Lo scorso 10 maggio si è tenuto il webinar "Metanogenesi idrogenotrofa, La via biologica all'upgrade del biogas e al power to gas: Esperienze e prospettive". L'evento, organizzato dal Politecnico di Milano, Polo territoriale di Cremona, è stato un momento di confronto fra le diverse esperienze condotte in Italia.

Proponiamo ai nostri lettori un aggiornamento sulla tecnologia del bioupgrading, argomento già trattato in altri articoli di questa colonna (P2G, la nuova frontiera delle bioenergie, Bioupgrading del biogas, Idrogeno da biometano, biometano da idrogeno).


Cos'è il bioupgrading

La sintesi del metano (CH4) a partire da una miscela di idrogeno (H2) e diossido di carbonio (CO2) è un processo molto interessante dal punto di vista industriale perché il metano è un vettore energetico ad alta densità. Poiché il Potere calorifico inferiore (Pci) del CH4 è pari a 35,22 MJ/Nm3, e quello dell'H2 solo 11,35 MJ/Nm3, trasportare o stoccare una data quantità di energia costa tre volte di meno se si sceglie il CH4.

Esistono due modi di sintetizzare il CH4: mediante un processo catalitico o per via biologica. Il primo è un processo industriale che richiede impianti complessi e costosi, redditizi solo su grandissime scale. Il secondo è un processo che avviene già in tutti i digestori anerobici: un particolare gruppo di microrganismi, le Archaea idrogenotrofe, si nutre di CO2 e H2, prodotti da altri microrganismi durante la decomposizione delle biomasse, producendo CH4 e acqua. All'incirca il 25% di tutto il metano prodotto da un digestore durante la sua normale operazione proviene dall'attività delle Archaea idrogenotrofe. Il motivo per il quale il biogas ha solo il 55%-60% di CH4 è semplicemente che le biomasse in alimentazione non contengono abbastanza idrogeno (o contengono troppo O2, un altro punto di vista). Solitamente la CO2 ha un valore pressoché nullo e viene eliminata, raramente viene utilizzata per aumentare la produttività delle colture in serra e solo in pochissimi casi viene recuperata per usi industriali, quali la ricarica di estintori o la gassatura di bevande.
 
Dall'entrata in vigore del Green deal, l'Ue incentiva la produzione di "idrogeno verde", cioè prodotto mediante l'elettrolisi dell'acqua, utilizzando l'elettricità da impianti fotovoltaici ed eolici, caratterizzati da una forte intermittenza. In modo estremamente riduttivo: il bioupgrading non è altro che l'immissione nel digestore di H2, prodotto nello stesso impianto di biogas mediante elettricità fotovoltaica o eolica, con lo scopo di immagazzinare in forma di biometano l'energia intermittente di tali fonti, idealmente azzerando il contenuto di CO2 nel prodotto finale. Teoricamente, a prescindere che il processo sia biologico o catalitico, la quantità necessaria di H2 è almeno quattro volte il volume di CO2 da convertire (Foto 1).

Stechiometria della metanazione della CO2
Foto 1: Stechiometria della metanazione della CO2
(Fonte foto: presentazione di F. Malpei, V. Corbellini, M. Trionfini, A. Santus; La metanogenesi idrogenotrofa - Fondamenti, opportunità e campi di interesse)
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Le tecnologie di metanogenesi idrogenotrofa

