Il settore dei pellet, come tutte le attività economiche in forte crescita, attira purtroppo delinquenti di ogni tipo: dalle ecomafie organizzate su scala globale ai semplici truffatori di provincia. Scegliere i pellet di miglior qualità vuol dire valutare non solo l’esigenza esplicita di un’ottima combustione, ma anche gli aspetti ambientali e sociali associati ad un determinato marchio, perché anche le basse emissioni di gas climalteranti, la garanzia di origine legale e la gestione sostenibile della filiera sono componenti della "qualità" del prodotto.

In questa seconda parte, l’autore mira a fare chiarezza su una mole di informazioni che affollano internet e le reti sociali, le quali spesso si rivelano fuorvianti e contraddittorie. Infine presenteremo alcuni spunti per il consumatore responsabile ed alcuni suggerimenti per combattere tutti insieme, consumatori e operatori onesti, il commercio illegale di legname e di pellet.

Il legame inseparabile fra luogo d’origine e sostenibilità dei pellet
L’origine dei pellet, pur non avendo alcuna influenza sul loro potere calorifico o sulle loro emissioni di fumo al camino, è un indicatore importantissimo dell’impatto ambientale del prodotto, non solo in termini di ambiente locale (dove tale prodotto viene bruciato), ma anche in termini di impatto globale sul pianeta (la cosiddetta impronta di carbonio di ogni prodotto).

Secondo la norma UNI TS 11435:2012 (si veda l’articolo dello stesso autore), le emissioni di gas serra imputabili al trasporto dei pellet variano in funzione della distanza, partendo da un minimo di 1,01 g eq. CO2/MJ nel caso di una filiera corta (0-70 km).
Calcolando secondo la stessa norma le emissioni imputabili al trasporto dei pellet su distanze maggiori di 200 km, per esempio da Liezen, nell’Austria centrale, fino a Potenza (1.240 km), otteniamo un valore sette volte più alto: 7,56  g eq. CO2/MJ. Se i pellet venissero invece dalla foresta di Retezat, Romania (1.995 km), le emissioni imputabili al trasporto raggiungerebbero 12,57 g eq. CO2/MJ. A tali emissioni dovremmo aggiungere quelle imputabili alla produzione del pellet stesso, le quali possiamo stimare in 5,41 g eq. CO2/MJ, come minimo. Pertanto si va da un minimo di 6,42 g eq. CO2/MJ, nel caso di un pellet nazionale in filiera corta, fino a 17,98 g eq. CO2/MJ, nel caso del pellet romeno.

Certamente per un consumatore di Potenza, sensibile alle questioni ambientali, l’indicazione di origine costituirebbe un fattore determinante per la scelta fra i prodotti. Reciprocamente, per un consumatore di Udine o di Trento, risulterebbe senza dubbio più sostenibile il pellet di abete prodotto in Austria rispetto a quello di eucalipto prodotto in Sicilia.
A questo punto riteniamo che l’esigenza del consumatore di conoscere l’origine del prodotto, quando non è riportata nella confezione, non costituisca discriminazione nei confronti dei produttori, ma rappresenti piuttosto la conseguenza di una scelta di consumo responsabile e l’esercizio di un diritto.

Esistono Paesi produttori virtuosi, altri un po' meno e il consumatore responsabile non può ignorare certi fatti, che passeremo brevemente in rivista.
Il 22 ottobre 2015 The Guardian ha pubblicato un articolo denunciando l’inefficacia del Regolamento europeo del legno e le lacune nella gestione dei fondi stanziati per la lotta al commercio di legname illegale.
Il 18 febbraio 2016 l'Ue ha pubblicato un rapporto nel quale vengono analizzati i risultati ottenuti dall’entrata in vigore del Regolamento in questione. Dal rapporto emerge che Grecia, Ungheria, Romania e Spagna stanno ancora elaborando disposizioni adeguate in materia di sanzioni, l’ultimo Paese non ha nemmeno designato l’autorità competente per l’applicazione del Regolamento.
In linee generali, l’attuazione del Regolamento è considerata appena soddisfacente dalla commissione di esperti che ha fatto le indagini, e sono in corso dei lavori per rivedere alcuni punti della norma in questione e del suo meccanismo di applicazione.

