Nella quasi totalità delle aziende agricole moderne si utilizzano in campo semi appartenenti ad una singola varietà che viene selezionata dalle aziende sementiere per le sue peculiarità: come la produttività, le caratteristiche del prodotto che genera, la resistenza alle malattie o agli stress abiotici. Il materiale genetico in un campo di grano, come di riso o di mais, o in un frutteto è perciò uniforme.

Accanto a questo approccio all'agricoltura ce ne è un altro, assai di nicchia, che propugna l'utilizzo di miscugli contenenti varietà diverse. Uno dei padri di questo approccio è Salvatore Ceccarelli, già professore della Facoltà di Agraria dell'Università di Perugia, e oggi attivo nel diffondere i concetti di 'popolazione evolutiva' e 'miglioramento genetico evolutivo' tra gli agricoltori di tutto il mondo.

"I miscugli, ma sarebbe meglio dire popolazioni evolutive, sono raccolte di semi di varietà differenti", spiega ad AgroNotizie Ceccarelli. "Una volta piantate all'interno di un campo le varietà si incrociano in maniera naturale e vengono influenzate dalle caratteristiche pedo-climatiche del luogo. Questo miscuglio diventa così una popolazione, perché le varietà all'inizio distinte si scambiano i geni, che si evolve adattandosi sempre meglio a quel particolare luogo".

Ma perché un agricoltore dovrebbe affidarsi ai miscugli? Secondo Ceccarelli le popolazioni evolutive rispondono meglio agli stress abiotici, come la mancanza di acqua o un freddo intenso, ma anche a parassiti e malattie. Non hanno dunque bisogno di agrofarmaci e per questo sono ideali nel biologico. Secondo Ceccarelli le popolazioni evolutive non hanno neppure bisogno del diserbo, perché la taglia alta e probabilmente anche la diversità a livello delle radici, le rende competitive nei confronti delle infestanti.

Un altro aspetto positivo, sempre secondo l'ex professore oggi attivo in Italia e in molti paesi dall'Etiopia al Bhutan, è che gli agricoltori si possono affrancare dal monopolio del seme delle ditte sementiere. I contadini di tutto il mondo, e soprattutto quelli nei paesi in via di sviluppo, possono scambiarsi i semi senza pagare royalties e riseminare una parte del proprio raccolto.

Eppure le popolazioni evolutive hanno i loro problemi. Il primo è la produttività dei campi, molto più bassa che in agricoltura tradizionale. "Ma se nel calcolo finale noi contrapponiamo al calo di produzione i risparmi dovuti al mancato acquisto di sementi e mezzi tecnici il saldo risulta positivo", puntualizza Ceccarelli. Il problema rimane se, come dicono le Nazioni Unite, entro il 2050 saremo in dieci miliardi sul pianeta.

L'altro grande punto di domanda è la qualità. Oggi il mercato in generale e la Gdo in particolare sono molto selettivi nella scelta dei prodotti, che sia frumento duro o pesche nettarine. Avere zucchine provenienti da popolazioni evolutive, dunque tutte differenti le une dalle altre, oppure frumenti con caratteristiche tecnologiche non omogenee, mette l'agricoltore fuori dal mercato. "Questo è un problema se noi guardiamo alla Gdo, ma se ci si rivolge direttamente al consumatore si può superare. Inoltre i consumatori mi dicono che questi prodotti sono più buoni e sono dunque disposti a pagare un prezzo più alto rispetto a quello corrisposto dalla filiera".

Questo approccio all'agricoltura non si ferma ai miscugli. Il passo successivo è la selezione di piante all'interno del campo. Ceccarelli parla di miglioramento genetico evolutivo. Visto che le singole varietà con il passare degli anni si mischiano dando vita a nuove piante, l'agricoltore può andarsi a scegliere quella con le caratteristiche che preferisce. E ripiantandola ottiene così una propria varietà uniforme, che si adatta perfettamente all'areale in questione essendosi evoluta in quella zona.

Il processo di miglioramento però non si ferma. Perché una parte dei terreni di una o più aziende consociate deve sempre essere destinata ai miscugli, in modo che il processo evolutivo non si arresti e si abbia sempre materiale genetico nuovo da selezionare.

Sul metodo evolutivo di Ceccarelli non è d'accordo Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca genomica e bioinformatica del Crea. "Pensare che un agricoltore, senza strumenti o preparazione particolare, sia in grado di fare un lavoro di selezione genetica migliore di quello che si fa nei centri di ricerca mi pare a dir poco improbabile", spiga ad AgroNotizie .
"Il miglioramento genetico evolutivo non ha alcun fondamento scientifico e non è riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. Ed il risultato in termini produttivi e qualitativi è di molto inferiore a quello che ottiene la moderna ricerca genetica".

Secondo Cattivelli mettere le piante in competizione tra di loro non è poi il metodo giusto per avere varietà migliori. "Nel caso dei cereali a paglia, ad esempio, in un miscuglio ha la meglio la pianta più alta, perché intercetta meglio la luce e limita lo sviluppo di quelle vicine. Ma in questo modo si seleziona un tratto che ai fini delle produttività della pianta è controproducente. Il miglioramento genetico moderno va verso piante a taglia bassa, che non si allettano, e che investono le proprie energie nelle spighe".

Se da un lato abbiamo il concetto di popolazioni che competono al loro interno, dall'altro quello di comunità di piante che crescono assieme. "Fino agli anni Cinquanta si faceva il breeding empirico" spiega Cattivelli. "Ma oggi è anacronistico. Sarebbe come curarsi da soli invece di rivolgersi ad un medico".