Sin dall'antichità fino alla metà del XX secolo la coltivazione del castagno europeo (Castanea sativa Mill.) garantiva la sussistenza delle famiglie contadine italiane. Era fonte di frutta, legname da opera e da ardere, foraggio per il pascolo, terriccio, con le foglie secche si preparavano le lettiere per gli animali e addirittura i giacigli per le persone. I dati Istat riferiti al 1950 riportano 447mila ettari (pari al 62%) di castagneti da frutto e 275.186 ettari (38%) di cedui.

Attualmente la situazione risulta completamente capovolta: 589.362 (81%) ettari sono popolamenti governati a ceduo e solo il 19% (147.568 ettari) sono finalizzati alla produzione di frutto. In Campania troviamo la maggior concentrazione di questa coltura (Foto 1). I motivi del declino di questa importante attività agricola sono molteplici: sociali (migrazione dalle campagne alle città), economici (orientamento della produzione agricola verso altre colture esotiche più redditizie) e perfino tecnologici (declino della domanda di tannino e di pali di castagno, sostituiti da altri prodotti). La diffusione delle fitopatologie del castagno - mal dell'inchiostro (Phytophthora cambivora) e cancro corticale (Cryphonectria parasitica) - ha inoltre contribuito notevolmente all'abbandono progressivo dei castagneti.

Grafico: Distribuzione percentuale dello sfruttamento castanicolo per regione
Foto 1: Distribuzione percentuale dello sfruttamento castanicolo per regione
(Fonte foto: Rif. [i])
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In un mondo caratterizzato dalla sovrapproduzione di derrate alimentari, la castagna è passata da cibo dei poveri a prodotto di nicchia per un mercato "gourmet". Il cambiamento climatico globale potrebbe però essere il catalizzatore per una rinascita della castanicoltura, ma tale opportunità non è stata ancora colta dalla classe dirigente italiana (e neanche da quella europea, troppo impegnata a favorire le industrie "Hi Tech"). Come già denunciato in tanti altri articoli dell'autore, la burocrazia e la miopia dei governi europei ha ridotto le colture al mero scopo alimentare o industriale ("food" o "non-food", per dirla in politichese).

A titolo d’esempio: il "Piano del settore castanicolo 2010-2013", elaborato dal Mipaaf, non considera minimamente i servizi ambientali che potrebbero derivare da una castanicoltura gestita con criteri di valorizzazione e tutela del bene comune. Diverse regioni (Rif. [ii]) chiedono misure protezionistiche contro la concorrenza globale cinese, la standardizzazione delle pezzature, la salvaguardia delle denominazioni geografiche, la ricerca ed il sostegno nella lotta alle fitopatologie. Tutte istanze legittime, ma che sorvolano il potenziale ancora non sfruttato di questa coltura. Allora perché considerare la castanicoltura come un problema da risolvere a suon di sovvenzioni anziché come un'opportunità di sviluppo di nuovi paradigmi produttivi?

L'elaborato dei gruppi di lavoro (Rif. [iii]) riflette la logica abituale della politica: esso si concentra sulla produzione di frutto o di legname - da opera o da ardere - con solo qualche breve accenno alla produzione di funghi, miele e servizi turistici. Una proposta di legge del 2013 ipotizzava interventi di sostegno alla castanicoltura con il solito approccio politico della "carota e bastone": contributi a fondo perduto, controlli e sanzioni. In questo articolo, si propone al lettore una visione più lungimirante, considerando gli aspetti ambientali che meriterebbero maggiore attenzione dai legislatori ed un equo compenso per i castanicoltori.


La legna di castagno, vettore energetico e materiale da costruzione

Dal punto di vista energetico, i dati riportati nella Tabella 1 sembrerebbero indicare che la legna di castagno sia un ottimo combustibile. In realtà non è del tutto così: contiene una grande quantità di tannino, per cui è un legname che non si accende facilmente, e produce fumo molto denso. Sebbene sia vero che le emissioni di CO2 imputabili alla combustione della biomassa siano "neutre", ai fini del Protocollo di Kyoto l'aspetto delle emissioni locali di polveri sottili (le cosiddette PM5 e PM10) non va sottovalutato. Come giustamente segnala l'Elaborato del sottogruppo di lavoro fonti rinnovabili, la legna di castagno è più adatta all'utilizzo in centrali di teleriscaldamento, dotate di sistemi di controllo della combustione. Ed è qua la principale contraddizione normativa: le procedure burocratiche autorizzative e la mancanza di finanziamenti fanno sì che i comuni dotati di impianti di teleriscaldamento siano relativamente pochi a confronto con altri paesi europei.

