  1. Mildicut  e i vitigni dell’Irpinia”: scarica la presentazione di Michaela Sacchetti di Belchim.
  2. Progettualità e Obiettivi in un percorso di Qualità": scarica la presentazione di Antonio Pesce, enologo
  3. Studio sui parametri di tipicità e qualità dei vini”: scarica la presentazione di Pietro Papagni e Francesca Vigo di Uiv
  4. "Mildicut nei territori dell’ antica ferrovia del vino”: scarica la presentazione di Paolo Ruggiero di Belchim

Francesca Vigo e Pietro Papagni, di Unione italiana vini, hanno svolto le analisi di laboratorio e condotto le valutazioni sensoriali, evidenziando alcune importanti differenze fra le tesi a confronto
 

La differenza si chiama Mildicut

 La sperimentazione, svoltasi in un’annata particolarmente difficile come il 2014, prevedeva prove in due differenti aziende e metteva due tesi a confronto: la prima basata sulle strategie di difesa cosiddette “aziendali”, la seconda basata invece su programmi che contemplavano tre interventi di Mildicut a cavallo della fioritura, epoca delicata quanto a peronospora.
 
Nella fase più critica, quella appunto della fioritura, una doppia applicazione ravvicinata di Mildicut è stata in grado di fare la differenza sia in termini di quintali raccolti, sia di ettolitri di mosto ottenuti. Su uve bianche il delta è stato del 65% in termini produttivi in vigna, valore salito al 78% quanto a mosti. Su uve nere il risultato è stato altrettanto vistoso, intorno al +70%, ma meno differenziato fra uva e mosti.
Una differenza enorme in termini quantitativi, quella misurata in campo, che si è poi trasformata in una differenza sensibile anche in termini di qualità dei vini, misurata sia in termini organolettici, sia dal punto di vista analitico di laboratorio.

Un momento della valutazione olfattiva e organolettica dei vini. A destra nella foto l'enologo Antonio Pesce che ha collaborato al progetto

Specialmente nelle uve bianche sono risultate particolarmente esaltate le caratteristiche che rappresentano i punti di forza dei bianchi irpini, a dimostrazione che la cura ottimale della vigna permette alle piante di esprimere al meglio il proprio potenziale genetico, incluse quelle peculiarità che in caso di avversità e di produzioni mediocri tendono ad appiattirsi o addirittura a scomparire, rendendo il vino anonimo prima ancora che mediocre.
 
L’adozione di Mildicut si è rivelata quindi determinante nel trasformare una vendemmia deludente in una di pieno successo, anche in un’annata devastante come la 2014. Da febbraio, peraltro, Mildicut va considerato a pieno titolo un prodotto a due vie, dal momento che è stato registrato anche il fosfonato di disodio, precedentemente considerato solo come un coformulante. Sistemico, il fosfonato di disodio è in grado di proteggere dall’interno i tessuti vegetali mentre ciazofamide impedisce nuove infezioni presidiando le cuticole fogliari (Leggi l'articolo su Agronotizie).