La produzione di birra come attività connessa all'agricoltura può diventare una buona occasione di reddito, a condizione che si sia in grado, come agricoltori, anche di promuovere il proprio marchio di agribirra, almeno fra le attività e negozi di prossimità.

La possibilità di lavorare come birrificio agricolo annesso all'azienda è relativamente recente. Nel 2010, il decreto ministeriale 212 ha inserito birra e malto fra le attività agricole connesse (possibilità confermata poi con il dm 13 febbraio 2015), con conseguente applicazione della fiscalità relativa. Fondamentale, per poter essere classificato birrificio agricolo, è però che il 51% della materia prima provenga proprio dalla stessa azienda agricola. Per produrre birra servono acqua, lievito, malto e luppolo. Considerato che, in proporzione, la quantità di luppolo da inserire in ricetta è veramente una percentuale minima, i birrifici agricoli devono necessariamente produrre anche orzo distico o frumento mentre, teoricamente, non è necessario che producano luppolo.

Ad oggi, secondo dati forniti da Assobirra, i birrifici agricoli in Italia sono stimati in 126. Secondo quanto comunicato dalla Coldiretti l'anno scorso, in occasione della presentazione del logo 'Artigianale da Filiera Italiana' del Consorzio birra italiana, i birrifici agricoli producono circa un terzo dei 5 milioni e 500mila ettolitri di birra prodotta da birrifici artigianali in Italia, pari a circa 1 milione e 800mila ettolitri.
   
Quanto è difficile però costruire un proprio marchio di birra e quali le difficoltà che si incontrano? Per scoprirlo abbiamo intervistato i titolari di tre birrifici agricoli che, in particolare, oltre a coltivare orzo, hanno anche deciso di impiantare un luppoleto.

Enrico Treccani, trentacinque anni, è il titolare dell'agribirrificio Luppolajo, in provincia di Mantova. Produce tre linee di birra e da quest'anno anche una birra in lattina, utilizzando materia prima che proviene dall'azienda di famiglia, i Treccani sono agricoltori da quattro generazioni e coltivano 27 ettari in totale. Oltre a orzo e frumento, per la produzione delle sue birre, Treccani coltiva 400 metri quadrati di luppolo. Ha sempre avuto grande passione per la birra e nel 2010, con la possibilità introdotta dal dm 212, ha deciso di aprire il proprio piccolo birrificio.

"Vendiamo all'Horeca fondamentalmente" ci ha raccontato. "Il giro è molto locale, agriturismi, ristoranti, pub specializzati in birre artigianali. Per promuoverci abbiamo frequentato moltissime fiere di settore, mercatini, eventi e ora abbiamo anche un distributore per le nostre birre. Nel 2019 abbiamo prodotto 100mila litri di birra, la materia prima è come minimo al 90% di produzione interna. Alcuni luppoli, per determinati aromi, devi per forza comprarli fuori. Aprire un agribirrificio non è un investimento da poco, quello che pesa soprattutto è l'impianto. Vanno messi in conto almeno 250mila euro. Per quanto riguarda il luppolo, ci piace poter dire che utilizziamo il nostro luppolo ma coltivarlo non è semplice, soprattutto perché mancano principi attivi per combattere le avversità".
 
E' 100% a materia prima prodotta all'interno dell'azienda agricola, in regime biologico, la birra della Cascina Motta che si trova in provincia di Alessandria. "Coltiviamo tre varietà di orzo da birra - ha raccontato Massimo Prandi, titolare del birrificio contadino - varietà americane e tedesche di luppolo mentre è in corso una selezione di luppoli autoctoni. Coltiviamo inoltre frumento, mais, segale, oltre a coriandolo e zucche per gli aromi. Siamo partiti con il nostro marchio nel 2018 ma, in realtà, già dal 2016 lavoravamo per la produzione di birra in contoterzi, per altre aziende agricole, e continuiamo ancora oggi anche su quella strada".

