La teoria dei biocarburanti da alghe (microalghe per la precisione) risale alla crisi del petrolio degli anni '70. Da quel periodo fino ad oggi la principale preoccupazione del governo americano è sempre stata come alimentare la propria macchina bellica qualora si esaurissero i carburanti fossili.
Grazie ai think tank di allora vennero scoperti gli studi di uno scienziato di Berkeley, William Oswald, sull'utilizzo di microalghe per assorbire i nutrienti (principalmente azoto e fosforo) e per depurare le acque fognarie, producendo nel contempo biomassa per scopi industriali.

La credenza nel potenziale dei biocombustibili da alghe, che pian piano andò formandosi negli anni successivi fino ad oggi, risiede nelle estrapolazioni, talvolta truffaldine, della produttività di alcuni tipi di microalghe. Spesso, nei siti dei sostenitori di tali teorie, si trova il numero magico 100 ton/ha all'anno, il quale proprio perché è così rotondo e univoco dovrebbe essere messo in dubbio.
Quando si parla di rese biologiche, il modo corretto di esprimerle è indicando un intervallo di valori probabili.

Negli ultimi dieci anni le fantomatiche tecnologie di biocarburanti da alghe sono state oggetto di importanti speculazioni, al punto di far esplodere una vera e propria bolla di investimenti e controversie finite addirittura nei tribunali, come vedremo in seguito.
Purtroppo, la brutta notizia è che tali investimenti hanno condotto a risultati ridicoli malgrado siano stati abbondantemente foraggiati con soldi pubblici.

I biocarburanti da alghe sono solo un miraggio?
Durante un progetto di ricerca svoltosi al Centro di Biologia marina di Gran Canaria, l'autore ebbe modo di testare in prima persona il potenziale metanigeno di microalghe coltivate con acque fognarie.
I risultati sono stati presentati nel 2010 in un congresso in Svezia (Production of methane from microalgae biofilms growing in the wastewater treatment plants in the canary islands).

Vediamo brevemente quali sono i principali motivi per i quali è altamente improbabile sfruttare a scopi energetici il potenziale fotosintetico delle alghe:
  • In condizioni da laboratorio è vero che le alghe producono grandi quantità di biomassa per area occupata, ma i numeri presentati dalle aziende coinvolte, da alcuni cattedratici che hanno beneficiato dei contributi pubblici e dagli opinion leader tecnocrati, appaiono sempre decisamente gonfiati.
    In genere, tali calcoli si basano su estrapolazioni dei migliori casi rilevati sperimentalmente.
  • In laboratorio le colture sono axeniche (solo linee clonali pure di microalghe selezionate). Nelle coltivazioni di microalghe all'aperto, in acque fognarie o nella frazione liquida dei digestati, vive sempre un miscuglio di microrganismi che compete con le alghe per i nutrienti, ma produce poco o niente.
  • Chiunque sostenga che basta coltivare le alghe in fotobioreattori chiusi per aggirare il problema precedentemente esposto, è invitato a costruirne uno che abbia un costo ammortizzabile in tempi ragionevoli, a misurare quanto tempo ed energia sono necessari per pulirlo, e a determinare ogni quanto tempo sia necessaria tale pulizia.
    L'esperienza personale dell'autore è che tali sistemi richiedono un dispendio notevole di energia elettrica.
  • Chiunque invece sostenga che la soluzione stia nel coltivare le alghe in fotobioreattori chiusi tipo "usa e getta", come quelli presentati nella foto 1, è invitato a dimostrare la sostenibilità di tale approccio.
    Utilizzare petrolio per produrre plastica, con lo scopo di coltivare alghe per risparmiare petrolio, è un approccio che difficilmente supererebbe una verifica con la metodologia Lca (Life cycle assessment).
  • Nella migliore delle ipotesi, la densità di biomassa massima che si può ottenere con illuminazione diurna (nel clima delle Canarie!) difficilmente supera 10 g/l, tipicamente si attesta attorno ai 6 g/l.
    Se, nel migliore dei casi studiati in laboratorio, detta biomassa contenesse il 50% di olio (possibile ma irrealistico), per fare il pieno di una utilitaria Diesel (50 litri, ovvero 41,5 chilogrammi) bisognerebbe pompare e filtrare 8.300 litri di acqua, oltre a essiccare le alghe, estrarre l'olio e poi transesterificarlo.
    Il bilancio exergetico (considerando le equivalenze fra l'energia meccanica e l'energia termica utilizzate nell'intero processo, in base al Secondo principio della termodinamica) risulta dunque negativo.
  • Fra tutte le possibili conversioni della biomassa algale in biocarburanti, la più conveniente è la digestione anaerobica delle stesse.
    Però, ancora, non è stato dimostrato che la coltivazione di microalghe sui digestati, liquami e acque fognarie sia energeticamente più efficace della coltivazione di macrofite galleggianti, quali lenticchia d'acqua nelle nostre latitudini o giacinto d'acqua nelle fasce tropicali.