Dobbiamo dunque diffidare del pellet proveniente dai Paesi "ritardatari"? In tali delicati casi la prudenza non è mai troppa.
Analizziamo per esempio il caso delle presunte ecomafie austriache del legname in Romania. Secondo il giornale tedesco Der Spiegel in un articolo di maggio del 2015, la deforestazione illegale del Parco nazionale di Retezat (Romania) sarebbe imputabile alle ditte austriache Egger, Kronospan e Schweighofer.
Una traduzione in inglese è disponibile nell’edizione internazionale della stessa testata.

Der Spiegel, basandosi su un'indagine condotta da una Ong, segnala la ditta Schweighofer come il principale generatore di corruzione. Le affermazioni si basano, in larga misura, su un video, pubblicato su Youtube dall’associazione ambientalista Eia (Environmental investigation agency) nel quale l’attivista Alexander von Bismarck, fingendosi un compratore di legname, chiede ai manager della Schweighofer di abbattere in quattro anni delle quantità corrispondenti alle quote legali di sette anni, ricevendo un "no problem" come risposta.

Nel sito dell’Eia è pubblicato un rapporto sulle loro indagini in Romania, scaricabile in questo link. A pagina 27 c’è un elenco dei principali clienti della Schweighofer, principale ditta incriminata nel rapporto in questione: i primi quattro clienti sono grosse ditte austriache, pure loro operanti in Romania, e al quinto posto compare l’Enel energie SA (filiale romena dell’Enel) con 9,9 milioni di euro.
Al quattordicesimo posto troviamo la catena austriaca di supermercati Spar, con 3,3 milioni di euro di acquisti. Al ventunesimo posto, con 2,4 milioni di euro di pellet sospetti acquistati in Romania, troviamo la Holzexport Schuster, quella che ci ha inviato il comunicato stampa pubblicato nella prima parte del presente articolo. Il rapporto non spiega però come siano stati ottenuti tali numeri, per cui la veridicità di tali affermazioni è dubbiosa.
        
Der Spiegel è senza dubbio una testata autorevole, ma ci sembra giornalisticamente poco corretta la pubblicazione di accuse così pesanti contro ditte importanti, solo in base alle dichiarazioni di una quasi sconosciuta Ong e senza interpellare gli accusati. Indagando ulteriormente sulla faccenda, troviamo un’altra prestigiosa testata, la Bbc news, che in un lungo articolo riporta le dichiarazioni dell’attivista romeno Gabriel Paun, dell’associazione Agent green.
Paun denuncia una serie di politici suoi connazionali, i quali sarebbero ora indagati per corruzione e commistioni con la ditta Schweighofer. L’articolo include anche il link a questo video postato su Youtube, nel quale gli agenti di sicurezza della segheria Schweighofer aggrediscono con spray irritante l’attivista che stava filmando l’ingresso del camion con legname presumibilmente illegale.

La ditta Schweighofer ha pubblicato in data 17 febbraio 2016, un "controrapporto" a propria difesa. Secondo Gerald Schweighofer, la Eia avrebbe condotto una campagna puramente diffamatoria, "Forse perché un imprenditore industriale leader è facilmente percepito dalle Ong come nemico naturale" (sic). Il documento spiega il sistema di tracciabilità di tutta la filiera, il più moderno e unico in Romania, il rintracciamento basato sul gps dei camion, sulle fotografie e dei codici apposti su ogni singolo tronco, che vengono conservati in un database per i successivi cinque anni. Nessun commento però sull’aggressione subita da Gabriel Paun ad opera del personale di sicurezza della segheria.

