Ogniqualvolta che si discuta sull'utilizzo dei sottoprodotti oleari per la produzione di biogas, l'utilizzo della sansa, per l'alimentazione del digestore, diventa oggetto delle più svariate posizioni sia a favore che contro. Riportiamo, a titolo d’esempio, le argomentazioni pittoresche di alcuni fabbricanti ed esperti d'Oltralpe, i quali sostengono che la sansa non sia utilizzabile per tale scopo perché i polifenoli delle olive inibiscono i batteri, o, all’estremo opposto, troviamo le tesi di qualche impiantista nostrano che invece sostengono rese fantastiche.

Ma che cosa c'è di vero in queste affermazioni?
Come diceva il Buddha: “Il cammino della verità sta nel giusto mezzo”. Innanzitutto , bisogna ricordare che il potenziale metanigeno (BMP, Biochemical Methane Potential) è un parametro che dipende non solo dal substrato, ma anche dall'inoculo e, cioè, dalla biodiversità dell'ecosistema batterico all'interno del digestore.
Inoltre, la bontà, o convenienza di ogni processo di fermentazione, dev'essere analizzata non solo dal punto di vista della maggiore o minore resa di metano, ma anche considerando il comportamento reologico del digerente, ovverosia, il comportamento fisico della miscela inoculo / substrato (viscosità, tendenza a formare un “cappello”, o un sedimento, fenomeni di gelificazione, formazione di schiuma, variazioni del coefficiente di scambio termico).
Per finire, la dicitura “BMP” da sola, non vuol dire niente se non è corredata dal sottoindice che indica la durata della prova (30 o 60 giorni).

Quest’ultimo aspetto è alla radice dei malintesi e delle dicerie sui sottoprodotti grassi (e spesso anche sui sottoprodotti in generale): il loro potenziale metanigeno teorico è alto, ma in termini pratici non si esprime se non a partire dai 35 – 40 giorni di digestione, quindi non può essere sfruttato a pieno nell’impianto il cui tempo di ritenzione sia inferiore a sessanta giorni. Come accade frequentemente, se viene pubblicato un certo BMP per la sansa o la morchia, ma senza indicare la durata e le condizioni della prova, la consuetudine porterà il lettore a interpretare che si tratti di BMP30, quando in realtà è molto più probabile che si tratti di BMP60.

Test
Per sfatare i miti e le dicerie, che circolano nell'ambiente del biogas, talvolta magnificati da fabbricanti di impianti, di additivi o dagli stessi oleifici poichè desiderano collocare il loro sottoprodotto, abbiamo eseguito un test. I due campioni esaminati sono: uno di sansa e uno di morchia, ciascuno con un inoculo diverso, prelevato da due distinti impianti, che possiamo considerare rappresentativi del parco nazionale di digestori anaerobici, funzionanti entrambi con letame bovino, silomais e triticale.
Uno degli inoculi è tratto dal digestato proveniente da un impianto che possiamo definire come abbastanza “convenzionale” sia nella sua concezione impiantistica che nella sua gestione, ovvero caratterizzato da un basso contenuto di solidi (4%). L'altro è tratto dal digerente proveniente dal primo fermentatore d'un impianto di concezione tedesca, caratterizzato dall'utilizzo massiccio di additivi dalla formula “segreta” e dal contenuto di solidi piuttosto elevato (9%). Per sfatare anche un’altra diceria, ovverosia, che la sansa solo si può digerire in termofilia, abbiamo realizzato la prova a 38ºC.




Figura 1a e 1b.  Formazione di schiuma nei reattori caricati con sansa e morchia rispettivamente


La Figura 1 mostra il primo problema che può riscontrare chiunque tenti di utilizzare sansa, o morchia, in impianti molto carichi di sostanze fibrose e/o gestiti a suon di additivi. In barba alle tesi sostenute dai teorici tedeschi, sulla fantomatica azione inibitoria dei polifenoli, la frazione di solidi volatili più leggeri, contenuti in entrambi i substrati menzionati, fu degradata in un tempo relativamente breve, generando una quantità apprezzabile di biogas, quindi in linea di massima ciò sta a indicare che non ci sarebbero problemi di tipo biologico a digerire né la sansa né la morchia.
Il comportamento reologico dell'inoculo provocò però lo stacco dei tubicini del reattore di prova con conseguente sversamento del contenuto, come si apprezza nella Figura 1b.