Esistono due scuole di pensiero su come implementare praticamente il bioupgrading del biogas:
  • Immissione di H2 in situ
    L'opzione in situ è quella più facile da attuare in un impianto esistente, anche se limitata dai vincoli progettuali dell'impianto stesso. In estrema sintesi, basta installare un sistema di miscelazione dell'H2 con il biogas (oppure con la CO2 separata dall'eventuale processo di upgrading convenzionale) in proporzioni prestabilite, facendo poi gorgogliare tale miscela nel digestore. Dalla sperimentazione in laboratorio si evince che, nel migliore dei casi (composizione del biogas finale con 90% CH4), è necessario dosare l'iniezione di H2 in modo che si mantenga un rapporto H2/CO2=7:1, quindi quasi il doppio rispetto al teorico. Il biogas in uscita conterrà 5% CO2 e 5% H2.
  • Immissione di H2 ex situ
    L'opzione ex situ richiede invece l'installazione di un reattore addizionale, separato dal digestore. In questo caso aumentano i gradi di libertà progettuale, in quanto esistono ben quattro tipi di reattori diversi, ciascuno con i suoi pregi e difetti (Foto 2).

Le possibili configurazioni dei reattori ex situ
Foto 2: Le possibili configurazioni dei reattori ex situ
(Fonte foto: presentazione di M.L.V. Nordio, C. Valli, A. Rossetti; Impianto pilota con reattori trickle bed per la metanazione biologica ex situ
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NdaTrl = Technology readiness level, scala del livello di maturità di una tecnologia definita dall'Ue, nella quale 1-3 corrisponde allo stadio di studio teorico e prime prove in laboratorio, 8-9 corrisponde a tecnologie disponibili commercialmente.

Dalla sperimentazione condotta dalla Ricerca sistema energetico Spa (Rse), il reattore più promettente è quello a gocciolamento (Tbr), operante a 55°C, con pressioni comprese fra 1 e 10 bar. Rispetto al sistema Cstr, più diffuso commercialmente, il Tbr si caratterizza per un basso consumo energetico (4 Wh/m3) ed un tenore di CH4 nel prodotto finale maggiore del 98%.


I problemi tecnologici da risolvere

Benché ci siano già cinque impianti Power to gas operanti in Europa a diversa scala, la tecnologia della metanazione idrogenotrofa è tutt'altro che matura e ci sono ancora molte limitazioni di processo da superare.

La prima domanda che si pone il titolare di un ipotetico impianto di biometanazione è dove andare a procurarsi un inoculo con una popolazione di Archaea idrogenotrofe sufficientemente consistente. Da uno studio dell'Enea (A. Giuliano; C.M. Cellamare, M. Granieri, L. Chiarini, R. Nuzzi, S. Tabacchioni, L. Petta - Applicazione della cavitazione idrodinamica al processo di metanogenesi idrogenotrofa) la migliore fonte di un tale inoculo sono i digestori dei fanghi fognari operanti in termofilia (50-55°C), sottoposti ad un periodo di arricchimento lungo circa cinque settimane. Il principale ostacolo limitante il processo è la bassa solubilità dell'H2 nel medio acquoso del digestato, motivo per il quale lo studio si è centrato sulla cavitazione idrodinamica.

Quest'ultima è una tecnica non del tutto sconosciuta ma ancora poco diffusa nell'industria del biogas. Consiste nella generazione e successiva implosione di microbolle di gas mediante onde di pressione, prodotte con diversi macchinari: generatori ad ultrasuoni, rotori forati, eliche a forte spessore operanti ad alte velocità, ecc. La cavitazione ha un duplice effetto benefico: da una parte riduce sostanzialmente la viscosità del fango, consentendo un risparmio di energia nel sistema di agitazione del digestore; dall'altro canto favorisce la dissoluzione dell'H2 nel medio acquoso del digestato, consentendo alle Archaea idrogenotrofe un più facile acceso al loro nutrimento.

Nelle condizioni di processo testate tramite la idrocavitazione controllata è possibile ottenere efficienze di utilizzazione dei substrati gassosi prossime al 100% a bassi regimi di pressione, risparmiando accorgimenti attualmente in uso quali il ricircolo del gas dello spazio di testa, o l'utilizzo di corpi di riempimento per favorire la ritenzione nel gas nel digestato. È tuttora in corso la ricerca su un reattore pilota per misurare l'aumento della produttività specifica del reattore. In altre parole: un reattore dotato di cavitazione idrodinamica è in grado di ammettere una maggiore portata di CO2 e H2 rispetto ad un reattore omologo, producendo dunque più CH4 per m3 di impianto costruito.


