Il prezzo del grano duro fino, quello per produrre pasta, è ormai alle stelle, spinto dal crollo produttivo del Nord America, indotto prima dalla siccità ed ora acuito da grandinate e bombe d'acqua che minano quantità e qualità di quello rimasto da raccogliere. Ma il vero problema oggi è capire come si muoveranno le industrie molitoria e pastaria in questa fase di scarsità e come agirà il Ministero delle Politiche Agricole, che presto convocherà il tavolo di filiera grano pasta. Occorre sicuramente programmare a medio e lungo termine, dando anche un segnale immediato ai mercati. Cosa non facile, a causa dell'entità dei numeri in gioco, ma il momento - dominato dalla questione della sicurezza degli approvvigionamenti - esige decisioni rapide e sagge.
 

Italmopa, prezzi elevati avranno ripercussioni

Il 7 settembre scorso, sull'onda delle ultime quotazioni del grano duro, Silvio Grassi, presidente di Italmopa, l'Associazione Industriali Mugnai d'Italia (Confindustria e Federalimentare) con una nota stampa avverte che il rischio di una tempesta perfetta sul mercato del grano duro, stimata dall'associazione sin da luglio sulla base dalle significative flessioni produttive previste in alcuni paesi produttori ed esportatori, si è concretizzata e tra le concause mette anche il "basso livello delle scorte internazionali di grano duro".
E ancora: "Le nostre previsioni sono state confermate da un andamento senza precedenti dei mercati che hanno registrato, in due mesi, incrementi delle quotazioni della materia prima superiori al 65%" afferma Grassi.

Le quotazioni del frumento duro nazionale hanno così superato, su alcuni mercati, 500 euro alla tonnellata - rispetto ad una media di 250 euro alla tonnellata nel corso dell'ultimo quinquennio - mentre quelle del grano di importazione sfiorano ormai i 600 euro alla tonnellata, come ampiamente documentato da AgroNotizie.

"È importante sottolineare" precisa Grassi "che il costo della materia prima rappresenta mediamente oltre l'80% dei costi totali di produzione di un'azienda molitoria. È chiaro - e lo voglio evidenziare francamente - che variazioni delle condizioni di mercato di questa portata, unitamente all'incremento dei costi energetici e logistici, non potranno che avere un impatto sull'intera filiera e non solo sull'industria molitoria".

"In questo contesto" conclude Grassi "il tavolo di filiera frumento duro, la cui opportuna convocazione era stata anticipata dal sottosegretario Gianmarco Centinaio nel corso della nostra ultima assemblea generale, potrà, ed è questo il mio augurio, costituire un momento di confronto pragmatico sul superamento delle numerose criticità, da noi evidenziate ormai da più di due decenni, che contraddistinguono la filiera nazionale frumento duro, con il coinvolgimento attivo e responsabile di tutti gli attori che la compongono".
 

La dipendenza dal Canada dell'industria molitoria

In attesa del tavolo di filiera ministeriale, ecco cosa bisognerà affrontare, per tentare di uscire da una situazione che si mostra sempre più complessa. A spaventare gli operatori di mercato non è la mera riduzione di produzione prevista per il 2021-2022, ma soprattutto il contesto in cui è inserita, ovvero la diminuzione delle scorte, richiamata dal presidente di Italmopa, che ormai sono sempre meno di anno in anno. Secondo International Grains Council, le scorte mondiali di durum sono scese dai 10 milioni di tonnellate della campagna commerciale 2018-2019 a meno di 8 milioni della campagna 2020-2021.

Non solo, a fine campagna commerciale, in luglio, il Ministero per l'Agricoltura del Canada segnalava che le scorte di durum - pure in aumento del 2% - non superavano le 750mila tonnellate: briciole.
E il Dipartimento Federale per l'Agricoltura degli Usa, il 13 agosto scorso, definiva le scorte finali di campagna 2020-2021 di durum in meno di 572mila tonnellate. Dato che si parla dei due paesi maggiori produttori - con scorte complessive di un milione e 322mila tonnellate - e dove più facilmente si trova sul mercato grano duro di qualità pastificabile, va da sé che la questione della sicurezza degli approvvigionamenti è ormai drammaticamente sul tavolo. Soprattutto considerato che una forte riduzione della produzione in Nord America in vista della campagna commerciale 2021-2022, -39% in Canada e -50% negli Usa, non promette certo un'inversione di tendenza.

Solo teorie? Niente affatto: secondo quanto riportato ieri dalla Newsletter cereali di settembre 2021 di Borsa merci telematica italiana, "di grano duro extra Ue in avvio di campagna, tra il 1° luglio e il 6 settembre sono state importate poco più di 212mila tonnellate, il 57% in meno rispetto allo stesso periodo del 2020".

Lo squilibrio appare tanto più forte se si pensa che tutte le esportazioni di grano duro canadese del 2020-2021 sono state pari a 5,8 milioni di tonnellate, in crescita di 0,2 milioni sulla campagna precedente, e che il primo importatore è stato l'Italia, con 1,4 milioni di tonnellate, una quota di mercato del 24,13%.

Il grano duro fino di produzione italiana copre circa il 70% della domanda nazionale di molini e pastifici. E l'Italia - per continuare a produrre pasta e ad esportarla - seguita ad avere bisogno di circa 2 milioni di tonnellate di grano duro d'importazione all'anno, attualmente coperti per circa il 70% dal solo prodotto canadese.

Una dipendenza forte e i conti rischiano di non tornare per il forte elemento di scarsità del prodotto, che al momento non trova compensazione sul piano quantitativo, ma: "Tale scenario - sottolinea la Newsletter cereali di Bmti - ha provocato un balzo delle quotazioni canadesi e si è ripercosso sul mercato italiano, generando una maggiore domanda di prodotto nazionale." Ad aggravare la situazione si sommano i problemi di qualità del grano duro francese, colpito in pieno dalle alluvioni della scorsa estate in Europa.
 

È il momento di scegliere

I cambiamenti climatici in atto e le politiche di tassazione delle esportazioni di grano in vigore in Russia consigliano - a medio termine - di incrementare la produzione nazionale di grano duro con nuove e più forti politiche di settore e di ricercare al contempo tra i paesi produttori di grano duro dei partner affidabili e almeno parzialmente alternativi a quelli del Nord America: due strade percorribili, ma non certo facili. Non solo per motivi oggettivi, ma anche per i delicati equilibri geopolitici sottesi agli scambi commerciali tra Ue e Nord America.