"Sulle commodity qualche rialzo di prezzo c'è stato, ma guardando i future non mi aspetto un eccesso di volatilità. Niente montagne russe. Bisognerà vedere, naturalmente, come evolve lo scenario complessivo per avere un orizzonte più ampio, ma ad oggi i raccolti sono stimati in crescita, i livelli di stock sono in sicurezza, per cui prevedo senz'altro qualche tentativo di speculazione sulle commodity agricole da parte dei titoli finanziari, ma senza grande successo. Ritengo che si ritornerà alla normalità, compatibilmente con l'andamento della pandemia, con la seconda metà del 2020 o con i primi mesi del 2021".

Questa la sintesi ad AgroNotizie di Dario Casati, emerito di Economia agraria e già prorettore dell'Università di Milano, sul tema dei prezzi delle commodity in tempi di Covid-19. Casati, come primo elemento di analisi, richiama l'attenzione "sulle varie dinamiche che hanno colpito i prezzi al consumo e all'origine, così come il mercato interno e internazionale". Con una precisazione doverosa, utile per richiamare alla prudenza nelle previsioni, "dal momento che siamo di fronte a una crisi antichissima, ma del tutto nuova nella sua articolazione, che impone dunque di essere molto cauti, per non prendere abbagli". Il ritmo della danza, in effetti, lo sta dettando il coronavirus, per cui - purtroppo - tutto può essere.

Dario Casati, da dove partiamo?
"Dai picchi dei consumi, che in molti non avevano previsto. Abbiamo tutti in mente l'assalto ai supermercati, i carrelli della spesa pieni di pasta e di conserve di pomodoro, di uova, latte a lunga conservazione, lievito e farina di grano tenero. Questo ha fatto schizzare in alto i prezzi di alcuni beni alimentari. Come ad esempio il riso, trascinato proprio dai consumi. A ben vedere la corsa ad accaparrarsi alcuni generi alimentari, come se fossimo alle prese con una guerra, ha delle logiche riconducibili agli istinti primordiali di difesa, che vengono scatenati dal nostro cervello. È accaduto in Italia, ma anche in Francia, Germania, negli Stati Uniti".

Questo ha innescato la fiammata dei consumi.
"Sì. Si è verificato un picco dei consumi intorno alla tredicesima settimana, per poi ridimensionarsi. I dati Nielsen relativi alla prima settimana di aprile hanno evidenziato un incremento del 2,2% della spesa alimentare rispetto allo stesso periodo del 2019, con un orientamento a comprare nei supermercati e nei negozi di prossimità, oltre a un'accelerazione dell'e-commerce".

Come evolverà la situazione?
"Difficile prevederlo. Tutto è legato all'andamento del coronavirus e alla sua diffusione e alle dinamiche di contenimento. Credo che le vendite si normalizzeranno e avremo alcuni alti e bassi legati ai comportamenti dei consumatori. Bisognerà comunque essere molto prudenti sulle riaperture. Il distanziamento sociale sta funzionando e pare sia l'unica forma efficace di prevenzione, una corsa alla normalità potrebbe mettere a repentaglio gli sforzi fatti finora".

Che cosa sta accadendo, invece, sui mercati internazionali?
"Sono aumentati i prezzi dei cereali, ma non di molto. Siamo nell'ordine del +5/+10%, con una disponibilità di prodotto che non dovrebbe impensierire e, dunque, non dovrebbero verificarsi forti scossoni sui listini. Non credo vi saranno problemi per mais o soia, quest'ultima strettamente connessa alle rotte fra Brasile, Stati Uniti e Cina, i primi due paesi primi produttori a livello mondiale e Pechino primo importatore".

Alcuni Stati stanno predisponendo o hanno predisposto politiche protezionistiche per frenare gli scambi. Pensa possa costituire un pericolo?
"Potrebbe verificarsi in qualche frangente una momentanea carenza di prodotto, ma non di portata tale da generare panico sui mercati. Gli stock sono più che in sicurezza e i raccolti di cereali nei due emisferi avvengono a circa sei mesi di distanza gli uni dagli altri. Semmai, con il blocco degli scambi e la chiusura delle frontiere, qualcuno potrebbe orientare sulle commodity agricole gli investimenti finanziari, dal momento che il prezzo attuale del petrolio non garantisce alcuna soddisfazione economica. Bisognerà anche vedere quali saranno gli effetti dell'accordo tra i paesi produttori di greggio, ma potremmo in ogni caso mantenerci lontano dalla soglia minima dei 50 dollari al barile, oltre la quale cominciano a diventare interessanti politiche di sostegno all'energia rinnovabile. Alcune manovre finanziarie sui cereali erano già capitate nel periodo 2007-2009, in piena crisi economica, ricordo".

Come finì?
"Non furono solamente manovre speculative, ma anche di politica economica, purtroppo in molti casi si rivelarono errate. Molti paesi sbagliarono l'interpretazione della crisi e intervennero con provvedimenti di politica agraria. Solo nel primo semestre del 2008, il 72% degli interventi di politica economica riguardarono interventi sull'agricoltura. In alcuni casi vennero assunte posizioni alquanto singolari. Ad esempio, l'India proibì per legge le contrattazioni dei futures, ascoltando la posizione di uno dei partiti di coalizione del Governo, secondo cui i future erano visti come strumenti di speculazione. Una decisione senza alcun fondamento economico, ma che chiaramente serviva per tenere insieme i partiti dell'esecutivo".

Anche nel caso del coronavirus alcuni paesi come la Russia, il Kazakistan o il Vietnam hanno assunto posizioni protezionistiche. Come le giudica?
"Solitamente le politiche protezionistiche non sortiscono grande efficacia nel lungo periodo e sono pericolose in particolare per i paesi che soffrono la fame, dove il problema non è tanto la disponibilità, quanto l'accessibilità. Complessivamente la domanda cresce e la produzione rimane sempre al di sopra della domanda. Semmai, ci sarà il problema della mancanza di manodopera per la raccolta dei prodotti. Lo vediamo anche in Italia".

Un altro aspetto che il Covid-19 ha messo in luce riguarda la sovranità alimentare.
"Sì. Gli inviti a mangiare solo italiano, a mio parere, dimenticano che anche noi dobbiamo esportare i nostri cibi e che non abbiamo in molti settori l'autosufficienza alimentare. Siamo un paese trasformatore e viviamo anche di export agroalimentare. Il sovranismo a tavola non è particolarmente lungimirante, così come pensare che l'agricoltura salverà l'Italia, visto che rappresenta il 2% del Pil".

In Italia abbiamo anche problemi di rese per ettaro, se ci soffermiamo sulle commodity. Sono ferme da venti anni. Come potremmo migliorarle?
"Servono idee chiare, innanzitutto. E sarebbe ora di accelerare su tre assi: ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico. Noi abbiamo la ricerca, poco sviluppo e pochissimo trasferimento tecnologico. Poi, bisogna ridurre la burocrazia generale, perché fare agricoltura oggi è diventato un percorso a ostacoli".