Il motivo di questa anomalia, è che la frazione oleosa della sansa, o della morchia, non si degrada immediatamente (in genere, i grassi a catena lunga per essere degradati, richiedono da 45 a 60 giorni), quindi tende a creare un'emulsione e parziale saponificazione a contatto con qualcuno dei tanti additivi  contenuti nel campione d'inoculo utilizzato per la prova. Si forma così una specie di “mousse”, dalla consistenza simile a quella della panna montata, la quale intrappola il biogas e cresce di volume.
Nella nostra prova da laboratorio, nonostante avessimo lasciato un generoso volume di testa nel reattore, la “mousse” arrivò a ostruire il tubo di uscita del gas, provocando l'aumento di pressione finché questa non fece saltare il tubo come un tappo di spumante, con il conseguente spargimento di digerente sul tavolo del laboraotrio. Il secondo reattore, carico di sansa, non arrivò a questo punto, ma si osserva, nella Figura 2, che fra il secondo ed il quarto giorno la curva  di produzione normalizzata di metano subisce un'inflessione verso il basso, seguita da una ripresa.


Figura 2. Curva di degradazione anaerobica batch della sansa,  utilizzando un inoculo con il 9% di solidi volatili
 
Questa inflessione matematicamente è priva di significato (ricordiamo che la curva del volume cumulato, per definizione deve essere sempre crescente) però ha un senso fisico ben preciso: durante il secondo, terzo e quarto giorno il reattore, carico di sansa, produsse relativamente meno metano rispetto al “bianco“ (il reattore campione caricato con solo inoculo) proprio perché il menzionato metano rimase intrappolato nelle bolle della “mouse”.


Figura 3. Curva di degradazione anaerobica della morchia, utilizzando un inoculo con il 9% di solidi volatili

La prova con la morchia (Figura 3), nella quale fu utilizzato un inoculo con alto contenuto di solidi, si comportò in modo analogo a quella della sansa:  la frazione oleosa fece un'emulsione parzialmente saponificata (apprezzabile dal colore biancastro del surnatante nella Figura 1a), la “mousse” intrappolò quindi del gas e, crescendo, otturò il tubo di scarico, fino a farlo saltare quando la pressione continuò a salire. Memori dell'esperienza con la sansa, in questo caso avevamo realizzato un duplicato della prova utilizzando un inoculo proveniente da un impianto che, come si è detto, aveva circa la metà del contenuto di solidi. Nei reattori con minore contenuto di solidi, si osservò un po' di schiuma che sparì il giorno dopo, ma nessun problema di emulsione del substrato. Per contro, le portate di metano prodotte dall'inoculo con minore contenuto di solidi (Figura 4) furono notevolmente minori, e la risalita nella produzione di metano non si osserva fino al ventesimo giorno.


Figura 4. Curva di degradazione anaerobica della morchia, utilizzando un inoculo con il 4% di solidi volatili
 
Come si può apprezzare (Figura 3) nel caso della morchia l'influenza dell'emulsione del substrato è molto più spettacolare che nel caso della sansa: l'unico reattore con un inoculo, ad alto contenuto di solidi, rimasto a funzionare dopo che il suo omologo fu scoperchiato dalla “mousse”, presenta una produzione negativa fino al 14º giorno e una risalita esponenziale di produzione dal  15º giorno in poi.

La “produzione negativa” è, ancora una volta, un'apparente contraddizione matematica con un significato fisico ben chiaro: vuol dire che il bianco (il digerente costituito dalla miscela letame/insilato) produsse più metano rispetto al reattore con la stessa miscela addizionata alla morchia. Inoltre, va detto che il rapporto fra inoculo e morchia, utilizzato per questa prova, fu pari a diciotto, quindi il potere inibitorio di questo substrato è notevole, però non si tratta d'inibizione biologica.

