Riscaldamento globale, sostenibilità, resilienza. Tutte parole chiave diffuse a man bassa dai media e oramai ben note al grande pubblico. L’informazione diventa poi marketing e certi comportamenti possono diventare virtuosi.
Parliamo, per esempio, del packaging sostenibile, ovvero dell’uso di bioplastiche (ottenute da materiali agricoli). Che l’uso delle bioplastiche avvenga per legge o per libera scelta di consumatori sempre più consapevoli appare oramai una tendenza certa, un possibile grande affare per l’industria e soprattutto per l’agricoltura.

Attenzione, però. La sostenibilità di un processo non è sempre assicurata. Ci spieghiamo meglio: se io utilizzo una bioplastica super ecologica ma prodotta a 10mila chilometri dal punto di consumo e magari ottenuta dopo aver disboscato una foresta pluviale, avrò un processo assolutamente insostenibile dal punto di vista ambientale ed ecologico.

In un recente studio dell’Università di Bonn (Resourses, conservation & reciclyng journal, 2021), i ricercatori hanno comparato 180 aree di produzione di biomateriali nel mondo. Il risultato è che la sostenibilità può essere elevata se le materie prime utilizzate per le bioplastiche sono coltivate in prossimità dei punti di produzione, confezionamento e consumo. Il pericolo è che la forte domanda di materiali sostenibili porti al disboscamento di nuove aree. Quello che è capitato per esempio per i biocarburanti. Il tedesco Nova institute (ancora Germania, notate) prevede per l'Unione europea un tasso di crescita del 7% dal 2019 al 2024 per i biopolimeri, il più elevato nel mondo.

L’Unione europea arriverà quindi a produrre il 31% di tutta la produzione globale, che oggi ammonta a ben 3,8 milioni di tonnellate. E parliamo solo dell'1% del volume di polimeri a base fossile: molta strada c’è ancora da fare.