Tabella: Caratteristiche tecniche della legna e del cippato di castagno
Tabella 1: Caratteristiche tecniche della legna e del cippato di castagno
(Fonte foto: Mipaaf, Rif. [iii già citato])
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Il legno di castagno possiede buone caratteristiche meccaniche, come si può apprezzare dalla Tabella 2. Resistenza e leggerezza, unite all'elevata concentrazione di tannino, che gli conferisce una naturale resistenza al marciume provocato da fughi e insetti, fanno di questo legno un ottimo materiale da costruzione, quando è sano. Purtroppo il legno di castagno è propenso a difetti quali la cipollatura e la fessurazione (Foto 2), oltre alla torsione delle fibre lungo il tronco, che ne abbassano la resistenza e dunque il valore commerciale.

Tabella: Caratteristiche meccaniche del legno di castagno
Tabella 2: Caratteristiche meccaniche del legno di castagno
(Fonte foto: Progetto Interreg Upkeep the Alps, Rif. [iv])
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Esempi di cipollatura e fessurazione di un tronco
Foto 2: Esempi di cipollatura e fessurazione di un tronco
(Fonte foto: dott. Jesse Randall, Forest biomass innovation center, Michigan State University, Usa, didascalia dell'autore)

La capacità di accrescimento di un castagneto è di 6,3 m3/ettari.anno distribuita nel seguente modo: 36% paleria, 26% materiale per estrazione di tannino, 18% tondame da segherie, 12% altri impieghi, 8% doghe (Rif. [i già citato]).
I prezzi del legname di castagno, rilevati dalla Cciaa di Cuneo (novembre 2020 in questo e questo sito) sono i seguenti:
  • castagni in piedi, sani e commerciabili: 5,25 euro/q.le;
  • tavole di castagno di dimensioni commerciabili: 532 euro/m3;
  • legna da ardere di essenza forte, pezzi da 30 centimetri: 4,75 euro/q.le;
  • cippato di legna vergine, umidità 50%: 41,50 euro/tonnellata.

A meno che il proprietario del castagneto non possieda anche una segheria, potrà vendere solo gli alberi in piedi oppure legna e cippato. Nel primo caso, 6,3 m3/ettaro.anno equivalgono all'incirca a 63 quintali, quindi il ricavo annuo sarà di 330 euro/ettari. Nel secondo caso, assumendo che circa il 60% della biomassa possa essere tagliato a "pezzatura da stufa" ed il 40% restante siano scarti da convertire in cippato, il ricavo annuo si riduce a 284 euro/ettari. Come vedremo in seguito, i prezzi bassi del prodotto sono il risultato della logica basata sul modello di "economia lineare" (usa e getta), purtroppo ancora imperante. Sin dalla rivoluzione industriale, i boschi sono considerati fonti di materia prima a basso costo da sfruttare nell'industria, esternalizzando alla società i costi ambientali e sociali di tale sfruttamento. La corsa al ribasso dei prezzi porta al punto in cui l'attività non è più redditizia e, come vedremo in seguito, il suo abbandono comporta enormi costi per la comunità.


I servizi ambientali che fornisce il castagneto

Come si misurano i costi sulla collettività dovuti agli impatti ambientali dell'azione antropica scellerata? L'intenzione dell'autore è in primis fornire alcuni spunti di riflessione sull'avversione neo-liberale della politica europea nei confronti degli "aiuti di Stato". In seguito, riflettere sulle responsabilità dello Stato sull'amministrazione di fenomeni apparentemente naturali, quali il dissesto idrogeologico e l'immobilizzazione del carbonio, causa principale dell'effetto serra. Nella modesta opinione dell'autore, interventi in queste aree non sono da considerarsi come "aiuti di Stato", bensì come "pagamento di un servizio". Un castagneto fornisce alla comunità quattro servizi importantissimi, che però nessuno riconosce al castanicoltore: cattura e sequestro di CO2, contenimento del dissesto idrogeologico e degli incendi boschivi, nonché la tutela della biodiversità, in particolare quella della fauna che vi trova l'habitat ideale. È però difficile determinare un compenso equo che lo Stato dovrebbe corrispondere ai castanicoltori per tali servizi. Iniziamo dal più semplice: la cattura ed immobilizzazione di CO2, un argomento sul quale la Ue ha legiferato abbondantemente.

Il sistema attuale dei crediti di carbonio non prevede crediti per le coltivazioni forestali nei "paesi industrializzati". Nella modesta opinione dell'autore il "meccanismo dello sviluppo pulito" (clean development mechanism) è stato un fallimento e i disastri del disboscamento dell'Amazzonia (Video 1), dell'Africa pluviale e del Sud Est asiatico ne sono la prova.


