"L'analisi è buona, ma manca la vision strategica. Sembra più un documento diligente, quasi scolastico, ma è carente però sul versante della fantasia. E' comunque importante che se ne parli, ma auspicherei che quando l'argomento del rischio verrà affrontato nuovamente a metà ottobre, in occasione del G7 dell'Agricoltura a Bergamo, la Commissione arrivasse con qualche proposta seria e innovativa".

Un giudizio sul filo dell'equilibrio quello che Dario Casati, già prorettore dell'Università di Milano e uno dei più illustri economisti agrari d'Europa consegna ad AgroNotizie, parlando del documento sulla gestione del rischio nel settore agricolo dopo il 2020 e della predisposizione di efficaci strumenti a riguardo.
"A una prima lettura e senza conoscere tutte le singole posizioni degli Stati membri - mette in guardia Casati - par di capire che non vi siano molte speranze per definire in forma autonoma strumenti per la gestione del rischio, anche perché la Commissione Ue considera già il pagamento unico come una sorta di strumento per la gestione del rischio".

Così è convinta la Commissione europea…
"Sì. E concettualmente potrebbe anche starci. Però il mondo agricolo non lo percepisce come tale. E infatti, quando nella fase conclusiva del documento vengono poste alcune domande come elemento di discussione, è contenuta anche quella relativa al fatto se gli agricoltori recepiscano il pagamento unico come elemento finalizzato alla gestione del rischio. Francamente, non posso non condividere il sentiment del mondo agricolo".

Sulla base di quali elementi?
"Su una base molto semplice e cioè per il fatto che è vero che lo strumento di gestione del rischio offra una rete uguale per tutti, ma il rischio economico che ne consegue - perché la redditività è l'elemento chiave quando si fa impresa - non è uguale all'interno del sistema agricolo. Se un'impresa agricola si orienta verso una coltura o ne adotta un'altra, il rischio economico si traduce in concreto in rischi e cifre differenti. Il documento presentato al Consiglio informale dei ministri agricoli a Tallinn è, invece, molto rigido".

Infatti tale rigidità ha incontrato qualche perplessità fra i ministri.
"I ministri hanno ribadito la necessità di rivedere le attuali norme, nello specifico quelle che regolano la riserva di crisi in agricoltura. Hanno compreso anche loro, avendo vissuto gli effetti della volatilità dei mercati, le conseguenze dei cambiamenti climatici, che la rigidità non è lo strumento idoneo per dare risposte alle imprese agricole. Nel confronto che ha coinvolto i ministri è stato infatti evidenziato come le misure di gestione del rischio dovrebbero tenere in considerazione le specificità di ciascuno Stato membro e si sono trovati concordi nel sostenere il fatto che i pagamenti diretti svolgono un ruolo fondamentale nell'assicurare la stabilità dei redditi per gli agricoltori".

Ritiene che dovrebbe essere costituito un fondo specifico per la gestione delle crisi?
"Potrebbe essere un'idea, a patto però che sia strutturato con maggiore flessibilità e sia in grado di dare risposte tempestive, in caso di necessità. Però il commissario all'Agricoltura, Phil Hogan, ha escluso tale possibilità, spiegando che sarebbe complicata una sua implementazione e ricordando che la riserva di crisi, del valore di circa 400 milioni di euro all'anno, non è stata finora mai mobilitata. Credo che si debbano valutare anche altre ipotesi, per arrivare ad avere uno strumento efficace e rapido, ma sulla possibilità di attuare una revisione della riserva di crisi per renderla più flessibile si è vista qualche apertura. Inoltre, il commissario Hogan ha sottolineato come gli Stati membri debbano poter decidere liberamente quale sia lo strumento ritenuto più adatto a risolvere i diversi problemi".
 
La Commissione conferma l'orientamento di gestire i fondi sul rischio nel Secondo pilastro, in modo che possono essere cofinanziati e gestiti in modo autonomo. Qualcuno parla di rischio rinazionalizzazione.
"Non c'è un rischio di rinazionalizzazione, ma di certo si lascia maggiore autonomia agli Stati membri. Una libertà che comporta decisioni autonome e responsabilità che non sempre i paesi dell'Ue amano assumersi, perché a volte è più comodo scaricare tutte le colpe su Bruxelles".

Sulla Pac si allunga lo spettro del taglio del bilancio. Qual è la sua opinione?
"Credo sia prematuro parlare di Pac post-2020, ma ritengo che sia un errore tagliare i fondi dedicati all'agricoltura. L'economia si sta lentamente riprendendo, molto probabilmente è meno difficile oggi reperire le risorse che non qualche anno fa".