I primi risultati del 7° Censimento generale dell'Agricoltura non destano particolari sorprese: diminuisce il numero di imprese agricole (oggi sono 1,13 milioni), con un taglio nettissimo delle microimprese al di sotto di 1 ettaro, aumenta la superficie agricola media (che passa da 7 a 11 ettari), crescono gli investimenti in tecnologie e innovazioni, anche se non vi è ancora stata una corsa decisa alla digitalizzazione.

 

Fin qui, nessuna sorpresa.

 

Forse meno prevedibili i numeri relativi ai giovani agricoltori, che il Censimento suddivide curiosamente in fasce di età che arrivano fino ai 44 anni. Francamente, già è abbastanza anomalo considerare "giovane" un imprenditore che ha meno di quaranta anni (solo la mamma ci considera giovani per tutta la vita), ma stabilire parametri censuari che arrivano fino all'età di 44 anni non solo fa sorridere, ma non fotografa i dati secondo le politiche europee e i Programmi di Sviluppo Rurale. Se avessimo rac-contato l'agricoltura appunto contando le imprese guidate da under quaranta sarebbe stato più utile al fine di impostare politiche di sostegno per favorire il ricambio generazionale.

 

Ecco, quella dell'ingresso e della presenza dei giovani è una anomalìa. In questi anni siamo stati bombardati da comunicati e notizie che descrivevano il ritorno dei giovani in agricoltura, di una maggiore professionalizzazione (con l'aumento dei laureati impiegati) e di un più ampio ricorso alle nuove tecnologie. Ecco, sembrano vere a leggere le prime elaborazioni del Censimento agricolo due affermazioni su tre, mancando un effettivo riscontro sul ricambio generazionale. Il dato, in proiezione, preoccupa e non poco, ma in effetti è lo specchio di un ritardato e stabile ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani in senso più generale. Chissà, forse i prossimi censimenti ci diranno se anche l'agricoltura ha risentito della sindrome "Neet", cioè giovani che non studiano e non lavorano, e se effettivamente il settore primario sarà riuscito ad esercitare un appeal che sulla carta dovrebbe essere abbastanza seduttivo, se è vero che l'agricoltura italiana, grazie alla specializzazione delle produzioni, assicura un valore aggiunto superiore rispetto a molti altri Paesi in Europa.

 

Ecco, non dimentichiamoci mai di contestualizzare i dati con i colleghi europei. Se siamo una Unione Europea e se le politiche agricole vengono decise a Bruxelles, seppure dalla prossima Pac con maggiore elasticità locale garantita dai Piani Strategici Nazionali, sarebbe opportuno che il Censimento generale dell'Agricoltura assumesse carattere internazionale e che tutti gli Stati membri applicassero le medesime domande, i medesimi tempi di indagine e condividessero i risultati. Perché, se è pur vero che non esiste un'agricoltura omogenea da Stoccolma a Lipari, alcune dinamiche sembrano essere comuni e capire come evolvono attraverso analisi e raccolte di dati omogenee potrebbe sicuramente aiutare i processi decisionali.

 

Alcune domande mi frullano per la testa e non è certo per andare controcorrente che in poche righe provo a liquidarle. Magari con la benevola richiesta di sapere che cosa ne pensano i lettori attenti di AgroNotizie.

 

La prima: è in atto ormai da più di quaranta anni un processo di riduzione delle imprese agricole. Stiamo assistendo a una maggiore professionalizzazione degli operatori (espressa addirittura da nuove forme societarie, che si insinuano nella tradizionale ossatura dell'impresa familiare), a un ampliamento della maglia poderale, ma siamo sicuri che sia un trionfo la scomparsa delle piccole aziende? E non parlo solo della tradizione in pericolo (quella inevitabilmente evolve, si adatta ai tempi, si tramanda), ma del presidio del territorio. Gli agricoltori, anche quelli al limite dell'hobbismo, sono attenti all'ambiente e al territorio. Se li perdiamo, siamo sicuri che le grandi imprese abbiano la stessa attenzione? In linea teorica sì, ma nella pratica?

 

Non tutte le regioni hanno subìto la medesima pressione nel calo delle imprese. Vediamo ad esempio che le due province autonome di Bolzano (-1,1%) e Trento (-13,4%) e la Lombardia (-13,7%) hanno tenuto meglio rispetto ad altre realtà del Centro Sud. Questa tendenza è frutto del fatto che la contrazione verso la specializzazione era già avvenuta in passato (possibile per la Lombardia, meno per le due province di montagna) oppure perché sono realtà che possono contare su un'agricoltura ad alto valore aggiunto?

 

La seconda domanda: è stato annunciato un cambio di passo nella periodicità della raccolta dei dati per l'elaborazione del Censimento generale dell'Agricoltura. Da decennale (con la velocità odierna un lasso di tempo troppo dilatato) ad annuale. Siamo sicuri che una fotografia annuale sia in grado di rilevare a grandangolo alcune dinamiche?

 

Mi spiego meglio: se un anno le regioni con i Piani di Sviluppo Rurale sostengono in maniera massiccia i giovani agricoltori e il primo insediamento, potremmo trovare un incremento degli under quaranta in agricoltura. Ma avremmo la fotografia di un trend stabile? O rischieremmo di essere tratti in inganno? E come verrebbero interpretati i dati relativi a un calo molto contenuto di imprese agricole attive, tenuto conto che la rilevazione avviene annualmente e non più su un lasso di tempo decennale (che è troppo ampio, ripetiamo)? Saremmo in grado di reagire con politiche e strumenti efficaci?

 

La produzione di energie da fonti rinnovabili e l'agriturismo hanno registrato una forte accelerazione nel giro di un decennio. Se c'è da aspettarsi - grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), alle spinte ambientali e alla crisi energetica - una ulteriore spinta verso le rinnovabili agricole (cresciute del 198%), il fenomeno agriturismo (+16% fra 2010 e 2020) molto probabilmente interpreta il desiderio sempre più marcato dei cittadini di vivere esperienze nel verde (in particolare dopo il covid-19, come antidoto all'isolamento sociale), ma aumenterà con questi ritmi anche in futuro? E se sì, cosa dovrà offrire, tenuto conto che la diversificazione sarà sempre più una chiave di distinzione e come evolverà? Quali saranno i punti cardinali da rispettare? Le normative dovranno essere riviste?

 

Cresce l'innovazione tecnologica, ma resta il fatto che da solo il processo di digitalizzazione non basta. Va nella direzione giusta, è innegabile. Ed è una prima risposta all'esigenza non più rinviabile di sostenibilità e di gestione responsabile delle risorse. Ma la differenza la farà come sempre l'uomo, e la sua volontà di fare rete, condividere esperienze e modelli, trovare risposte nella selva di numeri e dati.

 

Se non è ancora pienamente "animale digitale", l'uomo è sicuramente animale sociale, per dirla con Aristotele. Che il prossimo passo sia quello dell'agricoltore animale sociale e digitale?

 

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