Il fatto che Giorgia Meloni, premier in pectore dopo i risultati delle elezioni politiche dello scorso 25 settembre, abbia scelto per la prima uscita pubblica dalla vittoria elettorale la grande prova muscolare del Villaggio Coldiretti a Milano, spinge i più ottimisti a intravedere una rinnovata attenzione all'agricoltura.
In questa direzione andrebbe il messaggio di Giorgia Meloni dal pulpito coldirettiano (sindacato che dovrebbe aver ispirato in larga misura i programmi elettorali in materia agricola tanto a Fratelli d'Italia quanto a Lega e Forza Italia), secondo il quale le priorità sono "dare risposte immediate ed efficaci, difendere gli interessi nazionali".

 

Sicuramente il caro bollette e l'incertezza che la guerra in Ucraina ha scatenato sul fronte dell'energia impongono azioni immediate ed efficaci. Con bollette che rischiano di aumentare di mese in mese, ha ragione Giorgia Meloni quando sostiene che l'azione da compiere non è tamponare sovvenzionando imprese e cittadini, ma agire alla base della speculazione.

 

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Un approccio pragmatico, che Giorgia Meloni intende condividere ascoltando i corpi intermedi e tutte le rappresentanze sindacali delle categorie, e che passa inevitabilmente dall'Europa. Se il prossimo Ministero dell'Agricoltura o delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (per usare il nome attuale) verrà ribattezzato Ministero della Sovranità Alimentare, come suggerito da Coldiretti, poco importa. Le linee guida - almeno per i principali dossier, dai programmi per implementare l'autosufficienza alle politiche green - dovranno essere condivise a Bruxelles. E ripetiamo: condivise, non subite o imposte. Servono nuove idee e risposte urgenti per sostenere il comparto agricolo.

 

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Di seguito un breve elenco di azioni che potrebbero essere prese in considerazione per tutelare il settore agricolo (4,2 milioni di occupati, 1,1 milioni di aziende agricole, una produzione lorda vendibile di 60 miliardi di euro, una Dop economy che ne vale quasi 17 e una filiera agroalimentare che vale 575 miliardi, con la proiezione di superare nel 2022 i 60 miliardi di export).

 

Rivoluzione tecnologica e digitale

È una delle priorità citate dal vicepresidente del Copa, Massimiliano Giansanti, a conferma della strategicità che il ricorso a innovazione e digitalizzazione riveste su scala europea. Soprattutto, la rivoluzione digitale avrebbe un impatto trasversale, con risvolti sulla sostenibilità economica (riduzione dei costi, del carburante, dell'energia), ambientale (riduzione degli input, ottimizzazione delle risorse idriche, monitoraggio del clima) e sociale (razionalizzazione della manodopera e miglioramento delle condizioni di sicurezza sul lavoro).

 

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Servono investimenti in tecnologia, macchinari, ma soprattutto in infrastrutture digitali, banda larga, connessioni, formazione. Saranno alcuni anche strumenti semplici da usare, ma bisogna pur sempre imparare. Il potenziale è enorme e i benefici anche.

 

Rivoluzione verde: equilibrio

Impossibile rifiutare una direzione che l'Europa ha già tracciato, soprattutto perché lo chiedono i cittadini. L'agricoltura deve ridurre l'impatto ambientale, così come lo devono fare anche altri settori produttivi. Non vi sono alternative: adelante, ma con juicio, per dirla con Manzoni. Inutile abbozzare una difesa d'ufficio dell'agricoltura, che avrebbe un impatto minore rispetto a logistica e trasporti o alla stessa industria. Interessa poco, quello che conta è che bisogna contenere le emissioni, rispettare acqua, aria e suolo. Ridurre gli input della chimica.

 

Ebbene, se come detto la lista della spesa prevede di raggiungere gli obiettivi enunciati dal Green Deal, forse è sulla modalità e sulle tempistiche che bisogna intervenire. Se la voracità cinese nell'importare materie prime agricole e l'invasione russa dell'Ucraina hanno rilanciato il tema della sovranità alimentare, non si adottino acriticamente soluzioni che finirebbero per tagliare pesantemente la produzione agricola. L'Europa sarebbe costretta a importare di più, con maggiori rischi sul piano della sicurezza alimentare (quali requisiti sanitari per l'import?) e con un aumento delle emissioni dei trasporti.

 

Ricerca e sviluppo

Il nuovo Governo dovrebbe puntare su ricerca e sviluppo per dare risposte. Una rete di centri efficienti c'è già: il Crea, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria. Si sostenga, potenziando allo stesso tempo il ruolo delle università e magari rafforzando i progetti che coinvolgono le imprese agricole, la trasformazione, la distribuzione, l'industria e la cooperazione. L'Italia può vantare la più antica Accademia di Agricoltura, quella dei Georgofili di Firenze. Sono particolarmente attivi e attenti ad intercettare l'evoluzione del settore primario: si ascoltino con una sorta di tavolo permanente per la cultura e l'innovazione agricola. Un filo diretto fra studiosi e Ministero sarebbe opportuno.

 

Obbligatorio sostenere solo le imprese italiane? Assolutamente no. Abbandonare i tabù e accelerare, partendo dall'esigenza di incrementare le produzioni, ridurre gli sprechi, ottimizzare le risorse naturali, valorizzare la chimica verde, l'agricoltura rigenerativa, le nuove tecniche colturali, l'agribiotech. No pregiudizi, ma concretezza verso un'economia circolare pulita.

