Se siete arrivati qua in cerca di informazioni sui requisiti legali per coltivare Cannabis sativa in Italia, non continuate a leggere: troverete tali informazioni nei siti delle associazioni di categoria, ad esempio AssoCanapa e Canapa industriale.
Se vi aspettavate una presa di posizione dell’autore sull’opportunità di legalizzare o meno il consumo di marijuana, questo non è l’articolo per voi.

Qui i lettori di AgroNotizie troveranno invece alcuni spunti, selezionati dalla letteratura scientifica, o quanto meno da fonti attendibili, sulle reali potenzialità di questa controversa specie.
Infine analizzeremo alcune delle contraddizioni che emergono dalla ricerca superficiale in internet con la parola chiave Cannabis, sperando di essere utili a fare chiarezza sul dilemma posto.

Alcuni dati obiettivi
La maggior parte delle pubblicazioni concorda che la coltivazione della canapa ha innegabili vantaggi ambientali: è poco esigente in materia di terreno, tollera un po' di salinità nell’acqua, non richiede diserbo (perché cresce più velocemente delle erbacce, impedendone lo sviluppo) e, infine, le sue profonde radici "lavorano" il terreno, favorendo la sua capacità di ritenzione idrica e la sua testura.
Poiché la canapa produce allo stesso tempo fibra e semi oleaginosi, sembra escluso il famoso dilemma "food vs. energy", tanto controverso fra le associazioni ecologiste ed i gruppi politici "conservatori".
        
È innegabile l'alta qualità dei prodotti ricavabili dall’industrializzazione dalla canapa: la sua biomassa ad esempio contiene la più elevata percentuale di cellulosa fra tutte le piante da fibra (figura 1), mentre i suoi semi hanno interessanti proprietà nutrizionali. Il 30% del peso dei semi è costituito da olio, contenente oltre l’80% di acidi linoleico, alias Omega 6, α-linolenico, alias Omega 3, γ-linolenico e stearidonico, questi due ultimi ritenuti essenziali per il metabolismo cellulare (figura 2).
Si tratta dunque di un olio simile a quello di lino, dal sapore gradevole e decisamente più salutare degli oli di mais e d’oliva. I semi di canapa, oltre all’olio, contengono il 25% di proteine e i nove aminoacidi essenziali, necessari per l’uomo.

Per tale ragione il Canada, Paese dove la coltivazione di Cannabis è da sempre legale, si è consolidato come il principale fornitore di ogni sorta di prodotti alimentari derivati da questa, nel crescente mercato vegano statunitense (dove fino a poco fa la sua coltivazione era vietata). Le proteine dei semi di canapa, a differenza di quelle di soia, sono 100% digeribili.
Inoltre, i semi di canapa contengono fibre, polifenoli e clorofilla. Contrariamente alla credenza popolare, essi sono privi di tetraidrocannabinolo (Thc), ovvero il principio stupefacente della marijuana (o marihuana, entrambe le forme sono corrette).
 
Figura 1: Contenuto di cellulosa, emicellulosa e lignina delle diverse colture da fibra.
Dati tratti da Does the use of Cannabis species for the production of biodiesel and ethanol result in higher yields of ethanol than competing cellulotic crops, including Zea mays? Kimball Christensen and Andrew Smith, University of Washington, Department of Biology, 2008.
Elaborazione grafica di Mario A. Rosato.

 
Figura 2: Comparazione del profilo degli acidi grassi di diverse oleaginose.
Fonte: Health boom boosts hemp, Melody M. Bomgardner, nella rivista C&EN della American chemical society, nov. 2015.
Traduzione in italiano di Mario A. Rosato

Storia,  curiosità, ridicolezze e molti dati contraddittori
Negli Stati Uniti la coltivazione di Cannabis sativa era regolamentata fin dal 1937, penalizzando i coltivatori di "marijuana" con una tassazione ad hoc, per tutelare, in teoria, i coltivatori di "canapa industriale".
Stando a wikipedia, nel 1941 Henry Ford avrebbe presentato un prototipo di autovettura, chiamata Hemp body car, con la carrozzeria interamente costruita in un non ben precisato composito di fibre di canapa e biopolimero a base di soia, con un motore capace di funzionare a bioetanolo (altre fonti dicono con biodiesel) ricavato dalla stessa pianta.

