Il 2020 è giunto a metà ed i Programmi di sviluppo rurale affidati alle regioni italiane per il 2014- 2020 avranno tempo fino al 31 dicembre 2025 per rendicontare a Bruxelles quanto resta da spendere: oltre il 53% di quei quasi 21 miliardi di euro in dotazione, tra quota nazionale e Fondo europeo per lo sviluppo rurale, incluso il Programma di sviluppo rurale a regia nazionale.
Il nuovo termine del 31 dicembre 2025 è frutto dei regolamenti transitori sul rinvio della riforma della Pac al 31 dicembre 2022, votati lo scorso aprile dall'Europarlamento.

Ma l'emergenza Covid-19 ha posto in luce un elemento forte: in un Paese come l'Italia i fondi a disposizione per aiutare gli investimenti in agricoltura e nelle filiere agroindustriali non sono sufficienti rispetto alla domanda che il settore esprime. Una valutazione solo a prima vista contraddetta dalla lentezza con la quale si procede nella spesa dei Psr, giunti – al 30 aprile scorso, ultimo dato reso pubblico da Rete rurale nazionale - ad un avanzamento del 46,30%.

E non a caso, in questi ultimi giorni, AgroNotizie ha documentato come la ministra alle politiche Agricole, Teresa Bellanova, sia ben consapevole della questione: avendo fatto esplicita richiesta di risorse aggiuntive piuttosto copiose e su tre voci di spesa importanti: il Piano acqua (8,5 miliardi di euro), i contratti di filiera e di distretto (350 milioni) e lo stesso bando sui distretti del cibo. Le prime due richieste sono state espressamente formulate sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020- dotazione 64 miliardi e con ampio margine di mancato utilizzo - e rivolte al ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano.

Intanto, la debolezza dei Psr è data anche dal fatto che non cofinanziano solo gli investimenti e non solo quelli per la competitività delle aziende agricole: tolti i pagamenti agroambientali, le misure a capo e superficie, le indennità compensative e dei villaggi rurali, non resta poi tantissimo. La lentezza della spesa per altro è spesso dovuta a motivi burocratici.

Altro elemento: la recente introduzione da parte della Ue della misura straordinaria dei Psr per il soccorso alle imprese agricole ed alle Pmi danneggiate dall'emergenza Covid-19, con il contributo a forfait – che per l'Italia vale circa 420 milioni di euro – finirà, a parità di budget, per sottrarre fatalmente risorse agli investimenti, atteso che non è possibile tagliare sui fondi destinati alle misure di accompagnamento.

Altro tassello di questo complicato puzzle: la nuova programmazione 2020-2027. Si allontana in termini normativi e toccherà gestirla in una prima fase – nelle more dell'approvazione del budget e della riforma della Pac – con la vecchia normativa e a importi annuali fissi prestabiliti, derivabili dai regolamenti vigenti. Ma la domanda che in molti si pongono è: cosa avverrà dopo il 2022, una volta che sarà approvata la riforma? Come verranno ricalcolati i fondi europei e nazionali a disposizione degli investimenti in agricoltura? Un rebus tutto politico, che sarà sciolto necessariamente più avanti a Bruxelles e che impone ad un settore che ha bisogno di programmare a medio termine di navigare a vista.

Infine, c'è poi anche il magro bilancio del ministero alle Politiche agricole e forestali, che per pagare tutte le spese, correnti e di investimento, dispone di poco più di un miliardo di euro all'anno – per bilancio di cassa - da qui al 2021 e poi, stando alla legge di bilancio vigente, poco meno di 900 milioni nel 2022. E in tale contesto, anche solo pensare di raschiare il fondo del barile, dati i costi del personale, sarebbe opera vana.

Ma le esigenze di ammodernamento struttura del settore agricolo vanno ben oltre le attese, e sono ormai manifeste. E' pertanto del tutto plausibile che la ministra Bellanova insisterà non poco nelle prossime settimane per ottenere le risorse del Fondo sviluppo e coesione – che peraltro corrono seri rischi di inutilizzo, soprattutto da parte delle Regioni, che ne sono tra le principali beneficiarie per altri settori d'intervento.

Perché sostenere i programmi su acqua e filiere agroindustriali è vitale e l'ottica di finanziamento plurifondo degli investimenti in agricoltura è contemplata dai regolamenti comunitari. Mentre invece i soldi del Fsc, se inutilizzati, rischiano di ridurre la capacità di investimento della spesa pubblica su base di lungo periodo. Elemento che non ne rende velocissima la spesa: non dotati di cofinanziamento comunitario, non sono a rischio disimpegno automatico.

Per gli investimenti in agricoltura il Fsc dispone attualmente di una provvista in buona parte già impegnata, che ingloba soprattutto i 300 milioni riservati per la Xylella fastidiosa in Puglia. Altri sotto piani, ormai agli sgoccioli, e che potrebbero essere rifinanziati, riguardano:
  • contratti di filiera e contratti di distretto;
  • interventi nel campo delle infrastrutture irrigue, bonifica idraulica e bacini di accumulo;
  • multifunzionalità della foresta;
  • agricoltura 2.0.
E nulla vieta che se ne possano aggiungere di altri, con una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

Il Fsc ha la versatilità, per quanto riguarda le infrastrutture irrigue e di bonifica, di poter essere attinto anche dal ministero ai Lavori pubblici. Ha l'apparente ingombrante vincolo della riserva dell'80% delle risorse destinate al Mezzogiorno. Ma in realtà, visti i più elevati coefficienti di cofinanziamento delle regioni in ritardo di sviluppo, si rivela invece come strumento appropriato. Tutti motivi per i quali, la maratona per recuperarne parte per gli investimenti in agricoltura è sicuramente solo appena iniziata.

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