Video 1: Sequenza di fotografie satellitari dello Stato di Rondônia (Brasile) scattate dalla Nasa, compilate dall'autore come fotogrammi di un video per metterne in evidenza l'avanzamento della deforestazione
(Fonte delle singole immagini in questa pagina

Come valutare il carbonio stoccato in un castagneto?
Analizziamo i dati disponibili:
  • Mediamente, la quantità di biomassa "fresca" accumulata in un castagneto governato a ceduo è di 170 m3/ettari (Rif. [i già citato]), che equivale all'incirca a 95 tonnellate di biomassa con 12% di umidità (Tabella 1), ovvero 83,6 tonnellate di biomassa secca. Poiché il contenuto di carbonio della biomassa lignocellulosica è all'incirca del 50% sul secco, un ettaro di castagneto contiene 41,8 tonnellate di carbonio immobilizzato nella biomassa, che equivale a 153 tonnellate CO2 catturate dalle piante durante la loro vita.
  • Nel mercato europeo dei crediti di carbonio il prezzo medio del mese di dicembre 2020 è stato di ben 30 euro/tonnellata CO2 eq.
  • La quantità di CO2 immagazzinata nel legno di castagno è pari a 880 chilogrammi/m3. Una trave (0,2 x 0,2 x 4 metri) di legno di castagno contiene dunque 141 chilogrammi di CO2, assorbita e fissata dalla pianta durante la sua vita (Rif. [v]). Poiché la vita utile di un elemento strutturale è in genere maggiore di cinquanta anni, potenzialmente anche secoli, promuovere l'utilizzo del legno (non solo di castagno) come materiale da costruzione equivale a sequestrare il carbonio dall'atmosfera e ridurre l'effetto serra e il conseguente cambiamento climatico, i cui effetti sono sempre più devastanti.

A questo punto, possiamo ipotizzare un equo compenso che lo Stato dovrebbe riconoscere al castanicoltore.
Innanzitutto l'entità dipenderà dal tipo di gestione della coltura:
  • Castagneti da frutta (ed i prodotti derivati: funghi e miele).
    Chi adotta questo modello non dovrebbe asportare biomassa dal bosco, tranne nel caso di potature di rami o piante infette, che per ragioni profilattiche vanno allontanate ed utilizzate come cippato combustibile. Le potature di rami e piante sane vanno cippate e incorporate al terreno per restituirne il carbonio e favorire lo sviluppo della biodiversità. Non vanno lasciate esposte per evitare gli incendi boschivi. A tali condizioni, si potrebbe ipotizzare un compenso al castanicoltore pari a 153 tonnellate CO2/ettaro x 30 euro = 4.590 euro alla sottoscrizione del contratto con l'ente preposto (da definire quale, ipotizziamo sia la regione). Ogni dieci anni si deve fare una verifica della consistenza del castagneto, se ci fosse un aumento di biomassa in piedi rispetto a quelle iniziali, la differenza di CO2 accumulata andrà corrisposta al valore di mercato dei crediti in vigore.
  • Fustaie.
    Mediamente l'80% del volume della biomassa epigea del castagno corrisponde al tronco, il resto ai rami (Rif. [i già citato]). Il coltivatore che produce legname da opera e vende gli scarti come legna da ardere o cippato, dovrebbe dunque percepire un compenso pari a: 80% x 0,88 tonnellate CO2/m3 di legname x 30 euro = 21,12 euro/m3 di legname grezzo abbattuto. Se invece i rami e gli scarti vengono cippati e reintegrati al terreno, percepirà un contributo pari a 0,88 tonnellate CO2/m3 di legname x 30 euro = 26,40 euro/m3 di legname grezzo abbattuto.
  • Cedui.
    I pali hanno una vita media stimata in circa venti anni (stima da fonti commerciali nel web, mancano dati peer-reviewed). I produttori di paleria dovrebbero dunque ricevere un contributo per il contenimento del carbonio "a medio termine" pari ad un quinto di quello dei produttori di legname da opera, quindi 5,28 euro/m3. Nessun contributo invece se il prodotto viene venduto come legna da ardere o cippato.

I fondi di tali contributi dovrebbero provenire da una quota della Carbon tax, di cui si parla da tempo, oppure da una borsa dei crediti di carbonio nazionale, istituita ad hoc.