La coltivazione di canapa venne incentivata durante la II Guerra Mondiale, mediante una legge chiamata Hemp for victory (Canapa per la vittoria), perché la Marina statunitense aveva bisogno di canapa per le corde e altri prodotti tessili. Nel 1955 la coltivazione di canapa fu di nuovo regolamentata e dal 1970 assolutamente vietata, fino all'Industrial hemp farming act del 2013.
Nel 2014 il Kentucky incentiva la coltivazione di canapa, a condizione che questa avvenga in sostituzione del tabacco e solo per uso industriale, quindi vieta la "marijuana terapeutica".

Nel contempo nasce un’organizzazione con un nome che è tutto un programma: Patriot bioenergy corporation. A questo punto sorge spontaneo domandarsi: è davvero fattibile la creazione di un'economia bioenergetica a scala nazionale, basata sulla coltivazione della canapa? Leggendo il Libro bianco della suddetta corporazione, risulta difficile capire se si tratti di un gruppo di "industriali-patrioti" nel più puro stile Rambo, o semplicemente di un "magna-magna" all’italiana, mirante semplicemente a prendere contributi pubblici, o ad illudere coltivatori ingenui per sfruttarli con il miraggio di produzioni impossibili.
Ovunque, nel suddetto documento, si menziona "l’elevata resa di biomassa" della canapa. In onore alla verità, anche in molti blog e pagine "attiviste", che evidentemente fanno largo uso del copia-incolla acriticamente, o che falsano le informazioni a favore di qualche interesse lobbistico, si parla sempre di "alte rese di biomassa".

In genere tali blog e associazioni non forniscono numeri, o addirittura indicano valori palesemente sbagliati. Prendiamo come esempio un passaggio del paper citato nella figura 1, sbandierato dall’organizzazione Vote hemp come "prova scientifica", ma in realtà scritto da due studenti. Secondo tale documento la resa di etanolo è di 340 kg/"hectacre". Un’unità di misura simile non si è mai vista in una pubblicazione scientifica, in quanto non è né metrica e né imperiale. Tradotta in unità metriche coerenti, corrisponderebbe ad un valore assurdo: 8,5 kg/ha.
Ammesso, e non concesso, che si tratti di un errore di battitura e si debbano intendere ettari anziché "ettacri", 340 kg/ha rappresentano comunque una resa ridicola. Se invece si trattasse di un risultato espresso in una unità ibrida, 340 kg/acre, ciò vuol dire 850 kg/ha, comunque molto poco comparati con i 4.400–7.000 l di etanolo/ha che potrebbe rendere il sorgo zuccherino.
        
Un altro sito in tema "stelle e strisce" è quello del True democracy party, dove si presenta la canapa come la soluzione per porre fine alla dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio arabo.
Fra tante inesattezze il sito riporta l’affermazione categorica, non supportata da alcun valore numerico: "Hemp Produces the Most Biomass of Any Plant on Earth" (che si può tradurre approssimativamente con: "La canapa produce la maggior biomassa di ogni pianta terrestre". La frase sgrammaticata e le maiuscole a sproposito sono riportate letteralmente dal sito in questione, come ulteriore indizio del livello culturale del blogger che l’ha scritto).
Finalmente, nel clima elettorale odierno degli Stati Uniti, non poteva mancare il sito Vote hemp, il quale contiene un'interessante sezione sui miti e realtà della canapa, basata su uno studio del Ph.D. David P. West, ricercatore appartenente però al North American industrial hemp council, quindi palesemente di parte.

La Virginia industrial hemp coalition basa in parte la sua strategia di lobby facendo leva sui benefici ambientali della canapa. Al di là dei valori, difficilmente verificabili, pubblicati nel loro rapporto, emergono le molteplici applicazioni industriali di questa pianta: la fabbricazione di mattoni e cemento isolanti, la sostituzione della fibra di vetro nei plastici rinforzati, la produzione di biocarbone (come ammendante del terreno e fissatore della CO2 atmosferica), la produzione di carta ecologica, la fitodepurazione, i biocarburanti da canapa e termina con un commento, attribuito ad un ex direttore della Cia, secondo il quale "coltivare canapa è fondamentale per la sicurezza nazionale, come riserva energetica in caso di blackout generalizzati e per non dipendere dalle importazioni di petrolio".