Nella stessa pagina, un altro comunicato stampa riporta che il Tribunale commerciale di Vienna avrebbe emesso un'ingiunzione (injunction, sic.) contro l’associazione ecologista rumena Neuer weg per diffamazione nei confronti della Schweighofer.
Ricordiamo però quali sono le caratteristiche di un processo di ingiunzione. Schematicamente esso può descriversi in questi termini: un procedimento strutturato in due fasi, la prima delle quali si svolge inaudita altera parte e mette capo ad un decreto ingiuntivo motivato da condanna; la seconda, eventuale, di opposizione, in cui s’instaura un contraddittorio pieno, ma si cerca comunque di assicurare il titolo esecutivo alla parte che lo ha richiesto.
Stando a questa procedura, l’emissione di un’ingiunzione nei confronti di Neuer weg non prova necessariamente che Schweighofer abbia ragione, in quanto manca il contraddittorio, quindi la faccenda non è ancora finita.

Sempre nella stessa pagina, in data 1 gennaio il produttore austriaco annuncia il conseguimento del certificato Fsc (Forest stewardship council), che garantisce la provenienza da boschi gestiti in modo sostenibile, del legno utilizzato per la produzione dei suoi pellet. Orbene, il Wwf (World wildlife fund) austriaco, Ong sicuramente più autorevole della Eia, ma non necessariamente immune alle parzialità ideologiche, ha chiesto la revoca del certificato di sostenibilità emesso dall’Fsc, di cui godeva la ditta Schweighofer per le sue produzioni in Romania e in altri Paesi dell’Est. La notizia è pubblicata il 15 marzo 2016 nel sito della borsa di commercio di legname Fordaq.

Dunque, possiamo affermare che i legnami certificati Fsc non sono attendibili? La neutralità ed indipendenza dell’Fsc sono messe in discussione da attivisti come Chris Lang e da giornalisti come Marc Gunther i quali segnalano il conflitto d’interesse intrinseco nel fatto che un ente certificatore (ce ne sarebbero oltre 300, oltre ai più famosi Fsc ed Sfi) è pagato dalle aziende per certificare le loro filiere del legno, di conseguenza è allo stesso tempo giudice e parte interessata.

L’associazione ambientalista Greenpeace, pur riconoscendone i meriti, segnala alcuni punti deboli del sistema di certificazione Fsc e casi sospetti di corruzione.
Non abbiamo però trovato notizie di sentenze emesse da tribunali nazionali nei confronti dell’Fsc o dei suoi funzionari, né giudizi di merito di organismi internazionali, come potrebebro essere la Fao o la Interpol sul suo operato, quindi ci troviamo ancora una volta di fronte ad opinioni, espresse da singoli individui o associazioni, non supportate da prove concrete.

Tralasciando le dichiarazioni di parte, sospette di falso ideologico, non possiamo ignorare le informazioni che ci forniscono le istituzioni internazionali. La Fao ha pubblicato un rapporto, The forest sector in Bosnia and Herzegovina, secondo il quale esistono denunce del Wwf contro questo Paese per l’intenso disboscamento illegale, mentre il Governo locale minimizza le cifre.
I principali compratori di legnami bosniaci sono: l’Italia, la Slovenia, la Croazia, l’Austria e la Germania.
Mancando sentenze di tribunali che diano ragione a una parte o all’altra, tutti gli imputati sono innocenti, quindi sta al lettore decidere se accettare o meno il pellet prodotto nei Paesi dell’Est, nella Grecia e nella Spagna.

