La serie di norme UNI EN ISO 17225:2014 "Biocombustibili solidi - Specifiche e classificazione del combustibile" definisce tutti i combustibili solidi di origine biologica in base alle caratteristiche fisico-chimiche. La serie è composta da sei parti.

La seconda parte della norma (UNI EN ISO 17225-2:2014) riguarda i pellet di legno ai quali abbiamo già dedicato due articoli: Sopravvivenza nella giungla europea del pellet (I parte e II parte). 
La sesta parte della norma (UNI EN ISO 17225-6:2014) definisce le classi di pellet non legnoso.
Attualmente è in studio una norma nazionale complementare applicabile esclusivamente ai pellet prodotti con biomasse erbacee.

La necessità di complementare la norma risiede nel fatto che la definizione di "biomassa non legnosa" presente nella UNI-EN-ISO è troppo generica per poter essere applicata alla enorme biodiversità agricola del nostro paese. In altri termini, diventerebbe impossibile definire criteri di qualità uniformi per i pellet in questione. Basti pensare alla differenza tra sostanze come i vinaccioli disoleati, gli stocchi di mais, il nocciolino di oliva, la paglia di frumento, il canapulo e i gusci di mandorla, o noce. Tutte sono considerate "biomasse non legnose", ma le loro qualità (cenere, igroscopicità, potere calorifico inferiore) sono radicalmente diverse fra di loro.

La biomassa solida erbacea è una risorsa costituita prevalentemente da lignocellulosa, caratterizzata da proprietà fisiche, chimiche ed energetiche variabili in relazione alla tipologia di materia prima e alla sua origine e confrontabili con la biomassa di origine forestale. L'elevata eterogeneità delle diverse materie prime considerate rappresenta, comunque, un ostacolo per favorirne l'alimentazione degli impianti termici. La trasformazione in pellet o in brichette consente, oltre a standardizzare la materia prima, da un punto di vita geometrico-dimensionale e igroscopico, anche di modificarne alcune proprietà fisiche per favorirne l'uso energetico in impianti di combustione.
 

Una possibile fonte di reddito integrativo per agricoltori e Consorzi di bonifica

La biomassa erbacea disponibile nel nostro paese può provenire da due fonti:
  • dalle operazioni di manutenzione dei fossati e le sponde di fiumi e canali, così come del verde pubblico;
  • dai residui colturali cerealicoli: paglia, stocchi e tutoli.
     
Benché il valore di mercato dei pellet sia di per sé molto basso, la possibilità di valorizzare i grandi volumi a disposizione di tali scarti attira l'interesse di molti, in particolare del settore cerealicolo.
Secondo uno studio condotto nell'ambito del progetto di ricerca MixBioPells, finanziato dal programma Intelligent energy dell'Ue e nel quale ha partecipato il Cti-Comitato termotecnico italiano, la paglia di cereali è la biomassa più abbondante, con circa il 20% della produzione potenziale di pellet non legnosi, seguita dagli stocchi di mais (11%), vinacce (9%) e da una lunga lista di altre biomasse, quali canapulo, miscanto (diffuso in Germania e Austria), e perfino il separato solido del digestato, le quali contribuirebbero individualmente con circa 5% del potenziale.
Curiosamente, la canna comune (Arundo donax) non è menzionata nello studio in questione, benché sia abbondantissima nell'area del Mediterraneo e di gran lunga più sostenibile rispetto al miscanto.

Sono stati condotti diversi studi su macchinari per pellettizzare scarti erbacei direttamente in campo. Alcuni dei macchinari proposti sono autonomi, cioè azionati da motori elettrici, altri invece sono pensati per il collegamento alla presa di forza dei trattori.
Il processo di pellettizzazione è abbastanza semplice, come si desume dalla Figura 1.
Nel caso di alcune biomasse erbacee, quali paglia e stocchi di mais, è possibile addirittura omettere l'essiccazione. Il condizionamento consiste nell'aggiunta di leganti (ad esempio amido o melasso) e additivi come la calce, che ha la funzione di aumentare il punto di fusione delle ceneri e prevenire la corrosione nella caldaia.

Figura 1: processo generico di produzione di pellet
(Fonte: diapositive del corso Tecnologia della biomassa solida dello stesso autore)

Esistono diversi sistemi per formare i pellet a partire dalla biomassa finemente triturata, presentati schematicamente nella Figura 2, ma i più comuni sono i rulli con trafila piatta e con trafila ad anello.
 

Figura 2: tecnologie esistenti per la formazione del pellet
(Fonte: Best Practice Examples for the production and combustion of alternative and mixed biomass pellets)


I problemi tecnici della combustione di pellet da biomasse erbacee

La qualità dei biocombustibili costituiti da materia lignocellulosica è legata in parte alle caratteristiche chimico-fisiche delle biomasse grezze utilizzate, ed in parte anche alle condizioni della filiera di approvvigionamento.
Alcune biomasse erbacee presentano problematiche in fase di combustione principalmente legate alle basse temperature di fusione delle ceneri (scorie) e alle emissioni. Le scorie si depositano sui fasci tubieri delle caldaie, causando due problemi:
  • le loro proprietà isolanti peggiorano il trasferimento di calore dai fumi all'acqua, abbassando quindi il rendimento della caldaia;
  • in genere sono corrosive, per cui possono danneggiare i tubi.
     
La combustione delle biomasse comporta sempre emissioni di polveri sottili, ma nel caso di alcune biomasse erbacee, contenenti zolfo, cloro e azoto, alle emissioni di polveri si sommano le emissioni di gas potenzialmente corrosivi per le canne fumarie.
Tuttavia, i risultati derivanti dalla ricerca scientifica hanno messo in evidenza gli effetti positivi derivanti dall'integrazione di additivi inorganici, previsti già da altre normative internazionali.
Il potere calorifico dei pellet di materie erbacee è leggermente minore rispetto a quello dei pellet di legno, proprio perché il contenuto di cenere di quest'ultimo è più basso. L'aggiunta di additivi naturali ricchi di carbonio (melasso, amido, glicerolo residuo della produzione di biodiesel) può contribuire ad innalzare il potere calorifico dei pellet erbacei, ma ne aumenta sicuramente il costo di produzione.


Conclusioni

I pellet di biomasse erbacee sono potenzialmente più sostenibili di quelli a base legnosa perché permettono di utilizzare la biomassa di scarto, lasciando intatte le riserve forestali, in particolare quelle naturali minacciate più dalla corruzione politica che dalla domanda di pellet.
Nel caso di alcune biomasse, come ad esempio la paglia, l'energia necessaria per il processo di pelletizzazione è minore rispetto a quella richiesta per le biomasse legnose, perché in tale caso l'essiccazione può essere evitata e la triturazione assorbe meno potenza. La possibilità di pelletizzare gli scarti cerealicoli in piccoli impianti, azionati dal trattore o da motori elettrici, costituisce un'interessante possibilità di reddito integrativo per l'agricoltore.

Per concludere, se il mercato dei pellet legnosi è maturo e in crescita, altrettanto non si può dire di quello dei pellet erbacei. La qualità di questi ultimi è minore per via del maggiore contenuto di ceneri e del basso punto di fusione di queste ultime. Pertanto, ciò richiede degli adeguamenti normativi che consentano l'aggiunta di additivi minerali con lo scopo di garantirne la combustione senza causare problemi alle caldaie e minimizzando le emissioni potenzialmente nocive per l'ambiente.