Ripartire dalla cultura. Se dovessimo individuare un invito sintetico da rivolgere alla filiera del vino dopo le previsioni non sempre confortanti emerse dall'ultima edizione di wine2wine di VeronaFiere, che con Vinitaly è il tempio vetrina del vino italiano nel mondo, sarebbe proprio quello di fare leva sulla cultura per cercare di imprimere una svolta a un 2023 che non sembra evolvere sotto i migliori auspici.

 

La crisi ha colpito duro anche nel dorato mondo del vino, con rincari dell'energia, difficoltà a recuperare le bottiglie di vetro (e comunque a cifre più alte rispetto al passato, e i rincari hanno abbracciato anche elementi non eliminabili come i tappi e il packaging), mercati alle prese con l'inflazione e la competitività, catene di approvvigionamento non sempre fluide (fra covid-19 e nuova globalizzazione), per non dire dei cambiamenti climatici e di una freddezza del sistema istituzionale a sostenere un comparto vitale in termini di cultura (la storia della vite e del vino è millenaria ed entrambi hanno valenza simbolica anche in chiave religiosa, per dire della penetrazione nelle vite di tutti noi, anche degli sfortunati astemi) ed economici, alla luce del fatto che esprime un valore superiore ai 245 miliardi di euro (dato mondiale, anno 2021, per l'Italia siamo oltre i 14,5 miliardi).

 

Insomma, da quanto ha sostenuto l'indagine congiunturale dell'Osservatorio Uiv/Vinitaly, presentata nei giorni scorsi al wine2wine di VeronaFiere, il 2023 potrebbe aprirsi con uno scenario recessivo, con il Margine Operativo Lordo (Mol) in caduta libera (4%), con un fatturato giù del 16% e che in molti casi non riuscirà a coprire costi in decremento (-11%) ma comunque relativamente alti. Notizie poco confortanti, sulle quali è opportuno riflettere. Il comparto del vino è fondamentale per l'economia, per il turismo (l'enoturismo attrae circa 14 milioni di "enoesploratori" e genera un giro d'affari di 2,5 miliardi di euro l'anno) e per la biodiversità, con l'Italia prima a livello mondiale per la varietà dei vigneti. Che fare?

 

Probabilmente sono necessari interventi su più livelli. Innanzitutto, bisogna intervenire nella fase in campo: il consumatore chiede sempre meno interventi da parte dell'uomo (e lo dimostrano la crescita e l'appeal dei vini biologici e biodinamici), per cui bisogna intervenire con sistemi digitali e di agricoltura di precisione, compresa l'irrigazione. Strumenti che saranno tanto più efficaci quanto più saranno diffusi sul territorio, così da condividere i dati e dialogare fra viticoltori. In tal proposito, i consorzi potrebbero promuovere la diffusione di strumenti digitali?

 

Poter avere una mappatura particolareggiata legata alla piovosità, alle patologie, allo sviluppo della pianta, alle temperature e allo scenario climatico, all'impiego di mezzi tecnici, all'utilizzo di acqua per svolgere una duplice funzione, una utile all'operatore e una utile al consumatore. Le bottiglie "trasparenti", con una storia da raccontare (dalla cantina ai metodi di produzione), di solito conquistano.

 

Fra gli operatori è emersa la strategia della rarefazione delle produzioni. Con una minore quantità di prodotto sul mercato, in teoria i prezzi dovrebbero mantenersi sostenuti. In linea teorica il ragionamento è corretto, ma quando si passa alla pratica talvolta intervengono altri fattori che fanno saltare anche le basi dell'economia e la semplice ma efficace legge della domanda e dell'offerta.

 

Se, dunque, una riduzione delle produzioni di vino in Italia nell'ordine di 3 milioni di ettolitri è l'ordine di grandezza suggerito dall'indagine dell'Osservatorio Uiv/Vinitaly per ridurre le eccedenze e smaltire le scorte (non si può pensare di produrre all'infinito, snaturando i territori, che sono un punto di forza della varietà italica), una promozione più efficace sui mercati internazionali non potrebbe rappresentare una strada per dare maggiore valore aggiunto alle produzioni made in Italy? Così uniremmo due strategie, perché in un mondo che ha una popolazione in crescita, lavorare per contenere le produzioni potrebbe alla lunga non essere vincente.

 

Della forza, anche sui mercati mondiali, di un brand come Vinitaly abbiamo già detto anche in passato e un riconoscimento in tal senso è giunto anche dal ministro dell'Agricoltura e Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida. Possiamo dunque contare su due marchi ombrello di garanzia in termini di efficacia: uno è Vinitaly, l'altro è made in Italy. Aggregare le forze, promuovere quindi eventi in cui buyer, cuochi, Horeca, influencer, manager della distribuzione possano conoscere il vino italiano, sia per gli aspetti culturali che per gli abbinamenti con i cibi italiani e dei territori di approdo. Facciamo leva su una cucina dei territori che ha due caratteristiche vincenti: la semplicità (anche per essere praticata dagli stranieri) e la varietà. Promuoviamola.

 

Un altro elemento di spinta dovrebbe provenire dalla flessibilità (anche normativa, oltre che gestionale) da assicurare alle piccole aziende, unitamente alla possibilità di procedere con aggregazioni, fusioni, ma anche associazioni temporanee di impresa. Tutto ciò purché vi siano piano specifici, coordinati, per nuove politiche di export.

 

Ogni tanto è utile guardare a chi ha fatto del settore vitivinicolo un biglietto da visita vincente a livello mondiale: la Francia. Ebbene, secondo una notizia riportata nelle scorse settimane da Le Monde, "sempre più viticoltori francesi si interessano alle condizioni della vendemmia e della maturazione delle viti nelle regioni aride del Globo, come in Israele. Il riscaldamento climatico … spinge il mondo viticolo a esplorare tutte le ipotesi possibili, comprese le più estreme".

Ricerca sul campo, dunque, per agevolare una resilienza dei vigneti che non riguarda solo la Francia, ma coinvolge buona parte del Globo.

 

Per non rimanere indietro, le sfide che ci attendono sono su più livelli e coinvolgono tutti gli attori, dai produttori di barbatelle ai viticoltori, per arrivare lungo tutta la catena di approvvigionamento alla distribuzione, agli esportatori e ai consumatori. Con un filo comune di impegno, ricerca e sviluppo e cultura
Con la cultura non si mangia, si lasciò sfuggire improvvidamente qualche anno fa un (di solito) inappuntabile Giulio Tremonti. Secondo noi non solo si mangia, ma anche si beve.

 

Due domande ai molti viticoltori che ci leggono: Quali sono le maggiori difficoltà che state incontrando? Quali soluzioni proponete?