Mentre si moltiplicano nelle ultime settimane gli allarmi per la siccità invernale, al momento localizzata soprattutto nel Nord Italia e lungo la dorsale adriatica, il mondo delle colture irrigue e della zootecnia è preoccupato per una avversità di origine non naturale: l'applicazione dei nuovi parametri targati Ue sui limiti di prelievo idrico dei consorzi di bonifica e irrigazione, che hanno trasformato il vecchio Deflusso Minimo Vitale (Dmv) in Deflusso Ecologico (De), lascerà molta acqua in più nei fiumi, con conseguenze nefaste per le coltivazioni irrigue e l'ambiente rurale disegnato dai canali di bonifica e irrigazione.

Su tanto AgroNotizie ha sentito Adriano Battilani, segretario generale di Irrigants d'Europe, l'Associazione Europea tra gli Enti Irrigui, e consulente tecnico della direzione dell'Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi). Sul tema del Deflusso Ecologico l'Anbi ha da tempo lanciato l'allarme. Con questa intervista si cerca di capire più nel dettaglio le dimensioni del problema e le possibili soluzioni.

Dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore il Deflusso Ecologico nei fiumi italiani, nel quadro dell'applicazione della Direttiva Quadro sulle Acque dell'Unione Europea 2000/60/CE. Si tratta di un punto di arrivo di un processo molto lungo, durato 21 anni, durante i quali la legislazione si è evoluta - le Linee Guida che hanno codificato il Deflusso Ecologico sono del 2015 - le autorità di bacino hanno lavorato molto nel ciclo di programmazione conclusosi con il 2021, ma abbiamo perso delle occasioni?
"La prima occasione persa è stata quella della revisione della Direttiva Quadro. Le pressioni di alcune associazioni ambientaliste hanno evitato che si discutesse dell'adeguatezza della Norma rispetto ai cambiamenti climatici ed alle nuove pressioni sugli ecosistemi acquatici che non dipendono unicamente dai flussi in alveo. Questa è stata certo un'occasione persa per fare chiarezza e per trovare un punto di accordo tra i diversi attori che gestiscono ed utilizzano le risorse idriche, per anticipare e minimizzare quei conflitti che si prevedeva sarebbero insorti e che ora viviamo".

"Alcune autorità di bacino hanno avviato sperimentazioni per la determinazione del Deflusso Ecologico, la sintesi ad oggi è che molto resta da fare e che non è facile determinare in modo univoco e condiviso quale sia la soglia del Deflusso Ecologico da applicarsi ad un tratto di fiume. Anbi collabora con regioni ed autorità di bacino per giungere ad una metodologia condivisa per la determinazione del De e per il calcolo della portata che deve essere lasciata in alveo, ma ci vorrà più tempo di quanto originariamente previsto. Occorrono più monitoraggi e più dati, occorre più partecipazione degli utenti ed occorre sviluppare ed applicare quelle componenti ancora non disponibili quali la valutazione della resilienza degli ecosistemi e le analisi socioeconomiche. In particolare nel caso di corsi idrici altamente modificati, l'integrazione dell'analisi socioeconomica risulta determinante".

Leggendo il Decreto direttoriale del Ministero dell'Ambiente del febbraio 2017 che detta norme per ridefinire il Deflusso Minimo Vitale come Deflusso Ecologico balza chiaramente agli occhi che il Deflusso Ecologico - coerentemente con gli obiettivi sanciti dall'articolo 4 della Direttiva Quadro sulle Acque - non deve limitarsi a conservare i corpi idrici - naturali o modificati che siano - ma che è parte di una strategia di restauro ambientale dei fiumi, cosa entro certi limiti anche auspicabile, ma è possibile sviluppare questa azione senza mettere in discussione gli obiettivi di un prelievo come quello irriguo?
"Alcuni tra i primi risultati delle sperimentazioni eseguite in Italia e che Anbi ha potuto esaminare indicano valori di Deflusso Ecologico fino a tre volte maggiori del Dmv attuale, ed è il motivo per il quale abbiamo lanciato un allarme molto chiaro: in tempi brevi o brevissimi non si può certo abbattere il consumo d'acqua a scopo irriguo, perché occorrono investimenti importanti in infrastrutture e sul fronte delle misure di risparmio idrico, per i quali Anbi ha prodotto proposte molto concrete. Ovviamente nell'immediato l'effetto può essere solo quello di una frequente sospensione dell'accesso all'acqua per il comparto irriguo con effetti devastanti sulle coltivazioni, ma anche sull'ambiente, perché i canali di irrigazione verrebbero lasciati in molti casi con pochissima acqua e di scadente qualità. Saremo costretti a ricorrere più frequentemente alle deroghe".

"Una applicazione troppo stretta od addirittura non corretta del De porta ad una contraddizione in termini: per salvaguardare gli ecosistemi acquatici e ripari del fiume si depauperano o distruggono tutti gli ecosistemi del reticolo idraulico di bonifica, per definizione molto più estesi e diffusi. Se il Dmv veniva determinato sulla base di un mero calcolo idrologico, tale da lasciare una portata a valle dei prelievi, oggi con il De dobbiamo tenere conto di una serie di indici ed obiettivi ambientali che sono intesi a regolare questa portata in funzione delle esigenze di specie target - tipicamente la trota fario - od in alcuni casi di un complesso di macro e meso fauna fluviale".

"Il target ecologico influenza moltissimo il valore di portata residua in alveo ottimale o critico. Fermo restando che questo valore non debba essere considerato quello di Deflusso Ecologico ai sensi della Dqa. Per giungere a questo valore va considerata anche la resilienza degli ecosistemi, ovvero la loro capacità di adattarsi naturalmente a condizioni estreme per poi rapidamente ripristinare le popolazioni ai livelli precedenti la crisi. In alcuni casi è stata valutata una eccellente resilienza dopo due mesi di asciutta dell'alveo".