La Cascina Motta ha scelto di dotarsi anche di una malteria artigianale in modo che la materia prima dell'azienda non debba essere inviata a terzi per la lavorazione. Per quanto riguarda la vendita: "Nella maggior parte dei casi - ha detto ancora Prandi - vendiamo a distributori. Il nostro mercato di riferimento è quello della ristorazione e dei pub specializzati". E l'impianto di luppolo? "Abbiamo 6mila metri quadrati, lo scorso anno hanno prodotto 600 chilogrammi di coni di luppolo secchi. La gestione richiede un'attenzione particolare all'irrigazione, abbiamo un impianto a goccia e mai distribuiamo più di 3 litri di acqua a pianta al giorno, in questo modo cerchiamo di evitare la formazione di muffe e funghi, di difficile gestione per via della mancanza di principi attivi. Delicatissima poi è la fase di raccolta ed essiccazione, bisogna avere un impianto di essiccazione in modo da riuscire a stabilizzare il prodotto nel giro di pochissime ore. Noi usiamo la malteria per essiccare". Ovviamente il caso di Cascina Motta richiede investimenti ancora maggiori, considerata la malteria: "Stiamo parlando di qualche milione di euro", ha concluso Massimo Prandi.
 

La Morosina si trova a Sud di Milano, nel Parco agricolo. Filippo Ghidoni, figlio e nipote di agricoltori, dal 2012, all'età di ventitré anni, ha preso in mano la cascina di famiglia con l'idea di imprimere la svolta che permettesse all'azienda di continuare a vivere d'agricoltura. "Con la crisi del 2009 - ha raccontato proprio Ghidoni - ci siamo resi conto che non era più possibile continuare a coltivare riso e mais perché il ricavato della vendita non copriva neanche i costi. La filiera della birra sembrava interessante, abbiamo un pozzo nostro per l'acqua, potevamo poi convertire le colture, in modo da avere tutti gli ingredienti necessari. Siamo partiti ragionando proprio sui nostri prodotti per capire che ricetta di birra si potesse fare. Oggi produciamo orzo, luppolo e frumento, interamente dedicati alla produzione di birra. Produciamo anche orticole per la vendita diretta su un'estensione totale dell'azienda agricola che è di 13 ettari. In realtà la filiera della birra vale l'80% del nostro fatturato. Il resto è diviso fra attività dell'agriturismo e le orticole".

Cascina Morosina produce quattro birre a marchio che vende soprattutto a ristoranti e negozietti specializzati e poi una linea di birre per la Gdo, la Ticinensis. Non deve essere stato facile imparare a promuovere e vendere la propria birra in un momento in cui i birrifici agricoli stavano appena nascendo: "Abbiamo iniziato con un piccolo impianto" ha spiegato Filippo Ghidoni. "Era dentro all'agriturismo e lì avevamo la mescita, nessun confezionamento. Tutta la birra era venduta direttamente all'agriturismo. Poi hanno iniziato a contattarci dalla Gdo e abbiamo iniziato a crederci, cominciando a frequentare le fiere specializzate. Oggi riforniamo diverse insegne di supermercati e abbiamo dovuto investire in un impianto di produzione di birra che fosse in grado di soddisfare la domanda. Dal 2016 abbiamo come socio un mastro birraio".

Un consiglio a chi volesse provarci? "Iniziare piano" è stata la risposta di Filippo Ghidoni. "Il nostro primo impianto era molto modesto, per il nuovo impianto invece abbiamo dovuto investire circa 700mila euro. Fra l'altro per la  birra non c'è alcuna possibilità di accedere ai Psr. Bisogna fare un passo alla volta, capire se funziona. Con un investimento di circa 80mila euro si può fare un test, come abbiamo fatto noi: birra solo alla mescita al proprio agriturismo".
 

E' ancora una coltura di nicchia e tutta da esplorare, ma sembra essere molto interessante.
Il viaggio di AgroNotizie nella filiera del luppolo tra opportunità e criticità.
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