La formazione di schiuma è un effetto molto indesiderato nel processo della fermentazione anaerobica perché può ostruire alcune parti dell'impianto di biogas (condotte, valvole, sfiati di sicurezza) e perfino tracimare fuori dal digestore.
In pratica, quando il biogas rimane intrappolato nella schiuma non può arrivare al cogeneratore e dunque causa la riduzione della potenza e conseguentemente della produttività dell'impianto.
Il problema della schiuma è noto ai gestori di impianti di biogas italiani, tuttavia non li preoccupa particolarmente e si limitano a monitorarlo giornalmente per poter ridurre o variare l'alimentazione quando il livello della schiuma diventa, a loro parere, troppo alto.

I ricercatori del Centro Helmholtz per l'Ambiente (Helmholtz Zentrum für Umweltsforschung, Ufz) sembrano avere un'opinione diversa riguardo la gestione e il superamento del problema. Infatti, dal 2012 hanno costituito la Biogas schaum plattform (Piattaforma per la schiuma del biogas), organizzando un seminario e pubblicando diversi papers sull'argomento.

I contenuti del seminario in questione riguardano l'influenza del pH, di antibiotici, detersivi e altri prodotti chimici eventualmente presenti nel digestore, del fattore FOS/TAC (immancabile!), la presenza di batteri filamentosi (ma solo negli impianti fognari), l'utilizzo di "prodotti speciali" (puntualmente proposti dagli sponsor) e perfino delle proposte di ricerca su argomenti di fondamentale importanza pratica per la gestione quotidiana degli impianti, quali la correlazione della formazione di schiuma con l'utilizzo di insilati Ogm della Monsanto (perché solo Monsanto e non le altre aziende sementiere?), la presenza di uranio e plutonio nelle biomasse e i modelli matematici sulla tensione superficiale e la coalescenza delle particelle dei fanghi, per citarne solo alcuni (si veda la lista completa, in tedesco, nel seguente link).

L'Ufz è un centro di ricerca con oltre mille dipendenti, con forma giuridica di Srl, il cui azionista di maggioranza (90%) è la Repubblica federale tedesca e i restanti azionisti sono enti regionali.
Con tali potenti mezzi l'impresa statale ha sviluppato il Leipziger Schaumtester, nome traducibile come "schiumometro di Lipsia" (Foto 1).
Lo stesso non è né più né meno di ciò che vedete nella foto: una bottiglia di vetro graduata, comunemente utilizzata nei laboratori, posta a bagnomaria e, per raccogliere eventuali eccessi di schiuma, tappata con un sacchetto di plastica (oppure anche con un coperchio munito di valvola di sovrappressione, o con un imbuto).

Lo strumento in questione serve a vedere se, aggiungendo un campione di biomassa a una quantità predefinita di digestato, si forma schiuma. L'operatore misura l'altezza della schiuma guardando la graduazione della bottiglia. A condizione, ovviamente, che rimanga lì a guardare, o che programmi un allarme che gli ricordi di andare a guardare periodicamente, perché lo "strumento" non ha alcun tipo di sensore, né timer, né automatismi.
L'accattivante design e l'alta tecnologia dell'oggetto gli hanno valso il premio IQ all'innovazione della città di Lipsia… premio del quale lo Stato tedesco è anche lo sponsor.

Come nella favola di Esopo, la montagna partorì un topolino. E, ciliegina sulla torta, se volete acquistare lo schiumometro originale made in Germany, preparatevi a sborsare 980 euro.
Con profondo rammarico costatiamo per l'ennesima volta che il paese paladino dell'austerity, quello che ha spinto la privatizzazione delle nostre aziende pubbliche e promosso il dimezzamento del budget per la ricerca, come attuato pedissequamente dal Governo Renzi (rapporto biennale della Anvur, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e di ricerca), sperpera soldi pubblici per la ricerca e lo sviluppo in un'azienda pubblica, in un'invenzione banale paragonabile alla tecnologia del biberon per neonati corredato di bagnomaria.

