Un anno fa l'autore ha espresso diverse perplessità sulla bozza di regolamento europeo sul riutilizzo in agricoltura delle acque reflue trattate.
 
L'iter normativo si è concluso la scorsa estate ed è entrato in vigore il Regolamento europeo 2020/741 che stabilisce i requisiti minimi per il riutilizzo agricolo delle acque fognarie trattate. Il testo in italiano si può scaricare in questa pagina.

Prima delusione: il nuovo regolamento europeo non deroga il famigerato decreto Effluenti (dm 12 giugno 2003, n. 185, Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell'articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152), le cui fallacie ideologiche impediscono, o quanto meno complicano inutilmente, l'utilizzo di alcuni sottoprodotti liquidi negli impianti di biogas.
 
Infatti, gli "effluenti" degli impianti agroalimentari (o agroindustriali) sono esclusi dall'applicazione del nuovo Regolamento europeo 2020/741"Art. 21: … il presente regolamento non dovrebbe riguardare le acque reflue industriali biodegradabili provenienti da impianti appartenenti ai settori industriali di cui all'allegato III della direttiva 91/271/CEE (testo in italiano in questa pagina), a meno che le acque reflue provenienti da tali impianti confluiscano in una rete fognaria e siano soggette a trattamento in un impianto di trattamento delle acque reflue urbane".

Rimangono dunque esclusi dal nuovo regolamento europeo, e soggetti al decreto Effluenti, i reflui indicati nel suddetto allegato II:
  • Trasformazione del latte.
  • Lavorazione degli ortofrutticoli.
  • Lavorazione ed imbottigliamento di bevande analcoliche.
  • Trasformazione delle patate.
  • Industria della carne.
  • Industria della birra.
  • Produzione di alcole e di bevande alcoliche.
  • Lavorazione di alimenti per animali provenienti da prodotti vegetali.
  • Lavorazione di gelatina e colla a base di pelli e ossa.
  • Fabbriche di malto.
  • Industria di trasformazione del pesce.


La filosofia del nuovo regolamento

Nella sua essenza, il nuovo Regolamento europeo 2020/741 ricalca la norma ISO 16075:2015 e una serie di raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità (vedere la lista dei riferimenti alla fine), alle quali rimanda ma senza definire come tassativa la loro applicazione: "Art. 16:  … Al fine di elaborare tali piani di gestione dei rischi si potrebbero (perché il condizionale?) utilizzare gli orientamenti o le norme internazionali vigenti, ad esempio gli orientamenti per la valutazione e la gestione dei rischi per la salute riguardo al riutilizzo di acqua non potabile (ISO 20426:2018), gli orientamenti per l'utilizzo delle acque reflue trattate per progetti di irrigazione (ISO 16075:2015) o gli orientamenti dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms)".

In sostanza, il regolamento definisce quattro classi di qualità delle acque fognarie trattate, a quali colture si può applicare ciascuna di esse e con quale tecnica di irrigazione (Tabella 1). Rimane compito delle autorità locali definire i piani di gestione dei rischi connessi all'utilizzo in agricoltura di ciascuna categoria di reflui trattati. Troviamo nel testo un solo aspetto positivo: il "no, per principio di precauzione" - al quale ci ha abituato il funzionariato italiano - è escluso. Se uno Stato o un'autorità locale dovesse negare il premesso per il riutilizzo in agricoltura delle acque trattate, deve giustificare tale scelta davanti alla Commissione europea. Per contro, non sono stabilite percentuali di riutilizzo. Non si capisce dunque come il regolamento intenda promuovere l'economia circolare, se non definisce degli obiettivi da raggiungere entro un arco temporale concreto.
 
Tabella 1: Classi di qualità delle acque fognarie trattate e a quali colture si applicano
Tabella 1: Classi di qualità delle acque fognarie trattate e a quali colture si applicano (Tabella 1 dell'allegato II del regolamento e relative note in calce)
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(*1) Se lo stesso tipo di coltura irrigata rientra in più categorie della Tabella 1, si applicano le prescrizioni della categoria più rigorosa.
(*2) L'irrigazione a goccia (o irrigazione localizzata) è un sistema di microirrigazione capace di somministrare acqua alle piante sotto forma di gocce o di sottili flussi d'acqua. L'acqua viene erogata a bassissima portata (2-20 litri/ora) sul terreno o direttamente al di sotto della sua superficie da un sistema di tubi di plastica di piccolo diametro dotati di ugelli denominati "emettitori" o "gocciolatori".
(*3) Nel caso di tecniche di irrigazione che imitano la pioggia, occorre prestare particolare attenzione alla protezione della salute dei lavoratori o degli astanti. A tal fine si devono porre in essere le adeguate misure preventive.


La responsabilità di assicurare e monitorare la qualità delle acque trattate ricade sul gestore dell'impianto di depurazione. Il regolamento stabilisce anche i parametri minimi che vanno controllati in laboratorio (BOD5, solidi sospesi totali TSS, torbidità, coliformi, nematodi intestinali, legionella), sui quali si basa la qualificazione e la frequenza minima di tali controlli (settimanale per le classi A e B, ogni quindici giorni per C e D). La responsabilità di impedire il contatto delle persone e gli animali con l'acqua fognaria trattata, il rispetto della direttiva Nitrati e delle modalità di applicazione, ricadono sull'agricoltore.