"Il ristoro ed il ripristino degli ecosistemi, deve passare per due fasi: la prima che richiede di definire quali siano le specie target dell'ecosistema fluviale che sia possibile preservare o reintegrare; la seconda che vede un'azione, anche dei consorzi di bonifica, per integrare soluzioni naturali ed opere di ingegneria naturalistica per garantire la massima resilienza ed il minimo disturbo delle popolazioni anche in fasi di crisi acuta. Nel primo caso si tratta di ammettere che il livello dell'acqua in alveo non è il solo fattore che determina il successo di una specie: la competizione con specie alloctone, il cambiamento che la temperatura dell'aria induce nei cicli della vegetazione e delle larve o degli insetti di cui, ad esempio, si nutrono gli avannotti di molte specie ittiche sono causa della loro scomparsa prima che il livello dell'acqua in fiume durante le secche estive. Inoltre, purtroppo, molti fiumi a carattere torrentizio stanno passando ad un regime effimero, che comporta periodi di totale asciutta, e questo modifica l'ecosistema od esclude la possibilità di ripristinare quello esistente in un periodo climatico antecedente a quello attuale".

E pensare che il De viene definito come il “volume d'acqua necessario affinché un ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi necessari”, possibile che una definizione così apparentemente benaugurate faccia tanto male?
"Anbi ritiene essenziale che i fiumi siano in buona salute e che continuino a fornire servizi ecosistemici, utili anche all'agricoltura irrigua di qualità. Non vogliamo però subire il De ma gestirlo in maniera dinamica seguendo l'evolversi dei cambiamenti climatici, sia in chiave adattativa che di mitigazione di lungo termine. I consorzi di bonifica sono capaci di progettare ed attuare opere di ingegneria verde che servano a garantire il prosperare degli ecosistemi minimizzando il conflitto tra usi ambientali e produttivi o civili. A fronte di obiettivi condivisi si potrà mettere in atto una strategia di governance che, ad esempio, trasformi tratti dei nostri canali in 'riserve' di biodiversità durante le fasi critiche per poi reinoculare in alveo quanto abbiamo protetto e magari incrementato nel canale, ripristinando così i livelli delle popolazioni ittiche o della mesofauna".

"Si possono immaginare aree di pooling, pozze, aree ombreggiate ed altro che conservino e ripristino biodiversità tutelandola nei momenti peggiori. Non si può e non si deve agire solo sulle portate, non si può ragionare solo su di un numero quando si è capaci di una gestione complessa. Vi sono movimenti ed organizzazioni che spingono per ripristinare l'idromorfologia fluviale eliminando ogni disturbo antropico. Anche questo non è realistico, molti territori italiani hanno visto prima la nascita delle infrastrutture idrauliche di bonifica e poi delle città, cresciute seguendo le vie d'acqua costruite per l'agricoltura. Vanno viceversa pensate opere multifunzionali, capaci di compensare con vantaggi superiori il disturbo che inevitabilmente arrecano".

Da quanto dice sembra di capire che la determinazione fisica di una portata d'acqua tale da consentire il raggiungimento di questi obiettivi e ascrivibile alla soluzione di un sistema di equazioni a più incognite. Fermo restando che la giurisprudenza comunitaria fa esplicito riferimento al fatto che gli obiettivi ambientali devono non solo essere raggiunti, ovviamente utilizzando anche altri strumenti rispetto alla quantità d'acqua da rilasciare a valle di una captazione, ma anche mantenuti nel tempo (così detto vincolo di durabilità), ritiene che sia possibile lavorare a modifiche sul Decreto che definisce i criteri per individuare il De in Italia?
"In realtà le Linee Guida per la determinazione del De stabiliscono una metodologia di base, criteri generali. Come questi possano essere declinati ed applicati a scala locale è materia che riguarda le autorità di bacino, le regioni ed i portatori di interesse. Quello che la Direzione Generale Ambiente a Bruxelles richiede sono solide giustificazioni alla base delle scelte operate localmente ed il rispetto dei principi ispiratori del complesso di norme che regolano la materia acque. Molto è quindi nelle nostre mani, e si sta facendo quanto possibile per trasformare questa emergenza in una opportunità per garantire acqua per l'ambiente e per l'agricoltura. In questa fase di transizione, che potrebbe durare alcuni anni, si deve discutere dell'adeguatezza degli obiettivi ambientali fissati molto tempo fa alla luce del rapido modificarsi dei regimi idrologici, della distribuzione delle piogge, delle temperature e della capacità di accumulo nel manto nevoso in quota. Tutti fattori che rischiano di mettere comunque fuori gioco gli ecosistemi che si erano consolidati prima dell'industrializzazione degli anni Cinquanta del secolo scorso, in un'altra situazione climatica".

"Anbi ha fatto suoi i principi dell'adattamento al cambiamento, e cerca di proporre una governance delle acque che garantisca il miglior ambiente possibile e la più alta sostenibilità degli usi nel contesto climatico futuro, non certo il sacrificio dell'agricoltura di eccellenza italiana in nome del recupero di ecosistemi che potrebbero rivelarsi non vitali nel mediolungo periodo indipendentemente dai prelievi agricoli. Inoltre, esistono necessità socioeconomiche che vanno debitamente considerate e certamente guidate verso una piena sostenibilità, ma non ignorate tout court. A questo punto, con poco tempo per adattarci, serve un lavoro duro e coordinato e la partecipazione proattiva e costruttiva di tutti i portatori di interesse e delle istituzioni. Anbi sta lavorando perché questo sia il percorso che seguiremo".