Truffe varie e delinquenza comune attorno al mercato dei pellet
L’autore ha condotto una breve indagine su alcuni fatti di cronaca, dai quali imparare come difendersi dai truffatori.
  • Pellet sequestrato a Bari per dichiarazioni mendaci sull’origine (nave proveniente dalla Grecia con pellet romeno marchiato come austriaco). Se non c’è obbligo di indicare la provenienza, perché allora inserire l’Austria come indicazione di origine, essendo stata la merce prodotta in Romania? Aldilà dell’effettiva qualità del pellet sequestrato in quanto combustibile, sulla quale l’articolo non si esprime, le forze dell’ordine hanno punito una truffa basata su dichiarazioni mendaci.
  • Pellet radioattivo. Si tratta di una notizia vecchia, ma è bene stare in allerta.
  • Pellet contraffatto e privo di certificazioni. Sarebbe stato prodotto con scarti di legno trattati con colle, che sprigionano fumi tossici.
  • Pellet contaminato con metalli pesanti, sarebbe stato prodotto con rifiuti non ben precisati misti a segatura.
  • Truffatore preso, aveva incassato 1 milione di euro come acconto per forniture mai realizzate.
  • Pellet dai Paesi dell’Est con marchio di qualità contraffatto, sequestrati a Perugia.
Consigli per l’autotutela
  • Dalla mole di informazioni analizzate, spesso contraddittorie e in qualche caso sospette di falso ideologico, trarremo alcune conclusioni pratiche che potranno servire i nostri lettori per l’acquisto sicuro dei pellet. Preferire prodotti certificati.
    Come spiegato nella prima puntata, la certificazione non è di per sé una garanzia assoluta di sostenibilità, ma almeno evita il rischio di cadere in truffe come quelle riportate poc’anzi. Consigliamo di scaricare l’opuscolo della Aiel "Come riconoscere il pellet certificato". È possibile verificare se un fabbricante è certificato, semplicemente guardando se il marchio è presente in questo elenco.
    Non solo, è anche possibile verificare se qualche fabbricante ha subìto la sospensione della certificazione per qualsiasi motivo, consultando questa lista. La pagina contiene la lista dei grossisti e distributori certificati.
    Infine la blacklist riporta tutte le ditte che hanno pubblicizzato ingannevolmente o commercializzato pellet con certificati contraffatti.
  • La certificazione prevede tre categorie di pellet: A1 (la migliore tecnicamente possibile), A2 (ottima, ma con un contenuto di ceneri leggermente superiore), B (buona, ma con il massimo contenuto di ceneri ammissibile).
    Tutte e tre le categorie di pellet certificati sono prodotti con legno vergine e sono sicuri da utilizzare in stufe e caldaie. Sta a noi decidere quale qualità acquistare, anche in funzione del prezzo.
  • Verificare che il certificato sia autentico (foto 1 e 2). Lo stesso deve essere corredato di un numero che identifica il produttore o il distributore. Il numero deve coincidere con quello riportato sotto il nome dell’azienda nella lista corrispondente dell’EN Plus.
    La sintassi del codice è la seguente: ID-Nr., da 000 a 299 per i produttori e da 300 a 999 per i distributori. Per esempio, un produttore italiano avrà un codice di certificazione del tipo ID-Nr.IT099, mentre un distributore tedesco avrà un codice tipo ID-Nr.DE399. La non corrispondenza del codice con il nome, o la mancanza del codice stesso, sono evidenze di certificazione contraffatta e pertanto andrebbero segnalate alla Guardia di finanza e all’EN Plus, direttamente online.
  • Evitare gli acquisti in aste internet e preferire i commercianti locali. Se è la prima volta che compriamo da un commerciante, una visita al magazzino è molto consigliabile, per accertare che effettivamente si tratti di una ditta attiva e che abbia stock sufficiente.
  • Indipendentemente che il pellet sia certificato o meno, comunitario o extracomunitario, il Regolamento europeo sul legno del 2013 vieta il commercio di legname o di derivati frutto da ceduazione illegale, ed impone l’obbligo della tracciabilità.
    Se da un lato il fabbricante o il distributore non ha l’obbligo di indicare l’origine nella confezione, è nostro diritto esigere la prova dell’origine della merce, o privilegiare i produttori che optano per la marchiatura con indicazione d’origine volontaria.
    Inoltre, il nostro dovere di consumatori responsabili è privilegiare, per quanto possibile, gli acquisti di prodotti "a filiera corta" (quindi con ridotte emissioni di CO2 associate), o l’acquisto di pellet prodotto da scarti e da sottoprodotti del legno vergine, o da materiali erbacei (miscanto, canne, paglia…) piuttosto che da alberi abbattuti appositamente.
 
Foto 1: esempio di marchiatura contraffatta, priva di numeri identificativi del produttore
(Fonte foto: © Fratelli Parlanti)
 
Foto 2: esempio di marchiatura autentica
(Fonte foto: © Fratelli Parlanti)