Dal complesso di Santa Maria Novella a Firenze, la premier britannica Theresa May rimanda la Brexit al 2021, annunciando un periodo "di implementazione" di due anni, prima di rendere effettivamente operativo il divorzio dall'Unione europea.
Nessuna uscita pertanto immediata dal mercato unico. L'appello, anzi, che il primo ministro lancia alla platea composta da imprenditori, diplomatici, rappresentanti del Governo britannico, giornalisti, è quello di arrivare a una "soluzione creativa", espressamente concordata su misura per i rapporti fra Regno Unito e Unione europea.

"Stiamo lasciando l'Unione europea, ma non stiamo lasciando l'Europa", ha assicurato Theresa May.
Questo significa che quando nel marzo 2019 la Gran Bretagna cesserà di far parte legalmente in via definitiva dell'Ue, avrà inizio un "periodo di implementazione", che durerà due anni, durante i quali, comunque, sarà assicurato "l'accesso reciproco ai mercati nei termini correnti". Detto diversamente, nessun abbandono al mercato unico o all'unione doganale.

Certo, fa ancora effetto sentire il Regno Unito parlare di secessione, anche se figlia di un voto libero e democratico, che ha scioccato l'Europa nel giugno 2016. Gli inglesi hanno deciso di andarsene. Proprio loro che sono stati i più accaniti difensori della democrazia liberale e dei mercati aperti, durante le fasi politiche internazionali del XX secolo, anche le più complicate.
I più ottimisti, tuttavia, sottolineano che la premier britannica May ha compiuto un passo avanti, pur senza menzionare, appunto, addii definitivi al mercato unico.

Sembrano non calzare i modelli già costituiti di rapporti fra Unione europea e Norvegia, perché considerati lesivi della sovranità del Regno Unito, così come non piace il modello improntato al libero scambio fra Unione europea e Canada. Nemmeno il modello degli accordi bilaterali tra Ue e Svizzera, improntati a una negoziazione minuziosa e differenziata, sono di gradimento di Londra. Sarà davvero necessario trovare una strada nuova.

Prudentemente, la May non si è sbilanciata con numeri e cifre per dirimere la controversia economica e arrivare al divorzio con Bruxelles. In via informale sembra che, comunque, Londra sia disposta a mettere sul piatto tra i 20 e i 30 miliardi di euro, per onorare gli "impegni che abbiamo preso durante il periodo di appartenenza alla Ue" e non lasciare buchi di bilancio.

Il capo del Governo britannico ha comunque rassicurato i cittadini europei residenti in Gran Bretagna, a partire dai 600mila cittadini italiani: i loro diritti verranno garantiti comunque dalle corti britanniche, le quali dovranno tenere presente i pronunciamenti della Corte di giustizia europea.

Analoga apertura è stata concessa sulla libertà di circolazione, che rimarrà in vigore durante tutto il periodo di transizione, anche se - a partire dal mese di marzo 2019 - si attiverà un sistema di registrazione per chi deciderà di andare a vivere o semplicemente di lavorare nel Regno Unito.

Teresa May, inoltre, ha proposto di raggiungere un trattato tra Regno Unito e Ue, che definisca una collaborazione comprensiva anche sui temi della sicurezza, dell'ordine interno e della giustizia criminale, aspetti particolarmente sentiti in questa fase in cui il terrorismo internazionale, perlopiù di matrice islamica, sembra aver messo la Gran Bretagna nel mirino, fra gli altri paesi in cui ha colpito.

Era un discorso particolarmente atteso quello della May, concertato doviziosamente in precedenza con tutti i componenti del Governo di Downing Street. Alla fine si sono trovati concordi nel lanciare un messaggio distensivo all'Unione europea. Sono state così congelate, non si sa però per quanto tempo, le tensioni fra le colombe e i falchi, questi ultimi guidati dal ministro degli Esteri Boris Johnson.
Soddisfatto il caponegoziatore dell'Unione europea, Michel Barnier, che ha definito il messaggio sulla Brexit con cauto ottimismo, parlando di "un discorso costruttivo".