Quanto è diffusa in Italia l'agricoltura di precisione? Se lo è chiesto Veneto Agricoltura che ha commissionato un sondaggio per capire, a livello nazionale, quante sono le aziende agricole che hanno introdotto il precision farming. Il sondaggio è stato effettuato nell'ambito del progetto Agricare.

Il dato positivo è che, sulle 300 aziende intervistate a fine 2015 (rappresentative dell'intera Penisola) ben il 79,6% sa che cos'è l'agricoltura di precisione, anche se ad andare a guardare bene solo il 56% conosce la tecnica del dosaggio variabile, mentre ben il 70% l'uso della guida assistita.

Bisogna infatti subito precisare che l'agricoltura di precisione non è un monolite che si deve prendere nella sua interezza, ma è invece un insieme di tecniche che possono essere adottate in maniera scalare. La guida assistita è il livello più basico, poi c'è la guida automatica (in cui l'operatore non deve neppure toccare i comandi) e successivamente l'utilizzo delle mappe e delle attrezzature a rateo variabile per distribuire in maniera mirata semi, concimi e agrofarmaci.

Nel complesso tuttavia ben il 10% delle aziende intervistate afferma di utilizzare il precision farming. Anche se la maggior parte si limita ad impiegare la guida automatica per evitare le sovrapposizioni al momento della semina oppure nella concimazione. In questo modo si ha un immediato risparmio degli input produttivi, in media del 10%. E le ricadute sull'ambiente, in termini di minori consumi ed emissioni, sono importanti.

Se da un lato la diffusione è ancora limitata, dall'altro chi ha provato l'agricoltura di precisione non tornerebbe indietro. Il 56% si dice infatti soddisfatto, mentre il 32% afferma di aver ottenuto risultati superiori alle aspettative.

Eppure i margini di adozione sono enormi, sia per quanto riguarda la guida assistita sia per quanto concerne l'utilizzo delle dosi variabili. Dallo studio risulta che le problematiche maggiori sono legate al tipo di suolo (46%) o alla sua morfologia (19%), ma anche alla difficoltà di gestire la tecnologia (28%).

Il vero scoglio tuttavia alla diffusione del precision farming sono gli investimenti necessari. Il 43% ritiene elevato l'investimento che deve essere fatto per dotarsi delle attrezzature necessarie. Tra le motivazioni che fanno rinunciare l'agricoltore ad investire ci sono prima di tutto le dimensioni aziendali che non giustificano l'investimento (48%). Seguono poi la mancanza di misure di sostegno, come quelle legate ai Psr, con il 30% e la difficoltà di accesso al credito e la congiuntura economica sfavorevole, il 22%.

Gli investimenti in attrezzature e know how sono dunque i due freni all'innovazione e infatti l'88% degli intervistati si dice disponibile ad adottare le tecniche di precision farming nel caso in cui ci fossero incentivi pubblici.

I soldi rimangono dunque la questione centrale, ma è anche una fatto di predisposizione all'innovazione? Secondo il sondaggio la conoscenza di queste tecniche è più alta tra i conduttori nelle fasce di età inferiori ai 65 anni, con un più alto livello di istruzione, che gestiscono aziende superiori ai 30 ettari.

I giovani risultano più aperti all'innovazione e maggiormente disponibili ad adottare le tecniche di precision farming. Un elemento dirimente sembra essere l'estensione dell'azienda agricola. Tra quelle intervistate, tutte ad indirizzo cerealicolo, c'è la percezione che una maggiore Sau permetta un ammortamento piú sostenibile degli investimenti.

Bisogna però dire che quasi il 40% delle aziende agricole che adottano queste tecniche ricorre al contoterzismo. In questo caso non è l'investimento in nuove attrezzature a frenare l'adozione delle tecniche di precision farming. Rimane ugualmente ostico il differente approccio alla coltivazione che queste tecniche richiedono, con la realizzazione delle mappe, la raccolta dati e la loro elaborazione.

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