 

Proteggere le colture

Se si vuole produrre di più, il primo passo è proteggere le colture in essere o il patrimonio zootecnico. L'Italia si è distinta, anche nel contesto europeo, per le soluzioni legate alla mutualità e al rischio. I cambiamenti climatici hanno evidenziato, tuttavia, che il sistema mostra alcune falle. Molto banalmente, alcune colture o alcuni eventi climatici e catastrofali sono difficilmente assicurabili o non lo sono affatto, perché diventati troppo onerosi o perché rappresentano una sicurezza di perdita per il sistema bancario e/o assicurativo. Anche in questo caso ricerca e sviluppo devono contribuire per individuare soluzioni alternative (dalle reti all'agrovoltaico sospeso), così da proteggere le produzioni.

 

Stop agli animali selvatici

Rientra alla voce "protezione" e non riguarda solamente le colture o gli animali, ma anche la sicurezza sulle strade, visti i numerosi episodi di incidenti, talvolta anche mortali, causati da ungulati o fauna selvatica. L'approccio dovrebbe essere realista al massimo, per essere efficace: la fauna selvatica (compresi corvidi e piccioni) rischia di compromettere la salute negli allevamenti, ma anche di bloccare le esportazioni di segmenti significativi dell'agroalimentare. Pensiamo alla peste suina africana e al rischio di azzerare completamente l'export di prodotti Dop di altissima qualità, a partire dai prosciutti di Parma e San Daniele (ma non solo).

 

Gestione acqua

La siccità del 2022 ha riacceso i riflettori sui cambiamenti climatici e sulla necessità di provvedere a razionalizzare le risorse idriche. Bisognerebbe ormai ragionare come se fosse sempre emergenza idrica, pensare a rendere le reti più efficienti, a creare bacini di stoccaggio, a diffondere strumenti per la smart irrigation, incentivandone l'acquisto, il noleggio o comunque l'impiego.

 

Dalla cooperazione alla share economy

Uno dei rischi maggiori per frenare la crescita è ragionare attraverso schemi preconcetti o formule consolidate. Forse anche l'agricoltura dovrebbe spingere su nuove formule di collaborazione, favorendo soluzioni di sharing economy, di condivisione (delle risorse, delle reti, della conoscenza). L'economia in outsourcing funziona e, dove è sviluppata, permette di contenere i costi e moltiplicare i risultati, rendendo più efficienti i processi, migliorando i margini di guadagno e favorendo processi di coinvolgimento non solo delle imprese, ma anche della collettività.

 

Più energie rinnovabili per tutti

Lo choc energetico attraversato in questi mesi dalle imprese e dai cittadini dovrebbe suggerire al prossimo Governo di adottare un approccio multisettoriale. Non solo bisogna mettere l'impresa agricola nelle condizioni di ridurre la propria bolletta energetica, ma bisogna favorire la produzione di energia pulita a tutti i livelli, senza consumare il suolo, ma sfruttando ad esempio tutti gli immobili rurali.

 

Sappiamo bene che l'autonomia energetica si raggiunge solamente con il nucleare di quarta generazione (proseguano gli studi e si proceda), ma se si vogliono incentivare le rinnovabili è bene non limitarsi a imporre sistemi di autoconsumo e di cessione quasi gratuita del surplus energetico non utilizzato. Si creino comunità energetiche, si permetta a tutti (anche ai proprietari di immobili rurali abbandonati) di installare impianti e vendere l'energia a prezzi equi, così da favorire la diffusione dei pannelli fotovoltaici o solari (o altre modalità).

 

Export

All'ultimo punto di un elenco assolutamente non esaustivo fissiamo l'export. Un Paese che invecchia e che ha grandi abilità nel produrre e nel trasformare deve poter incrementare la propria quota di export. In che modo? Innanzitutto, attraverso accordi bilaterali fra Italia e Paesi target. Fondamentale ottenere intese chiare, protezioni al made in Italy, strade privilegiate.

 

Serve una cabina di regia nazionale e rapida per promuovere il made in Italy agroalimentare all'estero, attraverso le ambasciate, l'Ice, gli istituti bancari e assicurativi, sistemi informatizzati di blockchain per garantire quantità, qualità, provenienza. Anche la rete dei cuochi, dei ristoratori italiani all'estero va monitorata e certificata, così da rappresentare degli ambasciatori reali del vero made in Italy.

Servono missioni pianificate e non lasciate alla volontà di una miriade di soggetti regionali, provinciali, ma il coordinamento deve essere unico, non sovrapposto (o sovrapponibile), in grado di portare risultati concreti.

 

Più Italia, ma in Europa

Una maggiore tutela della posizione italiana in Europa è sacrosanta. Serve più Italia in un'Europa a trazione franco-tedesca. Ma il risultato migliore si ottiene col dialogo, con l'etica, portando idee, facendo valere la propria presenza.

 

Difficilmente l'asse franco-tedesco si farà scardinare dall'Italia, ma una difesa degli interessi nazionali, in particolare dove le istanze siano comuni ad altri Paesi da coinvolgere con alleanze anche temporanee, dovrebbe essere il segnale che qualcosa è cambiato. Dopo anni di assenza o scarsa reperibilità dei ministri italiani a Bruxelles, potrebbe anche non essere un'impresa impossibile. Sappiamo bene che l'Italia, in fondo, e gli italiani, soprattutto, sono ammirati per le grandi abilità, l'inventiva, le capacità. Avanti.