Chiudiamo questa sezione con una pittoresca immagine, tratta dal non meno pittoresco sito "pro spinelli" Make marijuana legal.
 
Figura 3
(immagine tratta dal sito Uses for hemp)

Cosa dice il mondo della ricerca
Se consideriamo studi più autorevoli, o quanto meno privi di "ideologia", la canapa non sembra essere così conveniente come coltura bioenergetica; piuttosto sembra una coltivazione da destinare a zone con suoli scadenti, o ad alte quote, o comunque ai luoghi dove la resa delle altre colture sarebbe troppo bassa.
Ecco dunque alcuni risultati tratti dalle pubblicazioni scientifiche elencate alla fine di questo articolo, corredati dei nostri commenti:
  • La produttività di biomassa della canapa, coltivata in clima mediterraneo, secondo uno studio italiano, si aggira attorno alle 13 ton annue di  sostanza secca per ettaro (ton SS/ha). Comparata con il sorgo e il kenaf, coltivati nelle stesse condizioni, in termini di guadagni energetici la canapa risulta tra il 30% e il 50% meno efficiente del primo.
  • Secondo uno studio svedese la produttività della canapa va dalle 14,5 ton SS/ha nel Sud della Svezia alle 10 ton SS/ha,nell’estremo coltivabile a Nord (produzione scarsa per i nostri standard, ma di tutto rispetto per i 63º di latitudine). Stando dunque a questo studio, comparato con il precedente, sembra che la canapa produca leggermente di più in climi temperato-freddi-umidi che nei climi mediterranei.
    Come dato di confronto, i ricercatori svedesi indicano che nel loro Paese la resa del mais non supera le 12 ton SS/ha e ciò solo nella Regione Skåne, la più meridionale della Svezia. Lo studio ipotizza una filiera basata sull’utilizzo della canapa per biogas.
    Il Bmp (potenziale metanigeno) dell’insilato di canapa, misurato in laboratorio, risulta pari a 234 ­± 35 Nm3/t SV. Il metodo di misura e le apparecchiature descritti nel paper in questione, sono molto rozzi e non considerano l’errore introdotto dalla normalizzazione a forfait dei volumi di gas (margine d’errore che talvolta può superare il 12%). I valori riportati dai ricercatori svedesi sono ad ogni modo abbastanza coerenti con ciò che ci si può ragionevolmente aspettare da una biomassa contenente il 60% di cellulosa.
  • Lo studio sulla coltivazione di canapa nel Bagés (Catalonia, Spagna), condotto dall’Università politecnica di Barcellona, riporta rese di biomassa in linea con quelle previamente esposte nei due studi precedenti. Tuttavia l’attenzione della ricerca si focalizza sulla produzione di biodiesel. A nostro modesto parere tale approccio è puramente accademico e carente di senso pratico poiché, secondo i ricercatori catalani, la resa di semi della canapa va da 500 kg/ha fino ad un massimo di 2 ton/ha.
    Considerando la percentuale di lipidi dei semi, la produttività netta risulta compresa fra i 140 e i 700 kg di olio/ha. Ricordiamo che l’olio di canapa è ricco di Omega 3 e Omega 6, quindi è pregiato per il fiorente mercato dell’alimentazione vegana, o salutista, pertanto ci sembra poco sensato ipotizzare un suo utilizzo come materia prima per la produzione di biodiesel, combustibile facilmente ottenibile a partire da olio e grassi di scarto.
    Le conclusioni cui arrivano i ricercatori catalani sono, a nostro parere, un po' forzate: il bilancio di CO2 risulterebbe neutro perché conteggiano l’utilizzo della glicerina da biodiesel come sostituto della glicerina da petrolio, senza considerare però che la purificazione della bioglicerina grezza è estremamente energivora ed il suo prezzo dunque non può essere competitivo, inoltre non c’è sufficiente mercato per la glicerina di grado farmaceutico.
  • La ricerca più affascinante, fra tutte quelle consultate, riguarda la nanotecnologia che si potrebbe sviluppare a partire dalla naturale struttura degli steli di canapa. In sostanza: le fibre della canapa, carbonizzate con un processo relativamente semplice, chiamato termoidrolisi, assumono una struttura molecolare tale da consentire la fabbricazione di supercapacitori, in grado di accumulare maggiore carica elettrica dei loro omologhi,  prodotti con l’ultra-tecnologico e costoso grafene.
  • Un fatto curioso riguarda la produzione di bioetanolo da canapa: nonostante sia la bandiera ideologica dei vari gruppi che promuovono questa coltura negli Usa, la maggior parte delle ricerche che abbiamo trovato sull’argomento sono state condotte fuori dagli Stati Uniti.
    Citiamo due studi a titolo d’esempio: il primo, di un gruppo di ricercatori europei, dimostra che il 73% della sostanza secca della canapa sarebbe idrolizzabile per via acida a 180º C (un processo applicato industrialmente da decenni), producendo glucosio, il quale per semplice fermentazione rende il 38% di bioetanolo. Stando a questi numeri la possibile resa di bioetanolo per ettaro si aggira attorno ai 3.600 kg, cioè pari a circa 4.600 l, quindi sullo stesso ordine di grandezza della produttività minima del  bioetanolo da sorgo.
    Il secondo studio, condotto dall’Università canadese di Manitoba, riguarda la fermentazione diretta della sostanza lignocellulosica tramite l’azione di Clostridium thermocellum. Questo batterio produce idrogeno ed etanolo in un unico passaggio. La resa è massima utilizzando cellulosa pura, ricavata dalla canapa (25,5% in peso di etanolo e 2,2% in peso di idrogeno).
Conclusioni
La ingiustamente demonizzata Cannabis sativa è una coltura potenzialmente interessante, sia dal punto di vista ambientale che economico, perché non necessita di pesticidi o diserbanti, è poco esigente in materia di suolo e fertilizzanti, tollera una certa salinità, ed è in grado di produrre contemporaneamente semi dall’alto valore nutrizionale e fibra di buona qualità per molteplici scopi industriali.
In termini di coltura energetica però, il vantaggio di utilizzare canapa invece di sorgo, mais o barbabietola, non sembra essere particolarmente elevato nelle condizioni pedoclimatiche mediterranee.

