"In futuro non si chiamerà più agricoltura di precisione, si chiamerà agricoltura di previsione perché, se vogliamo arrivare a ridurre l'impatto dell'agricoltura, dobbiamo arrivare lì". Sono parole del professore Luca Corelli Grappadelli del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell'Università di Bologna. Le ha pronunciate all'ultima edizione di Macfrut, durante un convegno dal titolo "La frutticoltura smart e la transizione ecologica", pensato per presentare i risultati di tre progetti della Regione Emilia Romagna puntati sulla frutticoltura di precisione.

 

Il professore Michele Pisante, Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agroalimentari e Ambientali di Teramo, aveva già rapidamente tracciato la storia dell'applicazione dell'agricoltura di precisione in Italia, ricordando le famose Linee Guida del Mipaaf del 2015. "A livello europeo - ha detto Pisante - il ritardo che l'Italia ha maturato nella mancata diffusione dell'agricoltura di precisione è stato osservato già nel 2020. In vista della nuova Pac, quella che entrerà in vigore dal 2023, si parlava della rilevanza dell'agricoltura di precisione per poter raggiungere metodi a basso impatto ambientale. L'efficacia delle Linee Guida è stata ostacolata purtroppo da tagli di dotazioni finanziarie".

 

Le tecnologie ci sono e la ricerca va avanti

 

Eppure le tecnologie ci sono e la ricerca va avanti: "Abbiamo aperto una nuova frontiera - ha detto ancora Pisante - abbiamo messo a punto il primo prototipo mondiale di Pet portatile che ha scalabilità dalle erbacee alle arboree. Avvolge le piante e rileva sullo smartphone o su tablet il metabolismo in vivo, individua in tempo reale gli stress. Questa è la parte propedeutica alle applicazioni. Si sta sviluppando il sensore su piattaforma, da montare poi su drone. Avremo un'immagine tridimensionale che comprende anche il sistema vascolare delle piante. La nuova frontiera che si affaccia è quella che passa dal machine learning e dall'intelligenza artificiale al metaverso".

 

Senza guardare così avanti però le tecnologie già a disposizione, commercialmente sul mercato, possono aiutare molto a migliorare la produzione, se utilizzate in sinergia. Il professore Luca Corelli Grappadelli ha presentato i risultati di un progetto"S3O", da poco chiuso, che ha visto la realizzazione di un frutteto sperimentale, lo "Smart Specialized Sustainable Orchard".

 

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"Il progetto è un integratore di tecnologie esistenti, che quindi l'agricoltore può installare. Noi le abbiamo applicate a un meleto. I Paesi del Mediterraneo come l'Italia sono normalmente in eccesso di luce - ha detto Grappadelli - questo fa sì che ci siano danni ai sistemi. Abbiamo deciso che era ora di dimostrare che si poteva fare a meno di tanta luce, senza che dovessero però essere intaccate le performance produttive. Volevamo eliminare l'energia fossile dal frutteto e avere un frutteto 100% elettrico. Abbiamo quindi sviluppato un rover elettrico e un sistema di ricarica con pannelli fotovoltaici. Applicando reti, per togliere luce, abbiamo risparmiato acqua e agrofarmaci e abbiamo migliorato la qualità del prodotto. Abbiamo ottenuto tutti i risultati che ci eravamo prefissi".

 

Il progetto "Positive, Protocolli Operativi Scalabili per l'Agricoltura di Precisione" aveva l'obiettivo di agevolare l'irrigazione di precisione e a rateo variabile, aumentando al contempo la produttività. In protocolli aperti sono stati organizzati ed elaborati i flussi di dati in arrivo da diverse fonti, previsioni meteo, immagini satellitari, indici di vegetazione, sensori a terra e in vivo e knowhow agronomico. "Con Positive - ha detto il professore Stefano Caselli, dell'Università di Parma - abbiamo messo a terra tecnologie correnti e le abbiamo portate a maturazione. Il sensore in vivo rileva lo stress idrico delle piante prima di altre tecniche, anticipa di trenta ore lo stress idrico, rispetto ad altre tecniche. Sono state fatte prove in campo su kiwi e pomodoro, il sensore ha consentito il monitoraggio in continuo per tutto il ciclo produttivo".

 

Il sensore è una novità e si chiama Bioristor

 

Il sensore è una novità, si chiama Bioristor, è stato sviluppato nei laboratori dell'Imen, l'Istituto dei Materiali per l'Elettronica e il Magnetismo del Cnr a Parma e misura il flusso di ioni nella linfa. Grazie a questo sensore, inserito all'interno della pianta, quest'ultima comunica le sue necessità in fatto di fabbisogno idrico praticamente in tempo reale.

 

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Con il progetto "Agro Big Data Science" si è messo a punto, su tre filiere pilota, kiwi, pero e spinacio da industria, una piattaforma big data che acquisisce, immagazzina e analizza dati allo scopo di ottimizzare gli input. I dati arrivano sia da fonti interne alle aziende coinvolte sia da fonti esterne, ad esempio capannine meteo e sensori al suolo, registri di magazzino, registri dei trattamenti, immagini satellitari eccetera. Tramite algoritmi si cerca di dare risposte concrete ai problemi che interessano la filiera, facendo quindi dialogare e scoprendo le relazioni fra i dati acquisiti. Si va dalla diagnosi in tempo reale delle condizioni in campo, alla previsione della qualità e quantità di prodotto fino alla ricerca delle cause che hanno influito sulla produzione.