Foto 1: Lo schiumometro di Lipsia.
Foto tratta dagli atti del seminario sulle schiume negli impianti di biogas, pubblicati al seguente link
 
Come si forma la schiuma nei digestori
Si può definire la schiuma come un sistema bifase costituito da celle di gas separate da uno strato liquido, continuo e molto sottile, chiamato fase lamellare.
La fase lamellare è una soluzione acquea di un agente schiumogeno. Nel caso delle schiume degli impianti di biogas, l'agente schiumogeno può essere costituito da proteine, saponine, alcuni polisaccaridi (pectine, mucillagini prodotte da alcuni batteri in condizioni di stress, esopolimeri prodotti dai lieviti) e, in alcuni casi, tensioattivi (saponi e detersivi).

Osserviamo quotidianamente la capacità delle proteine di formare della schiuma nella preparazione del cappuccino, della meringa e del bollito di carne. Il meccanismo schiumogeno delle proteine è molto complesso per trattarlo in un articolo divulgativo, per cui rimandiamo i lettori interessati alla stampa scientifica specifica qui e anche qui.

Le saponine, invece, sono molecole anfifiliche (cioè parzialmente solubili in acqua e in olio), chiamate tecnicamente glicosidi terpenici. In poche parole esse sono formate per metà da uno zucchero (solubile in acqua) e per metà da un terpene (solubile in olio ma insolubile in acqua).
La natura anfifilica conferisce alle saponine la capacità di formare emulsioni in acqua. Le saponine si trovano in grande quantità nelle piante leguminose, mentre in minore misura, nelle biete e nei cereali, specialmente nell'avena e triticale.

Le saponine sono la causa della schiuma che si forma quando cuciniamo lenticchie o ceci. Le saponine si caratterizzano per una moderata tossicità per gli animali a sangue caldo (dipendendo dal tipo di saponina e dalla sua concentrazione) e per l'effetto antibiotico nei microorganismi, in particolare nei protozoi del rumine.
Ricordiamo che le saponine dell'erba medica contenuta nelle razioni per bovine inibiscono i protozoi nel rumine, consentendo la proliferazione di altri batteri produttori di acido propionico, il quale aumenta la produttività del latte (The impact of saponins or saponin-containing plant materials on ruminant productions-A Review, Elizabeth Wina, Stefan Muetzel and Klaus Becker, J. Agric. Food Chem. 2005, 53, 8093-8105).
Una razione troppo ricca di erba medica provoca però uno sbilanciamento della flora ruminale, eccesso di acidificazione, gonfiore e altri disturbi all'animale.

Analogamente, nel caso dei digestori anaerobici alimentati con sottoprodotti contenenti saponine, un meccanismo simile provoca un aumento del tenore di acido propionico, il quale rilascia CO2 (per semplice reazione chimica dell'acido con i carbonati e bicarbonati contenuti nel digestato) e di conseguenza un aumento delle schiume nella superficie del reattore (chiamato in gergo dagli operatori "effetto birra").
L'effetto birra è facilmente sperimentabile da chiunque: collocate in un vaso, o una bottiglia, mezzo litro di digestato prelevato dal digestore, aggiungete un cucchiaio da zuppa di aceto di vino. La schiuma si forma immediatamente e in questo caso il gas contenuto al suo interno è CO2, mentre gli agenti schiumogeni sono le proteine e gli esopolimeri propri dei microorganismi presenti nel digestato.

Altri vegetali ricchi di saponina sono la soia e l'arachide, ragione per la quale le morchie oleicole (contenenti i resti della spremitura di tali semi oleaginosi) possono produrre grandi quantità di schiuma (Foto 2).

Foto 2: Prova di digestione anaerobica di morchia oleicola nel laboratorio dell'autore.
La schiuma è tracimata dal reattore

I saponi e i detersivi, infine, sono rari negli impianti di biogas agricoli, mentre costituiscono una delle principali cause delle schiume negli impianti di digestione dei fanghi fognari.