Quando conviene la metanazione biologica?

Il Laboratorio energia e ambiente Piacenza (Leap), appartenente al Politecnico di Milano, ha condotto una serie di analisi tecnico economiche per identificare le configurazioni impiantistiche ed i casi in cui il bioupgrading possa fornire dei vantaggi ambientali ed economici.

Le conclusioni dello studio presentato durate il webinar (R. Scaccabarozzi, M. Gatti, V. Corbellini, F. Malpei, Valutazioni energetiche per un impianto biogas con metanazione idrogenotrofa) sono le seguenti:
  • Energeticamente, l'upgrading a membrane è più conveniente della metanazione idrogenotrofa, come si evince dai consumi specifici di ciascuno dei processi:
     • Upgrading con membrane: consumo energetico, rappresentato dalla compressione del biogas e successivamente del biometano, pari a 0.4 kWh/Nm3CH4,bio.
     • Caso metanazione (indistintamente biologica o catalitica): consumo energetico principale rappresentato dalla produzione dell'idrogeno, pari a 6.3* kWh/Nm3CH4,bio.
  • Nel caso si decida di autoprodurre l'energia elettrica richiesta dall'elettrolizzatore con un impianto fotovoltaico, a causa delle basse ore equivalenti dello stesso (~1.200 ore/anno), questo dovrebbe essere sovradimensionato, avendo all'incirca una potenza di picco cinque volte superiore a quella richiesta dall'elettrolizzatore per soddisfare la richiesta istantanea media di H2.
  • Un sistema di accumulo di idrogeno è necessario per disaccoppiare la produzione elettrica da fonti rinnovabili dalla richiesta di idrogeno del metanatore. Ciò comporta un maggiore investimento ed un costo energetico addizionale per la compressione dell'idrogeno.
  • Dal punto di vista delle emissioni, l'idrogeno da elettrolisi dell'acqua si può considerare "a zero emissioni" o "green" solo se l'elettricità è prodotta da fonte rinnovabile. In Italia, però, il mix energetico include una quota consistente di elettricità prodotta da fonti fossili. Assumendo un consumo specifico per produzione di H2 pari a 52,1 kWhe/kgH2, tipico di un elettrolizzatore con tecnologia Proton exchange membrane (Pem) e un consumo specifico pari a 4,15 moli di H2 per mole di CH4 sintetico prodotto da CO2 (caso estremamente ottimistico), la metanazione idrogenotrofa può effettivamente risparmiare emissioni di CO2 solo se almeno il 70% dell'elettricità utilizzata proviene da fonti rinnovabili. Nel 2020, la percentuale di energie rinnovabili nel mix di fonti del sistema elettrico italiano è stata di poco più del 35 % (dati Enea). Nell'ipotetico caso di operare un impianto di bioupgrading prelevando l'elettricità dalla rete, con il mix energetico attuale, le emissioni di CO2 imputabili al biometano così prodotto sarebbero 1,7 volte quelle del volume equivalente di gas naturale.

Quindi, nell'attuale contesto italiano, l'adozione di un sistema di metanazione idrogenotrofa si giustifica solo in termini di ricerca e sviluppo, a livello di impianti pilota alimentati esclusivamente da pannelli fotovoltaici, e nel caso specifico degli impianti di trattamento acque, nei quali l'ossigeno prodotto dall'elettrolizzatore troverebbe impiego nel processo di ossidazione, e quindi si avrebbe una economia di processo complessiva.

L'autore ringrazia la professoressa Francesca Malpei e la segreteria didattica del Campus di Cremona per il materiale fornito. Per i lettori interessati a maggiori approfondimenti, riportiamo la registrazione video integrale del webinar, della durata di circa quattro ore.