Video 1: fotobioreattore "usa e getta" esposto a Lindau (Germania) in occasione del raduno annuale dei Premi Nobel di Chimica del 2009.
(Video dell'autore)

Lo sperpero della Ue
I decision makers di Bruxelles hanno da sempre creduto nel miraggio dei biocarburanti da alghe, poiché da soli dovrebbero garantire l'indipendenza energetica dell'Unione e rivoluzionare il concetto stesso di agricoltura.
Va detto che una parte consistente della comunità scientifica non ritiene affatto fattibile, o quantomeno conveniente, la produzione di biocarburanti da questo tipo di biomassa, fatto già denunciato dall'autore in un'altra sede (articolo uno; articolo due e articolo tre).

Da questa tabella possiamo osservare come negli ultimi dieci anni l'Ue abbia sperperato i nostri soldi in progetti dal discutibile fondamento scientifico.

Uno dei partner del progetto Bisigodos, la ditta Bio fuel systems (Bfs), non ha mai completato gli impianti in Spagna e Portogallo. I soci maggioritari, Bernard A. J. Stroiazzo Mougin e sua moglie Belinda Anne Halsall, hanno cause in sospeso per truffa ai danni dello Stato in Portogallo, e per truffa ed evasione fiscale in Spagna.

Fra i principali truffati (14.000.000 euro secondo le suddette fonti) il gruppo italiano Enalg Spa, il cui fondatore è stato l'ormai deceduto On. Willer Bordon, ex ministro italiano per l'Ambiente e per i Lavori pubblici. Il sito della Enalg Spa è ancora attivo e si presenta come il concessionario esclusivo in Italia della fallita Bfs, ma sembra non essere stato aggiornato dal 2010.

La maggior parte dei beneficiari dei progetti sui biocarburanti di alghe sono ditte ed università tedesche, inglesi, olandesi e spagnole, con partecipazioni minoritarie italiane, portoghesi e slovene. Benché molti dei progetti non siano ancora conclusi, i risultati sono ancora molte vaghe promesse e pochi fatti.

Ad esempio, il risultato del progetto All-Gas sembra quello di fare funzionare quattro veicoli della VW con del biometano. Viene spontaneo domandarsi come mai la VW abbia bisogno di contributi pubblici per testare se il biometano da alghe vada bene per i suoi veicoli, quando milioni di auto nel mondo ormai funzionano con gas naturale.
Tecnicamente non c'è differenza, tranne un potere calorifico del biometano leggermente più basso rispetto al gas naturale.

La tecnologia "sviluppata" nel progetto in questione ci risulta che esista dai tempi di William Oswald: sono i cosiddetti "race ponds", delle vasche particolari a circolazione, che ricordano il Circo Massimo per la loro forma.
Dopo aver speso quasi 12 milioni di euro è emerso che, trattando le acque fognarie con una superficie di race ponds pari ad un ettaro, sarebbe possibile produrre biodiesel per alimentare dieci autovetture e biometano per alimentarne altre dieci. Con quale costo? Non è ancora chiaro.

