Il tema della sostenibilità dell'agricoltura è al centro dell'agenda politica a Bruxelles. La nuova Pac, come anche il Green deal e la strategia From farm to fork, ha posto l'accento sugli effetti positivi e negativi che il settore primario ha nei confronti dell'ambiente.

In questo scenario complesso si inseriscono i carbon credits, certificati scambiabili sul mercato che possono essere visti come l'autorizzazione ad emettere in atmosfera gas ad effetto serra. Per capire come funziona il sistema dei crediti di carbonio e l'Emission trading system (Ets) consigliamo di leggere questo articolo. Mentre per capire come funziona il mercato volontario dei crediti, è possibile consultare quest'altro articolo.

Nel presente articolo invece vogliamo parlare del ruolo che la tecnologia e gli operatori finanziari giocano nello sviluppo del mercato dei crediti di carbonio.


La tecnologia al fianco della sostenibilità

Presupposto dell'entrata del settore agricolo nel mercato obbligatorio dei crediti di carbonio è la certificazione della reale quantità di CO2 che viene sequestrata o non emessa in atmosfera. E la tecnologia sembra essere l'unico strumento in grado di misurare in maniera oggettiva, ad esempio attraverso sensori e immagini satellitari, e certificare, magari tramite blockchain, i dati utili all'emissione dei carbon credits.

Per determinare le emissioni e i sequestri di carbonio oggi sono allo studio diverse piattaforme e modelli. Alcune corporation strutturate, come Bayer Crop Science, hanno iniziative in tal senso e anche alcune startup, come Cibo Technologies, stanno sviluppando sistemi per quantificare il sequestro di carbonio da parte delle attività agricole per convertirlo in carbon credits.

Interessante è anche l'esperienza di geoFootprint, un tool online appena lanciato che consente di visualizzare una mappa interattiva del mondo in termini di impatto ambientale delle colture agricole. L'obiettivo è quello di permettere alle aziende del settore di ridurre l'impatto ambientale della propria attività e adottare scelte consapevoli, a partire dai dati.

"geoFootprint permette di quantificare l'impatto ambientale in termini di CO2, ma non solo, di una attività agricola", spiega Simone Pedrazzini, direttore di Quantis Italia, società che ha lanciato la piattaforma. "Determinare la carbon footprint di una derrata è il primo passo per mettere in atto strategie di diminuzione dell'impatto ambientale e di compensazione, magari attraverso l'acquisto di carbon credits".

Ma se oggi i modelli per determinare l'impatto ambientale delle attività umane sono ben strutturati e condivisi, l'approccio nel valutare le attività di mitigazione è invece talvolta meno rigoroso. "L'atto di piantare un albero ha delle ricadute in termini di sequestro di carbonio che dipendono dalla specie, dall'areale, dal ciclo di vita e da altre variabili. Soprattutto bisogna considerare il lasso temporale dell'attività e la destinazione ultima della biomassa", sottolinea Pedrazzini. Piantare un albero per poi tagliarlo dopo pochi anni ha un impatto ambientale limitato, nullo se poi quell'albero viene ad esempio bruciato.

"Il rischio è che le attività di alcuni soggetti scadano nel greenwashing. Per questo è importante che le imprese che vogliono mitigare il proprio impatto ambientale facciano tutto il possibile per ridurre le emissioni a monte e ricorrano alla compensazione solo per quella quota di emissioni che è incomprimibile".

Lanciata dalla società di consulenza Quantis, geoFootprint è stata sviluppata in collaborazione con più di venticinque partner pubblici, privati e accademici con l'obiettivo di accelerare, attraverso l'innovazione, la trasformazione dell'agricoltura nella direzione della sostenibilità. Se geoFootprint ha ottenuto finanziamenti dall'Ue tramite EIT Climate-KIC, c'è un altro progetto finanziato dall'Unione (programma Life) che opera in questo campo. Si tratta di Life Dicet che ha invece come obiettivo quello di sviluppare una cooperazione e integrazione tra il mercato europeo dei crediti di carbonio e quello delle economie più sviluppate, dalla Svizzera alla Cina, passando dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda.

È chiaro dunque che da parte dell'Unione europea ci sia la forte volontà di sostenere i carbon credits come strumento per premiare chi adotta comportamenti virtuosi e invece rendere la vita difficile e costosa a chi continua ad inquinare.


Il ruolo della speculazione

Abbiamo visto dunque che nel mercato obbligatorio chi inquina deve acquistare crediti di carbonio che sono assegnati in numero ogni anno minore dall'Unione europea. Ma in questa compravendita di titoli gli operatori finanziari hanno fiutano l'affare e anche gli speculatori sono scesi in campo. Ha fatto notizia ad esempio che il futures sui carbon credits (leggi questo articolo per capire che cosa sono i futures) per dicembre ha sfiorato i 40 euro (erano venduti a 4 euro nel 2017).

Le aziende che dunque oggi vogliono assicurarsi per coprire le emissioni del 2021 devono aprire il portafogli e sottoporsi ad un vero salasso. La spirale rialzista è causata da investitori finanziari che hanno fiutato nel mercato dei carbon credits un buon affare. E visto l'eccesso di liquidità sul mercato e la difficoltà a fare soldi con i business tradizionali, anche quelli meno convenzionali ora sono nell'occhio della speculazione.

Da novembre a fine gennaio i crediti dell'Emission trading system hanno visto aumentare i prezzi di quasi il 70% e alcuni analisti prevedono che entro il 2021 il prezzo dei CC arriverà a quota 100 euro, sospinto dalla volontà di Bruxelles di tagliare del 55% le emissioni di gas climalteranti dell'Unione entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990).

Nel 2020, nonostante il settore produttivo europeo abbia frenato a causa della pandemia, gli scambi globali dei diritti sono aumentati del 20%, raggiungendo 229 miliardi di euro in valore, il 90% dei quali scambiati in Europa. Ad investire e scommettere su una tendenza rialzista non sono solo i fondi speculativi, ma anche i piccoli trader, le aziende, i fondi pensioni e le banche. E anche l'Unione, attraverso il Market stability reserve (Msr) sta soffiando sul fuoco rialzista.

Che cosa significa questo per gli agricoltori? Se l'Unione europea emetterà crediti di carbonio per 'ripagarli' degli sforzi in favore del clima anche le aziende agricole potranno entrare nel mercato dei carbon credits. E con quotazioni vicine ai 100 euro a tonnellata di CO2 sequestrare carbonio diventerebbe più redditizio di coltivare colture come ad esempio il frumento.

Ma attenzione, perché da parte degli agricoltori ci deve essere coscienza del tema e un ruolo pro-attivo per evitare di essere fagocitati da un sistema di dimensioni colossali in cui ci sono in gioco interessi per miliardi di euro. Sarebbe auspicabile ad esempio che non sia il singolo agricoltore a vendere i CC sul mercato, ma che all'orizzonte si prefigurino soggetti in grado di mettere insieme le aziende agricole per porsi sul mercato con una voce sola.