Tra il dire e il fare… c'è di mezzo la politica

Il ruolo dell'azienda agricola nella filiera di utilizzo delle acque reflue trattate è completamente passivo. Per poter irrigare le colture con tali acque è necessario che il gestore di un impianto di trattamento decida di metterle a disposizione anziché versarle nel corpo idrico abituale, e che l'autorità locale rediga i piani di gestione dei rischi ed emani l'autorizzazione corrispondente. Se tutto va bene, all'azienda agricola andrà l'onere di attuare tali piani. Non è chiaro come l'entrata in vigore del nuovo regolamento possa cambiare lo status quo, perché la potestà di emanare eventuali politiche d'incentivo all'economia circolare nell'irrigazione dovranno essere redatte dal Governo italiano. In Italia siamo abituati ai "comitati del no" e a certi gruppi politici che si oppongono ideologicamente a qualsiasi iniziativa di riutilizzo di qualsiasi materia prima che loro percepiscano come "rifiuti", anche quando i progetti non riguardano "rifiuti" nel senso giuridico del termine (si vedano alcuni esempi fra gli approfondimenti consigliati alla fine dell'articolo).

Dalle Linee guida dell'Oms consigliate nel nuovo regolamento (nel nostro caso è rilevante il volume 2) si evince che i nostri politici non sono gli unici ad avere pregiudizi culturali ed ideologici nei confronti dell'economia circolare. Un sondaggio condotto in California mostra che il pubblico statunitense percepisce il riutilizzo dell'acqua depurata in modo diverso a seconda dello scopo di riutilizzo proposto (Foto 1). Si osserva come una frazione consistente (35% degli intervistati) si oppone al riutilizzo dell'acqua depurata in agricoltura, e un 5% si dichiara indeciso. La percentuale di oppositori sale all'80% nel caso dell'utilizzo dell'acqua depurata per la ricarica degli acquiferi, nonostante sia una pratica assolutamente sicura e ambientalmente virtuosa.

Accettazione del pubblico californiano del riutilizzo dell'acqua per diversi scopi
Foto 1: Accettazione del pubblico californiano del riutilizzo dell'acqua per diversi scopi
(Fonte foto: Oms; tratto da Robinson & Hawkins, 2005. Traduzione dell'autore)
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Una lettura attenta dei quarantaquattro punti che costituiscono le premesse e gli scopi del Regolamento europeo 2020/741 lascia trasparire che la Commissione che l'ha redatto e votato sia culturalmente molto simile al pubblico californiano. Il testo delle sette pagine in questione usa largamente il condizionaledovrebbe/dovrebbero appare cinquantasei volte, potrebbe/potrebbero appare diciassette volte, contribuirebbe una volta. Sembra dunque che una frazione consistente della Commissione non abbia ancora capito la necessità sempre più pressante - in particolare per le aziende agricole dei paesi del Mediterraneo - di poter contare con strumenti legislativi per combattere la desertificazione, la siccità e l'intrusione del cuneo salino negli acquiferi.

In sintesi, il nuovo regolamento non impone agli Stati alcun obbligo di riutilizzare quote minime delle acque trattate entro una data concreta. Gli unici obiettivi temporali si riferiscono all'elaborazione di rapporti sui controlli effettuati dalle autorità su eventuali progetti messi in atto, e rapporti per l'informazione dei cittadini, da pubblicare entro il 26 giugno 2026. Entro il 26 giugno 2022 la Commissione comunicherà ulteriori orientamenti agli Stati, quindi è molto probabile che, tranne che per una manciata di comuni e gestori idrici virtuosi, nei prossimi due anni permanga lo status quo sul riutilizzo in agricoltura delle acque fognarie depurate. La maggioranza degli agricoltori italiani continueranno dunque a pompare acqua dal sottosuolo, ogni anno con maggiore concentrazione di sale, minori rese agronomiche e maggiori costi energetici.


Conclusioni

Un'ultima riflessione sull'applicabilità del nuovo regolamento in Italia: Secondo dati Istat il 69,53% dei comuni italiani ha una popolazione complessiva minore di 5mila abitanti, che spesso sono sparpagliati in piccole frazioni del territorio comunale. Ricordiamo che l'obbligo di installare impianti di depurazione delle acque fognarie vale solo per agglomerati con più di 2mila abitanti (direttiva 91/271/CE). Quindi una quantità importante di acque reflue, prodotte proprio nelle zone a vocazione nettamente rurale, non potrà essere utilizzata perché non trattata in un depuratore, e quindi esclusa dal regolamento. Eppure, secondo le Linee guida dell'Oms le acque nere e grigie si possono utilizzare in agricoltura se vengono rispettate alcune semplici norme igienico-sanitarie.


Riferimenti addizionali