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Il dilemma del biologico va in scena nell'anno pazzo 2022, in cui alla fase post pandemica (il covid-19 e i lockdown hanno trascinato i consumi di prodotti bio) si sono unite due variabili fra loro interconnesse (la guerra in Ucraina in seguito all'aggressione russa e l'inflazione), che stanno facendo sentire i loro effetti tanto sulle materie prime agricole quanto sull'inflazione e i consumi alimentari.

 

I costi di produzione sono esplosi per effetto del boom dell'energia, dei fertilizzanti azotati (che il biologico non può utilizzare) e i listini si sono adeguati, anche per effetto di due fattori che hanno esasperato il mercato: l'accaparramento degli stock di cereali e semi oleosi da parte della Cina, il conflitto in Ucraina, il rischio di minori produzioni nella campagna in corso.

 

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Che cosa c'entra tutto questo con il biologico e con l'ambizione della Commissione Europea di innalzare la superficie agricola utile coltivata in regime biologico al 25% di media (dall'attuale 9,1%) entro il 2030, cioè fra meno di otto anni? Il nesso è di mercato, di prezzi e, di conseguenza, di diffusione del biologico.

 

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Quando poco più di un anno fa (marzo 2021), la Commissione Ue varava il Piano Strategico per il Biologico, infarcito di azioni, prescrizioni e orientamenti per promuovere il modello "organic", annunciando sei mesi dopo (il 23 settembre) l'istituzione della Giornata Europea per il Biologico, lo scenario attuale di guerra, prezzi impazziti e consumi alimentari in frenata o comunque orientati verso prodotti a minore impatto sul portafoglio, era molto lontano dall'essere anche solo immaginato.

 

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Quali sono gli effetti di tale quadro? Un rallentamento delle conversioni da convenzionale a biologico, una forbice di prezzi tra prezzi di prodotti bio e convenzionali che si sta assottigliando e remuneratività che naturalmente si erode per chi ha scelto il regime "organic".

 

E così, sebbene la Commissione Agricoltura alcuni mesi fa, durante la presentazione dell'Outlook Agricolo al 2031, avesse confessato che l'ambizioso progetto di raggiungere il 25% di Superficie Agricola Utilizzata (Sau) a bio fosse uno strumento più per contribuire a creare un nuovo modello di agricoltura più virtuosa, responsabile, attenta all'ambiente e alle comunità che un vero e proprio paletto invalicabile, è giusto provarci.

 

L'Italia parte da una percentuale dedicata all'organic più alta della media europea: 16,6% contro il 9,1%, recitano i dati del Sinab. Questo significa che in Italia più di 2 milioni di ettari sono coltivati a biologico, con un esercito di 81mila operatori, un terzo dei quali si concentra nel Mezzogiorno fra Calabria, Sicilia e Campania.

 

Passare dal convenzionale al biologico è molto più che un percorso. È un atto di fede, sostengono gli operatori, perché cambia completamente l'approccio e lo schema mentale che sta alla base dell'attività. Non ci si improvvisa agricoltori biologici, anche perché il passaggio dall'agricoltura convenzionale a quella biologica dura 24 mesi in caso di colture annuali come seminativi e orticole o 36 mesi, in caso di colture pluriennali come frutteti o vigneti, come ricorda Federica Nasi, responsabile delle Attività di Controllo del Ccpb di Bologna, uno degli enti accreditati per la certificazione biologica.

 

Ascolta l'intervento di Federica Nasi e di altri esperti.
Puoi trovare tutti i podcast della playlist "Con i Piedi in Campo" in questa pagina

 

L'attenzione a promuovere il bio è altissima. Nei giorni scorsi, in particolare 16-17 giugno 2022, Bordeaux ha ospitato lo European Organic Congress 2022, dal quale è emersa molto nitida la voce di richiamo a sostenere il comparto in una fase particolarmente delicata. E così, se come dice l'Ifoam, l'International Federation of Organic Agriculture Movements, "l'agricoltura biologica può contribuire a molti degli obiettivi della nuova Pac ed è uno strumento per aumentare la qualità del suolo e dell'acqua, migliorare il benessere degli animali, ridurre l'uso di antimicrobici e agrofarmaci e rivitalizzare le aree rurali", allo stesso tempo non tutti gli Stati membri sembrano aver adottato le giuste misure per contribuire a rafforzare il biologico.

 

Lo dice apertamente Jan Plagge, presidente di Ifoam Organic Europe: "Gli Stati membri dovrebbero integrare le osservazioni della Commissione per garantire almeno la continua crescita della produzione biologica durante il prossimo periodo della Pac 2023-2027 e avere una maggiore ambizione climatica e ambientale generale".

 

In effetti, ben più di uno Stato membro è stato invitato a rivedere i propri Piani Strategici Nazionali, anche con riferimento al biologico. È il caso, ad esempio, della Francia, dei Paesi Bassi, ma anche della Repubblica Ceca, Portogallo, Finlandia, Spagna e persino della Svezia, una delle realtà più dinamiche e attente, solitamente, al comparto "organic".

 

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La Politica Agricola Comune fin dagli Anni Novanta sostiene l'agricoltura biologica e lo farà anche nella prossima programmazione, che entrerà in vigore fra poco più di sei mesi. Lo ricorda Riccardo Meo, analista di Ismea. "In un contesto in cui le risorse in assoluto sembrano essere leggermente diminuite, il biologico va comunque a rappresentare la misura più importante dello sviluppo rurale", andando ad abbracciare "il 15% totale delle risorse con oltre 2 miliardi di euro" così almeno recita la bozza del Piano Strategico Nazionale, che la Commissione Europea ha chiesto venisse in parte meglio definita anche per gli aspetti legati al biologico.

 

"La volontà di sostenere il biologico è stata accolta grazie a un trasferimento di 90 milioni di euro all'anno dal Primo al Secondo Pilastro, che verranno riversati nella misura destinata alla superficie bio", specifica Meo.

 

Anche i giovani agricoltori che aderiranno al biologico avranno maggiori facilitazioni, così come le misure agroambientali daranno maggiori aiuti a quanti aderiranno al bio. Più opportunità anche per il bio nell'ambito della cooperazione e nelle iniziative Akis per la formazione e il sostegno all'informazione nell'ambito dell'agricoltura biologica.

 

Poi c'è il nodo del reddito e del mercato, il rallentamento delle conversioni, i prezzi che si collocano solitamente su livelli più alti rispetto a quelli dei prodotti convenzionali e il rischio in questa fase di un calo dei consumi rispetto alla fase del boom durante i lockdown. Ma queste sono altre storie e la Pac, su questo, non ha colpe.

 

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