Più noto ai gestori di impianti agricoli è il glicerolo, sottoprodotto della produzione del biodiesel, di cui ci siamo già occupati nell'articolo "La glicerina, un sottoprodotto energetico da consumare con cautela". La glicerina può contenere fino al 12% di sapone residuo.
Nei digestori alimentati con diete ricche di grassi animali si può formare frequentemente la schiuma, come abbiamo spiegato, a causa della loro saponificazione, anche parziale, in particolare quando l'alcalinità del digestato è alta.
Ricordiamo che i grassi animali sono trigliceridi, la loro degradazione parziale produce mono e digliceridi, ovvero sostanze con elevato potere emulsionante.
 
Conclusioni pratiche: come evitare la schiuma negli impianti di biogas
La costruzione di un semplice sistema di prova, puramente qualitativo, come lo schiumometro di Lipsia è certamente alla portata di tutti: se non avete vicino un negozio di materiale per laboratorio potete utilizzare un biberon in vetro da 330 ml, dotato di graduazioni esattamente come una bottiglia da laboratorio.

La modalità di esecuzione del test è descritta dettagliatamente nella pagina web dai suoi inventori.

Vale la pena di fare la prova? In generale, la sperimentazione può essere divertente e costituisce un'occasione d'apprendimento delle caratteristiche biologiche del proprio impianto, ma in questo caso possiamo tranquillamente farne a meno e risparmiarci del tempo.

Piuttosto è più conveniente osservare alcune semplici regole:
  • Assicurarsi che l'agitazione del digestore sia regolata adeguatamente. Meglio un'agitazione costante che intermittente.
  • Se possibile, portare la temperatura del digestore attorno ai 40°C. Una delle cause della formazione di schiuma è l'attività dei lieviti, particolarmente alta, nel di range 30-36°C, che però si riduce drasticamente a temperature elevate. L'aumento di temperatura comporta anche una diminuzione della viscosità del digestato, fattore che aiuta a ridurre ulteriormente la formazione di schiume.
  • Evitare l'alimentazione intermittente.
  • Verificare periodicamente la Sma (Specific methanogenic activity). Questo semplice test consente di capire se la velocità di conversione dell'acido acetico in metano è sufficientemente alta, in modo da evitare il c.d. "effetto birra" causato dall'eccessiva acidificazione del digestato. Il test Sma è particolarmente indicato in impianti che vengono alimentati con una dieta ricca di sostanze farinose o saccarine, la cui rapida fermentazione tende ad acidificare l'inoculo.
  • Essere preparati a gestire la formazione di schiuma, agendo sulla regolazione degli agitatori e/o della temperatura, nel caso di diete contenenti percentuali alte dei seguenti sottoprodotti:
    • Proteine e grassi animali (resti di macello).
    • Soia e arachidi (sfarinati, morchie oleicole).
    • Erba medica, fieno.
    • Trifoglio.
    • Luppino proteico.
    • Fave, fagioli.
    • Sulla.
    • Barbabietole, sottoprodotti di panificazione e in genere sostanze contenenti amido e zucchero.
    • Trebbie di birra, sottoprodotti di panificazione che possano contenere lievito vivo.
    • Glicerolo sottoprodotto dell'industria del biodiesel.
    • Sottoprodotti di avena e triticale.
    • Marco di mele e altri sottoprodotti di frutta contenenti pectine.
    • In alcuni casi: pollina e liquami suini (sbilanciamento del rapporto C/N, presenza di antibiotici e di prodotti per la pulizia).
  • E' buona prassi eseguire sempre un test batch nelle condizioni più simili possibili a quelle di operazione dell'impianto, ovverosia con un dispositivo di misura volumetrico (a pressione quasi atmosferica) dotato di agitazione meccanica e possibilmente anche di filtro per l'eliminazione della CO2. Tale test è più completo rispetto a quello realizzato con lo schiumometro perché quali-quantitativo: mostra inequivocabilmente l'eventuale formazione di schiuma e nel contempo misura numericamente la resa esatta di metano della miscela di alimentazione.