Il bioetanolo è uno dei biocarburanti cardini della strategia europea di decarbonizzazione dell'economia. Il bioetanolo "di prima generazione" è relativamente facile da produrre dalla fermentazione alcolica dello zucchero o amido. Si tratta di un processo noto sin dall'antichità che non richiede tecnologie impegnative.

Tuttavia il prodotto derivato non può essere considerato sostenibile perché implica il cambio di destinazione d'uso dei terreni, da agricoli per la produzione alimentare ad agricoli per la produzione di biomassa ad uso come vettore energetico. La riduzione della superficie arabile destinata all'alimentazione, o delle aree naturali, indotta dall'incentivazione delle colture da biomassa è nota nel gergo euroburocratese come Iluc (Indirect land use change, cambio indiretto di destinazione d'uso del suolo) ed è il motivo per il quale la Commissione europea ha deciso di eliminare gradualmente gli incentivi alla produzione di bioetanolo di prima generazione (si veda Lo stato generale dei biocarburanti in Europa).

Il bioetanolo "di seconda generazione" viene prodotto con scarti lignocellulosici, non adatti all'uso alimentare umano o animale. Il processo produttivo è però piuttosto complesso e quindi il costo del prodotto "di seconda generazione" è decisamente più alto rispetto all'omologo "di prima generazione". Di conseguenza, sono necessari contributi pubblici per mantenere artificialmente la competitività del bioetanolo lignocellulosico rispetto ai derivati dal petrolio. La sostenibilità di un prodotto che richiede contributi statali per essere redditizio è dunque dubbiosa.

La soluzione al problema della sostenibilità del bioetanolo potrebbe venire dalla proverbiale parsimonia degli scozzesi. Come noto, i superalcolici sono il genere più esportato e perciò sono importanti contributori del Pil della Scozia. La crescente domanda di superalcolici, seppur essendo considerati prodotti "alimentari" a tutti gli effetti sottrae risorse alla produzione di alimenti di base e genera emissioni climalteranti. In sintesi: gli alcolici non sono un bene vitale e si posizionerebbero al di sotto dei biocarburanti in una ipotetica scala delle priorità per lo sviluppo sostenibile.

Benché le organizzazioni internazionali contro il cambiamento climatico e gli ideologi ecologisti-vegani non abbiano ancora demonizzato le distillerie di superalcolici - come però hanno già fatto con gli allevamenti di bestiame - l'industria cerca comunque materie prime più economiche dell'orzo, del frumento, o - nel caso della produzione di whisky irlandese - delle patate. Poiché i distillatori dominano la tecnologia della fermentazione ed hanno già tutta l'infrastruttura produttiva per tale processo, la conversione all'etanolo "di seconda generazione" risulta improponibile per l'industria dei superalcolici.

Un gruppo di ricercatori, provenienti da diverse università scozzesi, gallesi ed irlandesi, ha recentemente messo a punto un sistema di economia circolare molto originale, basato sulla coltivazione del pisello (Pisum sativum L., Foto 1).


Foto 1: Fiore, foglie e baccello di pisello (Rif. [i])
(Crediti dell'immagine: dipartimento di Scienze della vita, Università di Trieste - Progetto Dryades - Picture by Andrea Moro - Pendici del Monte Matajur, Valli del Natisone, Ud, Friuli Venezia Giulia, Italia - Image licensed under a Creative Commons Attribution Non Commercial Share-Alike 3.0 License)


I vantaggi ecologici delle leguminose sui cereali

Lo studio in questione (Rif. [ii]) ha realizzato una Lca (Life cycle analysis, analisi del ciclo di vita) molto dettagliata - cradle to gate (dalla culla alla porta dello stabilimento) - prendendo come unità funzionale il litro di gin. La Lca è estesa all'intera filiera, cioè dalla coltivazione delle materie prime fino al prodotto finito: imbottigliato, confezionato, pronto per la consegna alla porta dello stabilimento produttivo.

