Noi si guarda sempre il bicchiere mezzo pieno (e anche la storia). Lo sapevate che il paesaggio italiano, quello bello, famoso nel mondo da secoli – ed anche il Rinascimento – nascono da un'epidemia? Una delle epidemie più gravi della storia dell’umanità fu la peste che si diffuse in Europa a partire dal 1346 e che uccise circa un terzo della popolazione del continente. Gli storici negli ultimi decenni hanno studiato gli effetti del terribile morbo. Chi era sopravvissuto si trovò in un mondo diverso, con risorse e con equilibri economici differenti. Chi aveva ampliato la propria azienda agricola per effetto di eredità non trovava più i braccianti, nelle aziende artigiane di città mancavano gli operai. I salari furono aumentati e i poverini che potevano contare solo su qualche staio di grano si trovarono la disponibilità per acquistare carne, vino, formaggi. La domanda aumentò e si piantarono vigne e olivi. Si iniziò ad allevare bestiame.
Nacque la fattoria, base dell’agricoltura nel Bel Paese.
Qualcuno poi fece studiare i figli (o li mandò a bottega da grandi maestri) - e qui nacquero i grandi geni del Rinascimento.

Gli storici perdoneranno questa maldestra intrusione. L’excursus ci serve per ribadire un concetto già diverse volte espresso: pur in una situazione totalmente differente da quella accennata siamo tuttavia sempre in un momento iniziale di grande cambiamento per l’agricoltura e forse per l’economia tutta. Della tecnologizzazione, robotizzazione e digitalizzazione abbiam già parlato e parleremo poi. Dal punto di vista del paesaggio crediamo ci sia la possibilità di un ritorno al bello.

Noi ai quali è stato insegnato fin dalle prime classi dell’Istituto tecnico a utilizzare fin l’ultimo metro di terreno agricolo, sacrificando all'estrema meccanizzazione ogni siepe o alberello, capofosso e scolina. Noi che abbiamo appreso fin da subito che il nostro compito era stabilire dei record, impegnando tutti i fattori di produzione possibili.
Noi forse ci dovremo ricredere.
Forse.