Grazie ad alcune interessanti ricerche scientifiche, la Regione Lombardia ha dimostrato la relazione stretta che intercorre fra l'aumento dei castagneti abbandonati ed il dissesto idrogeologico (Rif .[vi]). Il fenomeno è estremamente complesso per cui rimandiamo il suo approfondimento allo studio appena citato. In estrema sintesi, l'abbandono di una ceppaia, specie lungo un pendio di oltre 30° su un sottosuolo di roccia impermeabile, aumenta notevolmente il rischio di frane. S'intende per "abbandono" la mancata ceduazione oltre il turno consigliato (ventiquattro anni). Il rischio di frane aumenta nei castagneti a partire dai trenta anni, precisamente per l'accumulo di piante morte e radici marcescenti, che riducono la coesione del terreno. Al contrario, ceppaie di meno di ventiquattro anni presentano un fitto sistema di radici vitali e con buona resistenza meccanica, in grado di consolidare il terreno. La gestione accurata del ceduo risparmia dunque il costo di opere d'ingegneria complesse, che si renderebbero necessarie se il bosco non ci fosse o se venisse lasciato all'incuria. È difficile ipotizzare quale sarebbe l'equo compenso che il castanicoltore dovrebbe percepire per la prevenzione delle frane, in quanto andrebbe verificato caso per caso. Una possibile ipotesi gestionale potrebbe essere il riconoscimento di una percentuale addizionale sui crediti di carbonio discussi sopra, proporzionale alla pendenza media del terreno dove cresce il castagneto.

Secondo il Manuale tecnico per la pianificazione antincendi boschivi, elaborato dal ministero dell'Ambiente, i castagneti (e le pinete) abbandonati o mal gestiti accumulano a livello del suolo fra 7 e 9 tonnellate/ettaro di biomassa morta, che propaga le fiamme più velocemente degli altri tipi di vegetazione e può innescare incendi di chioma. La corretta pulizia del bosco evita o almeno serve a contenere tale rischio. Si consideri che il costo operativo di un aereo antincendio Canadair è di 5.835 euro/ora (Rif. [vii]), mentre il costo degli sfolli e diradamenti boschivi va dai 1.629 ai 4.401 euro/ettaro a seconda della tipologia (prezzi indicativi tratti dal Rif [viii]). È dunque evidente che lo Stato potrebbe risparmiare sui costi operativi della flotta dei Vvf, semplicemente riconoscendo ai proprietari dei castagneti (e di boschi in generale) un compenso per mantenerli puliti, incorporando la biomassa al terreno per accrescere lo stoccaggio di carbonio.

L'attribuzione di un compenso per la manutenzione della biodiversità è il compito più arduo, perché difficile da misurare e variabile in funzione del luogo. In linea di massima, e a scopi semplificativi, si potrebbe definire arbitrariamente un ipotetico compenso in funzione della consistenza (m3 di biomassa viva/ettaro) del castagneto.


Conclusione

I servizi ambientali derivanti da un'adeguata gestione forestale, in particolare quella dei castagneti, offrono allo Stato l'opportunità di realizzare cospicui risparmi sulla gestione delle situazioni d'emergenza. Si tratterebbe di sostituire la logica dell'emergenza con quella della prevenzione, garantendo un'occupazione costante e più sostenibile anche dal punto di vista ambientale. Tali servizi andrebbero pagati ai castanicoltori in misura proporzionale ai risparmi sulle voci di bilancio a cui si riferiscono, quali la compensazione delle emissioni di carbonio, il contenimento del dissesto idrogeologico e la lotta agli incendi boschivi. L'utilizzo della biomassa come combustibile dovrebbe essere l'ultima opzione, limitata solo alla biomassa da allontanare per questioni fitosanitarie o in casi particolari di alto carico d'incendio.


Bibliografia

[i] Manetti M.C., Becagli C., Carbone F., Corona P, Giannini T., Romano R., Pelleri F., 2017 - Linee guida per la selvicoltura dei cedui di castagno. Rete rurale nazionale, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, Roma, ISBN: 9788899595579.
[ii] Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali; Piano del settore castanicolo 2010-2013; 3. Elaborato delle regioni sulla castanicoltura regionale.
[iii] Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali; Piano del settore castanicolo 2010-2013; 3. Elaborato dei gruppi di lavoro.
[iv] Massimo Raimondi, "Il castagno per il territorio: dalla sentieristica al paesaggio" Caratteristiche, qualità e problemi del legno di castagno, zone di provenienza, caratterizzazione dell'attuale castagno locale.
[v] F. Negro, C. Cremonini, R. Zanuttini, S. Dezzutto; "Il legno di castagno - Conoscerne il valore, (ri)scoprirne le potenzialità" riportato dal Rif. [iv].
[vi] Gian Battista Bischetti, Enrico Antonio Chiaradia, Chiara Bassanelli, Alessandro Nicoloso, Mario Pividori; Dissesto idrogeologico e copertura forestale: il ruolo dei cedui di castagno abbandonati, Quaderni della ricerca n. 152 - giugno 2013.
[viiDato calcolato dal documento della gara d'appalto del servizio di gestione della flotta per quattro anni. Importo totale 388.092.690,40 euro/ 3.500 ore/anno / 19 velivoli = 5.835 euro/ora.
[viiiPrezzario opere agroforestali della Regione Veneto.


Altre fonti di dati per approfondimenti