Proponiamo ai lettori il seguente ragionamento critico: supponiamo che sia possibile estrarre tali quantità di combustibile a costi competitivi; se consideriamo che il parco automobilistico spagnolo è composto da circa 10 milioni di auto a benzina e 12,5 milioni di auto Diesel (fonte), quindi sarebbe necessario costruire dei race ponds e poi riempirli con acque fognarie per una superficie complessiva di oltre 20 milioni di ettari, ma la superficie agricola utile totale della Spagna è pari a 24.892.580 ettari (fonte).
Pertanto l'attuale superficie agricola dovrebbe essere quasi totalmente sostituita con strutture impattanti, senza dimenticare che inoltre la stessa andrebbe riempita con acque fognarie ogni giorno. E' dunque questa la rivoluzione agricola che si aspettavano i funzionari di Bruxelles che hanno erogato il finanziamento al consorzio guidato dagli spagnoli?

Esiste un blog che denuncia una presunta truffa in Olanda nel 2008, perpetrata da una delle aziende più cospicue nel settore del biodiesel da alghe, AlgaeLink NV, accomunandola alla già menzionata Bfs.
Secondo il blog, gli attuali titolari della Algaelink avrebbero fatto fallire in modo truffaldino un'azienda chiamata Bioking, che aveva incassato degli acconti per la costruzione di impianti di produzione di biodiesel da alghe, ma non era mai stata in grado di produrre secondo specifiche.

Il tono del blog è decisamente diffamatorio e cospirazionista, non è firmato con nome e cognome, i commenti sono firmati con pseudonimi, e i link che contiene puntano a pagine non più esistenti, quindi non è possibile verificare le fonti di tali denunce. La prudenza è dunque d'obbligo prima di esprimere un giudizio, ma per dovere d'informazione dobbiamo riportare tutti gli indizi.

Conclusioni
L'interesse nei biocarburanti da microalghe ebbe un picco massimo nel 2007-2008, alle soglie della crisi mondiale, ed è andato scemando negli anni successivi, come dimostrano le statistiche di Google trends

Figura 2: Statistiche delle parole chiavi "algae biofuels" e "algae energy" nel motore di ricerca Google

Nel 2016, dopo dieci anni di ricerche, sono stati organizzati tre congressi europei sul tema della "tecnologia delle alghe".
Possiamo affermare che ancora non sia stato raggiunto un traguardo significativo, perché i problemi tecnologici che rimangono ancora come "da risolvere o migliorare" sono esattamente gli stessi che si dibattevano già nel 2006 e che abbiamo elencato all'inizio di questo articolo.

L'interesse però sembra che si stia spostando verso le bioplastiche, gli integratori alimentari e altri prodotti industriali. Gli eventi si sono tenuti ad aprile, ancora una volta a spese dei contribuenti europei, a Olhão; pochi giorni dopo, a Nizza, ma con fondi privati, per concludere a dicembre, a Madrid.

Il risultato del primo convegno dovrebbe essere stato, nel più puro stile euroburocratese, il "Libro bianco dello stato dell'arte della produzione di alghe in Europa". Dai primi di aprile ad oggi (fine novembre) tale documento non sembra sia stato ancora pubblicato.

In Italia, il 20 ottobre scorso, è stato avviato il progetto Il polo delle microalghe: Le microalghe per il trattamento e la valorizzazione di reflui e sottoprodotti agrozootecnici e caseari. Il progetto, finanziato da Fondazione Cariplo (Bando Emblematico) e Regione Lombardia e cofinanziato dai partner: l'Istituto sperimentale italiano "Lazzaro Spallanzani" (capofila), il Politecnico di Milano, Polo territoriale di Cremona, l'Università degli studi di Milano Bicocca Disat, il Centro di ricerca per le produzioni foraggere e lattiero casearie, la provincia di Cremona e l'Ente regionale per i Servizi all'agricoltura e alle foreste, durerà tre anni.

Le linee di ricerca e sviluppo del progetto sono due: l'impiego delle microalghe per la mitigazione dell'impatto ambientale dei reflui zootecnici e del digestato, con produzione di biomassa per i settori agricolo, mangimistico ed energetico; e la produzione di molecole bioattive di pregio (da impiegare nel settore cosmetico o farmaceutico) estratte da microalghe coltivate nei sottoprodotti lattiero-caseari.

Quindi, ancora non è detta l'ultima parola. Forse fra tre anni la coltivazione di microalghe nei reflui delle attività agrozootecniche tradizionali potrebbe diventare una realtà grazie ad una ricerca 100% italiana.