La maggior parte delle economie globali concorda che si debba andare verso una riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera per frenare il surriscaldamento globale e il cambiamento del clima. L'Unione europea, sulla scia degli accordi di Parigi, ha adottato una ambiziosa politica, il Green deal, che pone come obiettivo quello della carbon neutrality del vecchio continente entro il 2050.

Significa che fra trenta anni dalle auto, dalle industrie e dagli impianti di riscaldamento non dovrà più uscire anidride carbonica. E se non sarà possibile ridurla a zero dovranno essere messe in pratica delle azioni per 'sequestrarla' lontano dall'atmosfera, dove non può fare danni.

Per farlo sono stati messi in campo diversi strumenti, come ad esempio i crediti di carbonio. Per sintetizzare sono dei crediti, scambiabili su specifici mercati come delle azioni, che 'autorizzano' ad emettere in atmosfera CO2 o altri gas ad effetto serra. L'idea è quella di far pagare chi inquina (industrie e compagnie aeree in primis) e spingerle ad adottare pratiche e tecnologie meno impattanti dal punto di vista ambientale.
 


I carbon credits e l'agricoltura

In questo contesto gli agricoltori giocano su due campi. Da un lato infatti alcune attività produttive (in particolare la zootecnia) contribuiscono negativamente al bilancio del carbonio. Dall'altro alcune pratiche, come l'agricoltura conservativa o la silvicoltura, sequestrando anidride carbonica nel suolo o nella biomassa vegetale, contribuiscono a sottrarre CO2 dall'atmosfera.

Partendo da questo principio è stato definito nell'ambito delle attività della Rete rurale nazionale un meccanismo volontario di riduzione e compensazione delle emissioni zootecniche a livello di distretto agro-zootecnico-forestale. Un meccanismo che ha come obiettivo ridurre o compensare le emissioni zootecniche generate in un distretto, attraverso l'implementazione di attività sostenibili in grado di ottenere una riduzione delle emissioni o un incremento dell'assorbimento del carbonio.

L'allevamento è responsabile, a livello nazionale, del 76% delle emissioni di gas climalteranti dell'intera agricoltura (che pesa per il 7,1% sulle emissioni complessive italiane). Ma gli impatti negativi generati dalla produzione zootecnica in un determinato territorio possono essere ridotti e compensati attraverso attività di riduzione e assorbimento di gas climalteranti realizzate in prossimità della fonte emissiva.

Per attività di riduzione si intendono ad esempio il miglioramento della dieta dei ruminanti o una più efficiente gestione delle deiezioni. Mentre le attività di sequestro di CO2 possono prevedere la diminuzione delle lavorazioni del terreno agricolo o il mantenimento di coperture erbose nelle colture permanenti.

Tabella delle attività

In altre parole chi sequestra carbonio genera dei crediti che può vendere (con un ritorno economico tangibile) a chi invece emette gas climalteranti. Chi inquina deve mettere in atto delle azioni di riduzione delle emissioni e può coprire le restanti attraverso l'acquisto di crediti. La sua carbon neutrality diventa così un elemento da valorizzare, ad esempio in termini di comunicazione al consumatore. In questo modo si crea un mercato locale, simile a quello europeo degli Ets (Emission trading system), che incentiva pratiche virtuose.

In questo modo in un distretto a vocazione agricolo-forestale-zootecnica le attività dei singoli soggetti si compensano le une con le altre con l'obiettivo finale di avere un livello di emissioni globale pari a zero.

Il meccanismo è a partecipazione volontaria ma soggetto a controlli che dovrebbero essere messi in atto dall'ente gestore, ad esempio la regione, in modo che sia garantita la massima trasparenza e credibilità.

Se per gli agricoltori che generano crediti di carbonio la motivazione di adesione al meccanismo è ben comprensibile (il guadagno dalla vendita dei crediti), per le aziende zootecniche la motivazione è più sfumata. Solo chi vende direttamente al pubblico può infatti giocarsi la carta del carbon neutral in ottica di marketing, mentre chi vende ad altri soggetti della filiera (ingrassatori, macelli, caseifici, etc.) potrà avere un ritorno solo se chi compra riconoscerà una premialità.

Target di mitigazione


Crediti volontari e non

Oggi esistono di fatto due mercati per i crediti di carbonio. Quello di derivazione istituzionale (in Europa il mercato Ets) e quello volontario. Il primo è obbligatorio per le aziende che ne fanno parte (in Europa sono circa 11mila) ed è soggetto alla regolamentazione statale ed europea. È il mercato a cui le grandi industrie inquinanti devono rivolgersi per ottenere i crediti di cui hanno bisogno.

C'è poi un mercato volontario sostenuto dalla domanda di sostenibilità delle imprese che volontariamente acquistano crediti di carbonio per compensare le proprie emissioni (carbon offsetting) e dimostrare ai propri clienti la propria coscienza ambientale. In questo frangente si inserisce il progetto della Rete rurale nazionale, ma vede molte altre realtà già avviate, soprattutto all'estero.

Ad esempio chi lavora nella cooperazione ha intuito il potenziale dei carbon credits come volano per lo sviluppo dei paesi poveri, dove la natura è spesso sacrificata sulla strada dello sviluppo. Sono paesi che potrebbero quindi sfruttare il proprio potenziale di sequestro di carbonio e attirare flussi finanziari dai paesi a maggiore industrializzazione.

Un esempio è Madaprojects, una startup che si occupa proprio di supportare chi gestisce programmi di cooperazione per sviluppare progetti di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo.

"La nostra esperienza nasce con Aid4Mada Onlus, una Ong che si occupa di realizzare infrastrutture idriche, principalmente pozzi, nella zona di Toliara, nel Sud del Madagascar", racconta Massimo Lazzari, consigliere di Aid4Mada Onlus e fondatore di Madaprojects.

"Oggi le popolazioni locali non hanno accesso all'acqua potabile e quella che riescono a recuperare deve essere bollita prima del consumo. E per bollirla viene usato il carbone, prodotto dal legname tagliato nella foresta. Le comunità che invece hanno a disposizione un pozzo non hanno bisogno di far bollire l'acqua e dunque non bruciano carbone".

Con la costruzione di pozzi si evita dunque che si bruci carbone, con ricadute positive per il clima. Le mancate emissioni in termini di CO2 sono misurate e certificate da The gold standard, l'associazione per la certificazione dei crediti di carbonio volontari. Crediti che poi vengono venduti attraverso la società CarbonSink a quelle aziende che vogliono mitigare la propria impronta ambientale.


Il ruolo degli agricoltori

Per ora il mercato obbligatorio e quello volontario rimangono ben distinti e una azienda energivora europea soggetta all'Ets non può mitigare la propria carbon footprint acquistando crediti al di fuori del mercato riconosciuto dall'Unione. La tenenza tuttavia è quella di far convergere le due realtà.

Probabilmente i crediti generati al di fuori dell'Unione avranno un riconoscimento tardivo, in quanto difficili da certificare, mentre la possibilità che l'agricoltura europea possa ricadere in questo meccanismo sembra a portata di mano. Con la messa a terra del Green deal sarebbe possibile che all'agricoltore che mette in atto best practice per il sequestro del carbonio vengano riconosciuti dei crediti da rivendere sul mercato. Con un guadagno complementare che potrebbe fare la differenza nel bilancio aziendale.

In questo meccanismo ci sono due elementi da tenere in considerazione: la speculazione e la tecnologia. Ma questi temi saranno oggetto del prossimo articolo.