Gli agricoltori statunitensi stanno guardando con molta attenzione al nascente mercato del carbon farming. Si tratta della possibilità di essere remunerati nel caso in cui si adottino pratiche volte a sequestrare nei terreni agricoli anidride carbonica, il principale gas ad effetto serra prodotto dall'uomo.

 

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Lo scorso anno alcuni agricoltori hanno incassato i primi assegni da piattaforme dedicate, che mettono in collegamento grandi aziende desiderose di compensare la propria impronta carbonica e agricoltori che hanno adottato pratiche di agricoltura conservativa.

 

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In poche parole industrie o società di servizi che vogliono avere un impatto climatico neutrale comprano dagli agricoltori, attraverso specifiche piattaforme, crediti di carbonio (i cosiddetti carbon credit) che rappresentano l'anidride carbonica immagazzinata nei suoli agricoli (tramite ad esempio l'agricoltura conservativa). In sintesi: io azienda emetto CO2 in atmosfera, ma pago un agricoltore per intercettarla e sequestrarla nel terreno.

 

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Carbon credit, il nodo del prezzo

Per capire se produrre carbon credit conviene occorre fare un passo indietro e guardare i numeri del mercato.

 

In Europa esistono due mercati ben distinti: quello volontario e quello Ets, Emission Trading Scheme. Sul primo vengono commercializzati crediti di carbonio prodotti da diverse fonti (agricoltura, riforestazione, programmi conservativi in Paesi in via di sviluppo) e vengono acquistati in maniera volontaria da aziende che, senza nessun obbligo di legge, decidono di compensare le proprie missioni. Questi crediti di carbonio hanno un prezzo variabile intorno ai 10-20 euro (un credito di carbonio equivale ad una tonnellata di CO2 sequestrata).

 

L'altro mercato, quello Ets, è invece obbligatorio ed è stato istituito dall'Unione Europea per spingere le industrie a ridurre le proprie missioni. Il meccanismo di gestione dei crediti di carbonio è alquanto complesso, ma sostanzialmente si riassume nell'equazione: se inquini paghi. I crediti di carbonio scambiati su questo mercato obbligatorio, a cui devono aderire ad esempio le industrie energivore, quota i crediti di carbonio intorno a 90-100 euro (anche con oscillazioni importanti nell'ultimo anno).

 

Ma un agricoltore quanti crediti di carbonio può sperare di produrre all'anno? E a quanto può venderli? Fare i calcoli non è affatto semplice in quanto la quantità di carbonio sequestrata all'interno di un terreno agricolo dipende dalle caratteristiche stesse del suolo, dal tipo di coltivazione, dall'area geografica in cui si opera e anche dal metodo di calcolo adottato. Possiamo però ipotizzare che 1 ettaro produca circa due crediti di carbonio all'anno.

 

L'agricoltore riuscirebbe quindi ad incassare poche decine di euro, che sicuramente da sole non riuscirebbero a coprire i costi affrontati per il passaggio all'agricoltura conservativa, che richiede attrezzature particolari e, almeno i primi anni, causa un calo della produttività del campo. Bisogna poi tenere in considerazione i costi della verifica dell'effettivo sequestro e le commissioni richieste dalle piattaforme di interscambio.

 

Il passaggio al mercato obbligatorio, un'opportunità

Secondo diversi analisti il prezzo di 100 Usd a credito sarebbe la cifra corretta per stimolare questo nascente mercato. Ma le aziende che operano nel mercato volontario sono disponibili a spendere queste cifre? Ad oggi è difficile pensare che volontariamente un'impresa decuplichi il proprio investimento per ridurre la propria impronta carbonica. Se guardiamo al prezzo dei crediti fissato internamente alle aziende stesse vediamo che i prezzi si girano attorno e 20-40 Usd a credito. Si tratta cioè del prezzo che l'azienda stessa attribuisce al proprio inquinamento.

 

Le cose potrebbero cambiare se, come sembra, anche l'agricoltura dovesse rientrare nel meccanismo europeo obbligatorio (Ets). In questo caso le quotazioni dei crediti sarebbero ben superiori, intorno ai 100 euro, e potrebbero spingere non pochi agricoltori a cambiare tipologia di gestione dei terreni agricoli. In quel caso le aziende energivore saranno obbligate ad acquistare i crediti di carbonio, ma a quale prezzo?

 

Se guardiamo le quotazioni dei carbon credit vediamo che negli ultimi anni sono andate crescendo costantemente e oggi hanno raggiunto quasi 100 euro. Ma appena un anno fa il prezzo era intorno ai 50 euro. L'ascesa è stata causata da specifiche politiche che hanno spinto le quotazioni al rialzo.

 

Ma se il sistema si aprisse anche all'agricoltura e sul mercato aumentassero i crediti disponibili, a quale prezzo si assesterebbero? Bisogna considerare l'ipotesi di ampliare l'elenco delle aziende obbligate a compensare le proprie emissioni?

 

Il ruolo della Commissione Europea

A tutte queste domande dovrebbe cercare di dare una risposta la Commissione Europea che lo scorso dicembre ha presentato una propria comunicazione per lo sviluppo del carbon farming in Europa. Si tratta di un documento abbastanza generico, che dovrebbe poi essere seguito da una proposta legislativa vera e propria nella seconda metà del 2022.

 

Nel testo dovranno essere affrontate tutte le tematiche oggi ancora aperte riguardo a questo settore: chi può produrre crediti di carbonio, in quali mercati saranno venduti, quale sarà la metodologia di calcolo e i vincoli a cui dovranno sottostare le aziende agricole.

 

L'obiettivo è quello di sequestrare in Europa 42 Mton CO2/anno, pari a 42 milioni di crediti di carbonio. Mentre a livello globale si stima che il carbonio sequestrabile sia pari a 570 Mton CO2. La sfida che dovrà affrontare Bruxelles sarà non solo quella di mettere in piedi un sistema di monitoraggio e controllo che funzioni, ma soprattutto fare in modo che sia economicamente sostenibile per tutti. Negli Usa invece, tutto (o quasi) è stato affidato alla libera iniziativa del mercato.