Fino a pochi anni fa, l’irrigazione del mais poteva essere effettuata solo a scorrimento, coi pivot o con i cosiddetti “rotoloni”. Ora però qualcosa è cambiato.

Nel caso dello scorrimento si utilizzano grandi volumi di acqua, i quali allagano letteralmente i campi ove peraltro si distribuiscono in modo difforme a seconda si consideri l’inizio o la fine dell’appezzamento.
Va un po’ meglio coi pivot, i quali simulano in modo abbastanza efficiente una pioggia, oppure con gli irrigatori a pioggia, più abbordabili dei pivot ma con le medesime problematiche di volumi di acqua elevati e di sovrapposizioni in campo di aree irrigate più volte.

Recentemente, si sono fatte largo nuove tecniche di irrigazione, ovvero quelle con sistemi ad ala gocciolante. Annate come il 2012, con una siccità devastante, hanno cioè fatto ripensare le tecniche irrigue, al fine di ottimizzare l’uso dell’acqua. Del resto, l’irrigazione rappresenta la prima voce nell’uso delle acque a livello europeo. Per tale ragione, secondo la Direttiva quadro europea sulle acque (2000/60/E) l’attività irrigua dovrà essere legata a precisi obiettivi e a strategie definite nell’ambito dei processi di pianificazione su scala di bacino.
 
L’irrigazione, peraltro, non solo consuma acqua, ma quando applicata sulla logica dei grandi volumi trascina con sé verso le falde anche fertilizzanti azotati e residui di agrofarmaci, erbicidi in primis. Non a caso, i report biennali dell'Ispra sulle acque testimoniano come vi sia ben qualcosa da fare sul fronte della dispersione ambientale degli agrochimici, siano essi di natura nutrizionale o fitoiatrica.
Minimizzare e localizzare le irrigazioni significa quindi non solo risparmiare risorsa idrica, ma anche preservare il suolo e le falde sotterranee e le acque superficiali, anch’esse interessate da fenomeni di run-off amplificati dalle acque distribuite. Se infatti è vero che molto dipende dalle piogge, sulle quali nulla si può fare, almeno sull’irrigazione è bene intervenire adottando le teniche più moderne a disposizione.
 
A titolo di esempio, secondo alcune prove effettuate da una società leader delle tecnologie irrigue, il mais irrigato con ala gocciolante, rispetto a quello irrigato a pioggia, avrebbe offerto produzioni attestatesi rispettivamente sulle 16,8 e 14 tonnellate per ettaro. Considerando un prezzo come quello attuale, intorno ai 150 euro a tonnellata il delta di Plv depone a favore dell'ala gocciolante in ragione di circa 420 euro. Cifra che salirebbe sopra i 500 euro in caso i prezzi risalissero sopra ai 200 euro/t.
I costi per ettaro in più, necessari per adottare questa tecnica, sono stimati appunto in 500 euro, dovuti ai materiali impiegati e alla maggiore energia richiesta. Per contro, gli impianti a goccia permetterebbero di recuperare oltre 300 euro sul fronte della manodopera e circa 30 su quello dei fertilizzanti.

Stanti così le cose, se si soppesano i costi e i risparmi, o si guadagna qualcosa, o si va per lo meno in pari. Non altrettanto si può dire per il suolo, per le falde e per le acque superficiali. In tal caso la soluzione ad ala gocciolante risulta molto più consigliabile proprio in un’ottica di sostenibilità delle pratiche agricole, sia da un punto di vista degli sprechi idrici, sia dei “maltrattamenti” al terreno dovuti alle sommersioni, per quanto transitorie esse possano essere. I benefici, probabilmente, si misurerebbero anche nei summenzionati report dell'Ispra.
 
Fra i tanti contributi e sussidi che sono stati studiati a favore degli agricoltori, quindi, anche le ali gocciolanti parrebbero meritare una certa attenzione, per lo meno per vincere le ritrosie iniziali che spesso contraddistinguono un settore come quello agricolo, particolarmente tradizionale e conservatore.