Per ricavare un litro di gin, avuto conto del tenore di amido per ciascuna materia prima, servono rispettivamente: 1,43 chilogrammi di granella di frumento, oppure 2,42 chilogrammi di piselli. Nel primo caso è necessario coltivare una superficie di 2,21 m2, mentre nel secondo più del doppio, 5,92 m2 (nelle condizioni pedoclimatiche delle Isole britanniche). Con una logica puramente di mercato, sembrerebbe assurdo sostituire i cereali con i piselli.

Tuttavia, la Lca considera tutti i consumi, prodotti, sottoprodotti e residui, pertanto coltivare piselli è più conveniente dei cereali perché:
  • Non necessitano di fertilizzanti azotati, giacché fissano l'azoto atmosferico, quindi le emissioni di CO2 complessive risultano minori. Il mancato utilizzo di fertilizzanti azotati comporta inoltre minore dilavamento dei nutrienti con le piogge, per cui i piselli contribuiscono di meno all'eutrofizzazione dei corpi idrici rispetto ai cereali.
  • Richiedono meno agrofarmaci per unità di prodotto finale.
  • Gli steli non si possono utilizzare come la paglia, quindi vengono lasciati nei campi, restituendo carbonio al terreno.
  • Il sottoprodotto della loro fermentazione contiene il doppio di proteina rispetto alla frazione solida della borlanda di cereali, quindi è un ottimo mangime in grado di rimpiazzare la soia. Il 70% della soia utilizzata in Europa per i mangimi arriva dal Brasile, paese fra i principali responsabili dell'Iluc, perché il Governo autorizza il disboscamento della foresta amazzonica per la sua coltivazione. Oltre all'Iluc, il trasporto su così lunga distanza comporta grandi emissioni di CO2, che la sostituzione della soia con proteine ricavate da pisello fermentato potrebbe facilmente eliminare.
  • Il baccello dei piselli è ottimo per l'alimentazione dei ruminanti.
  • Hanno i fiori, per cui forniscono nutrimento alle api e altri insetti.


Stato dell'arte e conclusioni

La sperimentazione, condotta su scala reale in un lotto standard da 1.886 litri di gin (16 barili da 31 galloni), ha dimostrato la fattibilità del processo e la buona resa in alcol del pisello: circa il 7% in meno rispetto alla resa teorica. Complessivamente, la produzione di gin con piselli anziché cereali comporta riduzioni del: 12% di emissioni climalteranti, il 48% dell'acidificazione ambientale, e il 68% dell'eutrofizzazione dei corpi idrici.

I risultati ottenuti in una industria di beni voluttuari, caratterizzata da alti margini di guadagno e quindi in grado di finanziare la sperimentazione, sono facilmente trasferibili alla produzione di bioetanolo da pisello. L'adozione su larga scala della coltura del pisello come materia prima per il bioetanolo ha il potenziale per ridurre la dipendenza europea dalle importazioni di soia brasiliana per uso mangimistico, abbattendo l'impronta ecologica dei nostri allevamenti, per ridurre l'impiego di fertilizzanti chimici, per favorire lo sviluppo degli insetti impollinatori, e in ultima istanza, per contenere le emissioni di gas di effetto serra in generale.

L'attuale collo di bottiglia è la resa relativamente bassa del pisello, coltura che rappresenta attualmente meno dell'1% della superficie coltivata europea e che meriterebbe l'investimento nella ricerca genetica per migliorare la sua produttività.


Fonti dei dati

[iSchede di botanica.
[ii] Theophile Lienhardt, Kirsty Black, Sophie Saget, Marcela Porto Costa, David Chadwick, Robert M. Rees, Michael Williams, Charles Spillane, Pietro M. Iannetta, Graeme Walker, David Styles, Just the tonic! Legume biorefining for alcohol has the potential to reduce Europe's protein deficit and mitigate climate change, Environment International, Volume 130, 2019. Scaricabile gratuitamente da questa pagina.