Bibliografia
  1. The potential of hemp to produce bioenergy, di A. Tedeschi e P. Tedeschi, 2nd World Conference on Biomass for Energy, Industry and Climate Protection, Roma, 2004.
  2. Anaerobic digestion of industrial hemp: Effect of harvest time on methane energy yield per hectare, di E. Kreuger, T. Prade, F. Escobar, S.-E. Svensson, J.-E. Englund, L. Björnsson; pubblicato in Biomass and bioenergy n. 35 ( 2011 ) pag. 893 a 900.
  3. Environmental analysis of the energy use of hemp – analysis of the comparative life cycle: diesel oil vs. hemp–diesel; Xaquín Acosta Casas e Joan Rieradevall i Pons, pubblicato in International  Journal of Agricultural Resources Governance and Ecology, Vol. 4, No. 2, 2005.
  4. Interconnected Carbon Nanosheets Derived from Hemp for Ultrafast Supercapacitors with High Energy; Huanlei Wang, Zhanwei Xu, Alireza Kohandehghan, Zhi Li, Kai Cui, Xuehai Tan, Tyler James Stephenson, Cecil K. King’ondu, Chris M. B. Holt, Brian C. Olsen, Jin Kwon Tak, Don Harfield, Anthony O. Anyia and David Mitlin, pubblicato nella rivista ACS Nano della American Chemical Society, Vol. 7, n. 6, 2013.
  5. Ethanol production from industrial hemp: Effect of combined dilute acid/steam pretreatment and economic aspects, di Mariusz Kuglarz, Ingólfur B. Gunnarsson, Sven-Erik Svensson, Thomas Prade, Eva Johansson, Irini Angelidaki. Bioresource Technology 2014 Jul;163:236-43. doi: 10.1016/j.biortech.2014.04.049. Epub 2014 Apr 24.
  6. Single-step fermentation of agricultural hemp residues for hydrogen and ethanol production, Valery Agbor, Francesco Zurzolo, Warren Blunt, Christopher Dartiailh, Nazim Cicek, Richard Sparling, David B. Levin. Biomass and Bioenergy, Volume 64, May 2014, Pages 62–69.