Quando un paio di settimane fa (e per l'ennesima volta) parlammo dell'improvvido e inarrestabile consumo del suolo agricolo e dell'importanza dell'agricoltura nella gestione oculata dei territori, non si poteva certo prevedere la terribile sciagura ambientale che ha colpito le Marche. Prevedere no, ma temere sì - e a giusta ragione.

 

In Italia l'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha stimato nel 2017 che il 91% dei comuni italiani (erano l'88% due anni prima) è a rischio dissesto idrogeologico: 3 milioni di famiglie risiedono in queste aree. In totale il 16,6% (50mila km quadrati) del territorio nazionale è mappato nelle zone di maggiore pericolosità per frane e alluvioni. Si aggiunga che circa il 4% degli edifici nazionali si trova in zone con pericolosità di frana elevata e oltre un milione (9%) in zone potenzialmente alluvionabili. Questo così - tanto per rassicurare con qualche dato oggettivo i sempre numerosi (e sempre meno simpatici) scettici a oltranza.

 

Oramai confermato dall'esperienza empirica di tutti noi anche un altro dato scientifico: le piogge si concentrano e l'abusato termine di "bomba d'acqua" che tanto dispiace a certi metereologi di vaglia rende perfettamente l'idea dei tanti fenomeni simili a quelli accaduti a Senigallia - fenomeni che avvengono particolarmente in estate. L'estate è una stagione che in tutto il mondo è sempre più caratterizzata da siccità, ondate di caldo estremo, incendi e inondazioni.

L'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha avvertito che se il riscaldamento globale raggiungerà 1,5°C, l'8% dell'area agricola mondiale non sarà più adatto all'agricoltura. L'Onu prevede che al 2027 l'azione combinata del cambiamento climatico, dei conflitti e della povertà causerà un rincaro medio del cibo nel mondo dell'8.5%.

 

Nel nostro Paese i danni all'agricoltura non son certo mancati: dal riso ai pomodori, dal mais alle olive. Una situazione che certo si riverbererà sui prezzi di mercato - a sfavore certo dei consumatori e noi temiamo anche dei produttori agricoli, visto che la filiera è sempre più in mano ai distributori.