La scarsa produzione iniziale di metano si spiega piuttosto con la generazione di schiuma, in grado di intrappolare gas, impedendone la fuoriuscita dal digestore, quindi un problema puramente fisico e non biologico. In un impianto reale, ciò costringerebbe il gestore a dover aumentare l'intensità d'agitazione per rompere le schiume, oppure utilizzare quantità ancora minori di morchia nel mix di alimentazione, o più acqua di diluizione per rendere meno “pastoso” il digerente.

Il potenziale metanigeno riscontrato con l'inoculo ad alto contenuto di solidi risulta molto interessante, ma lo stesso non si esprime se non a partire dal 15º giorno di permanenza nel digestore. Nel caso dell'inoculo più fluido, l'andamento “piatto” della curva, benché sempre positivo, indica che l'inoculo in questione manca di specificità batterica per digerire la morchia, e il potenziale metanigeno a trenta giorni (BMP30) risulta piuttosto mediocre. Nel primo caso, è successo poiché si utilizzò un inoculo non incubato previamente, e per delle difficoltà tecniche a misurare la frazione volatile della morchia, infine il margine d'incertezza nel calcolo del BMP30 risultò pari a ± 7%, mentre nel secondo caso l'incertezza della prova è pari a ± 6%.

Conclusioni
La morchia è un substrato potenzialmente interessante, ma il suo utilizzo va pianificato caso per caso, con prove specifiche realizzate con un campione di digerente del proprio impianto. È molto rischioso basare le decisioni di acquisto e utilizzo di morchia sulle tabelle pubblicate da alcuni laboratori, e tanto meno sui dati pubblicati dai costruttori di impianti, in quanto molti realizzano le prove utilizzando inoculi selezionati e aggiunta di medium (una particolare miscela di probiotici per creare condizioni ottimali di digestione).
Le suddette condizioni però non hanno la minima somiglianza alle condizioni reali di fermentazione in un impianto industriale, ed inoltre quasi nessuno indica la durata della prova dalla quale provengono i valori, quindi i risultati non sono applicabili con certezza a un impianto in concreto. Inoltre, un possibile effetto indesiderato causato dagli additivi minerali più diffusi fra i gestori di impianti di biogas è la parziale saponificazione della frazione oleosa, con formazione di schiuma  compatta e conseguente riduzione della resa apparente del digestore.

La sansa è un buon substrato, anche se può provocare fenomeni di emulsione simili a quelli descritti per la morchia se si utilizza con inoculi molto carichi di solidi e bassa intensità d'agitazione. La fantomatica inibizione da polifenoli sembra essere solo una presa di partito puramente teorica da parte di qualche esponente dell'industria tedesca del biogas. Il  BMP30 ricavato dalla sansa risulta abbastanza buono, ma non va dimenticato che, se l'impianto non è progettato per tempi di ritenzione superiori a trenta giorni, il potenziale massimo di questo substrato non viene completamente sfruttato, questo perché per degradare anaerobicamente la frazione oleosa sono necessari dai quarantacinque ai sessanta giorni. Riportiamo i risultati, delle nostre prove, del BMP30 ricavato dai  substrati precedentemente descritti; come possiamo osservare essi confermano che, se lasciati digerire per altri trenta giorni, avrebbero prodotto ancora più metano.
Ciò è vero in entrambi i casi ed è dimostrato dall’andamento crescente delle rispettive curve al trentesimo giorno del test.
Tuttavia, facciamo notare che il valore massimo ottenibile trascorsi i sessanta giorni non è necessariamente applicabile a tutti gli impianti, in quanto molti di questi hanno un tempo di ritenzione inferiore ai quaranta giorni, ed è per questo motivo che il nostro test fu limitato a soli trenta giorni.

Infine, possiamo affermare che la convenienza dell’utilizzo di additivi, negli impianti di digestione anaerobica, si rivela, come al solito, più supportata dalla fede, quasi religiosa, che alcuni gestori ripongono su questi prodotti che da fatti concreti e ben dimostrati. perché la “mousse” biancastra prodottasi durante le nostre prove di laboratorio sembra indicare la saponificazione, o quanto meno l’emulsione dei grassi, causata dagli additivi. Questo ultimo aspetto andrebbe ulteriormente ricercato, ma esula dallo scopo del presente articolo.